Dove scorre il pil
Corre sull'A4 la ripresa dell'Italia dopo gli anni della pandemia
Perché la Torino-Trieste è una metafora dello sviluppo italiano alle prese con la guerra e i rincari. L’apoteosi del Tir, ma anche i brevi tragitti e i furgoni di Amazon. “Cose da esodo estivo”, racconta il dg Chiari
L’autostrada del Sole ha un suo storytelling che la scolpisce come protagonista indiscussa dell’Italia degli anni del boom. Il Mulino le ha dedicato alla fine degli anni '90 un volumetto della prestigiosa serie sull’Identità italiana curata nientemeno che da Ernesto Galli della Loggia e successivamente nel 2014 la Rai ha ideato persino una mini-serie tv (“La strada dritta”) con Ennio Fantastichini. La A4 che collega tutto il nord da Torino a Trieste invece non ha avuto analoghi riconoscimenti, è rimasta figlia di un Dio minore. Eppure ha almeno in parte una maggiore anzianità di servizio (il primo tratto che collegava Milano e Bergamo è del 1927, la prima pietra dell’Autosole è del 1956) e soprattutto assolve nei flussi dell’economia nazionale a un ruolo chiave, è l’autostrada che fa correre il pil. Cinquecentotrenta chilometri che attraversano quattro regioni e 15 province fortemente antropizzate e con una concentrazione di attività produttive che ammette pochi rivali in Europa. “E’ come un fiume che riceve l’apporto di diversi affluenti” commenta Bruno Chiari, direttore generale della A4 Holding, controllata dal colosso autostradale spagnolo Abertis che a sua volta ha in Atlantia il principale azionista assieme all’Acs di Florentino Perez. A4 Holding gestisce la sola tratta Brescia-Padova, i 150 km. della Serenissima e infatti nonostante l’autostrada del pil appaia come un continuum la sua gestione è divisa in cinque: da Torino a Milano c’è il gruppo Gavio, da Milano a Brescia Autostrade per l’Italia, da Brescia a Padova gli spagnoli di Abertis, e poi Cav e Autovie Venete. Nella storia societaria azionisti pubblici e privati si sono avvicendati più volte ma si può dire che alla fine ha avuto buon gioco la continuità manageriale.
Non avendo avuto riconoscimenti letterari, la A4 si prende la rivincita tutti i giorni. Nei primi cinque mesi del 2022 è stata infatti la protagonista indiscussa della vitalità della società italiana dopo gli anni della pandemia. Ogni giorno si rischia la congestione, i pendolari fissi passano la giornata a studiare tattiche diversive e orari sfalsati e in agenda c’è quantomeno l’idea di ampliare le tre corsie tra Brescia e Padova. A gennaio il traffico ha fatto segnare +43,1 per cento sull’anno precedente, a febbraio +19 per cento, a marzo +39, ad aprile +42,2 e a maggio +13,2.
In tutti questi casi siamo sotto i livelli del 2019 ma siamo comunque a una media di 90-100 mila veicoli al giorno, con punte di 140 mila di cui 40 mila veicoli pesanti. L’apoteosi del Tir. E quindi se cerchiamo una metafora dello sviluppo italiano alle prese con la guerra, il prezzo della benzina e i componenti che mancano, la troviamo qui. Una cosa va detta subito: non sembra esserci correlazione diretta tra aumenti di benzina e diesel (a marzo e giugno è andato sopra i 2 euro, ad aprile è sceso sotto 1,8 euro) e traffico, la domanda di mobilità obbedisce ad altri input, non pare immediatamente condizionata dai costi del carburante. Infatti la A4 non assolve solo al ruolo di instradare il traffico a lunga percorrenza, anzi. “Chi la prende fa in media 35 chilometri, sono in tanti quindi a usarla come una sorta di tangenziale che collega città vicine. I flussi lunghi da est a ovest coprono solo un quarto del traffico” spiega Chiari, che da 23 anni pendola tra Verona e Brescia e quindi misura quotidianamente il polso di cosa accade sull’asfalto del pil. La usano tutti, dunque: le industrie locali, la lunga percorrenza e il traffico turistico. E’ un omnibus. E nemmeno l’apertura della Brebemi, fortissimamente voluta da Giovanni Bazoli e che pure è parallela alla A4 lungo la tratta Milano-Brescia, ha fatto diminuire i volumi di traffico.
Vista la sua centralità nei flussi di merci e persone nell’area più avanzata d’Italia la A4 si comporta come un corpo intermedio, smista le domande della società, interloquisce con i poteri nazionali e locali, collabora con Camere di commercio e associazioni confindustriali. Niente di codificato ma pura economia reale, viene da dire. E la collaborazione, racconta Chiari, non riguarda solo il restyling e la riconfigurazione di alcuni caselli ma anche la costruzione di un’autostrada in Val Trompia, ad esempio, che pure sarebbe fuori dal perimetro degli interessi dell’autostrada del pil. “Questa vicinanza al territorio è testimoniata dai dati di traffico che sono molto sensibili per esempio al successo delle manifestazioni fieristiche o anche alle iniziative culturali della riapertura” dice Chiari. Che avverte: se una volta si era pronosticato, almeno nella mente degli urbanisti e dei programmatori territoriali, che il ferro avrebbe sostituito la gomma riducendo di almeno sei volte le emissioni e i pericoli per il traffico leggero di tutti noi, purtroppo non è andata così. Era un sogno. Oggi il traffico merci su ferro in Italia è tra l’11-13 per cento e secondo la Ue nel 2030 dovrebbe arrivare addirittura al 30 per cento ma sono intervenute almeno due grandi trasformazioni dell’economia a decretare, per ora, il predominio della gomma. La prima è la riorganizzazione del sistema industriale che è evoluto dallo schema fordista della massima concentrazione di uomini nello stesso posto all’esternalizzazione di svariate fasi del processo produttivo.
Si calcola che una media azienda del nord abbia rapporti con almeno 275 fornitori e questo network produttivo si traduce in più traffico e più Tir. In più la A4 ha visto i distretti industriali che le fanno corona da Torino a Trieste aprirsi alla collaborazione con altri soggetti, allungare le proprie traiettorie e soprattutto a macinare record su record in materia di esportazioni. Poi è arrivato l’e-commerce ed è stata un’altra piccola rivoluzione. Ha sbriciolato il vecchio fordismo, tanti ordini e tanti pacchi, tanta gomma e tante vetture di tutte le taglie. Basta guardare la cartina geografica e comparare l’itinerario della A4 e la mappa dei centri di distribuzione e smistamento di Amazon. Sembrano due reti parallele visto che sono oltre 5 mila le Pmi di Piemonte, Lombardia e Veneto che ogni giorno vendono i loro prodotti su Amazon. L’altra rete parallela è quella delle ferrovie. La novità è stata la piena concorrenza nell’alta velocità con il secondo gestore Italo ma prima di collegare almeno Milano e Venezia ce ne vorrà ancora. Si procede verso est a spizzichi e bocconi. L’ultimo annuncio parla di apertura dal 2023 dei cantieri per il collegamento con Padova, i lavori dureranno 5 anni e quindi si andrà al 2028. Incombe però sul timing l’ipotesi di un referendum sulle scelte delle Fs per l’attraversamento di Vicenza e quindi si teme un altro slittamento. Ma l’alta velocità non toglie per ora le merci dalla strada e tutto sommato nemmeno gli uomini perché regioni come la Lombardia e il Veneto sono a loro volta fatte a rete, gli spostamenti interprovinciali sono fittissimi e l’automobile, che in città resta ferma in garage, qui serve ancora come il pane.
La A4 aveva, giustamente, anche ambizioni internazionali. Era la rappresentante italiana del mitico corridoio 5 che collega sulla carta Lisbona-Kiev. Uno dei sogni dell’europeismo più lungimirante degli anni immediatamente successivi alla caduta del Muro e non a caso una delle idee del mitico libro bianco di Jacques Delors (1992) che con grande lungimiranza sosteneva come l’Europa avrebbe dovuto rafforzare i propri collegamenti infrastrutturali, investire sulle autostrade dell’informazione e sull’education forse ancor prima di avere la moneta unica. E quel riferimento a Kiev – l’indipendenza dell’Ucraina è datata 24 agosto 1991 – suona come un ulteriore tributo ai padri dell’Europa che ci avevano visto lungo pensando a un continente politicamente piatto, interconnesso e quindi più vicino. Il corridoio 5 è ancor oggi monitorato dalle autorità europee, è rimasto un sogno di carta e poi non è detto che i flussi delle merci che si sono andati a configurare su input delle grandi catene del valore abbiano per forza ripercorso le mappe di Delors.
Anzi. Del resto l’idea che lo sviluppo si dovesse spalmare in maniera eguale era un’altra utopia: anche nei 530 km che ci portano da Torino a Trieste ci troviamo di fronte a una mappa asimmetrica. Passiamo dal Piemonte che rimpiange i suoi fasti industriali d’antan, aspetta con paura le decisioni che passo passo prende la nuova Stellantis a trazione Tavares, non vede l’ora che il collegamento con Lione le tolga la sindrome dell’isolamento ma sicuramente non è un festival dello sviluppo. E la dimostrazione sta nel fatto che è stato detronizzato, è sceso dal podio: il triangolo dello sviluppo si è spostato lungo la A4 verso l’est, verso il Veneto e soprattutto quell’Emilia che dall’autostrada del pil è solo lambita.
Ma l’inflazione all’8 per cento sgonfierà anche il traffico sulla A4? Le ultime notizie parlano di una discesa dei prezzi di benzina e diesel che dovrebbero tornare sotto i 2 euro segnando quindi un’inversione di tendenza. E comunque “in questi ultimi giorni mi sembra che la tendenza non sia cambiata. Viaggio quotidianamente, sembra un luglio degli anni pre Covid – racconta Chiari – E abbiamo dovuto tirar fuori i cartelli che avvertivano di rallentamenti per traffico intenso. Cose da esodo estivo”. Tra un paio di settimane poi si avrà il picco della stagione del grande traffico turistico e almeno nei giorni del bollino rosso l’Autosole tornerà a rinverdire i suoi fasti e a primeggiare nei titoli di apertura dei tg. Per conoscere la pagella del pil italiano vista dall’osservatorio della A4 bisognerà aspettare settembre.