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La felice continuità

La resistenza dei mercati di paese che ogni anno persistono e si rinnovano

Giuseppe De Filippi

Nelle bancarelle l'innovazione ha un sapore antico. Ambulanti e non. Continuano stagione dopo stagione e, sorprendentemente, si trasformano

Giù le mani dai mercatini. Se esistesse davvero un Frits Bolkestein così cattivo da volerli danneggiare, perfino eliminare, saremmo i primi a insorgere e inviarci con piglio dibattistiano per fermare la folle crudeltà europea. Quel regolatore mostruoso, però, non esiste, e anche il vero Bolkestein, nel frattempo, è serenamente uscito dalla Commissione europea, lasciando che la sua direttiva fosse un po’ applicata e un po’ no e, soprattutto, tantissimo travisata e altrettanto sfruttata per cercare qualche istanza da rappresentare in chiave antieuropea e qualche voto da raccogliere. I mercati, intanto, quelli animati dagli ambulanti, continuano a resistere e, in qualche misura, anche a prosperare, e sono tornati a esprimere tutta la loro energia nella versione estiva, quella più potente, come arricchimento inevitabile di ogni località italiana di vacanza (catturando, però, anche i residenti e gli indifferenti allo spirito vacanziero).

 

A un anno di distanza, dopo il tentativo del 2021 con mascherine e precauzioni ancora caldissime, ci si ritrova e, nel piccolissimo campione verificato, si rivedono le stesse facce e gli stessi toni, ci si saluta con affetto, in una felice continuità aziendale e commerciale. C’è vita e iniziativa tra le bancarelle e c’è lo spettacolo del bazar, che, azzardiamo, è il fondamento delle civiltà umane. La meravigliosa illusione della merce è portata all’essenziale e, insieme, alla sua massima potenza. L’innovazione prende una forma del tutto peculiare. Non c’è quella tecnologica ormai saldamente controllata dai grandi produttori mondiali, sempre più inclini a chiudere la distribuzione dei loro prodotti nel recinto dei monomarca (i negozi intestati direttamente al marchio) o nella vendita online. C’è, invece, la realizzazione del sogno che fu democristiano e poi di qualunque partito di governo e cioè la realizzazione della chimerica novità nella continuità.

 

Perché i mercatini offrono davvero sempre le stesse cose, ma riescono a cambiarle quel tantino per venderle ogni anno daccapo. I vestitini leggeri cambiano appena di taglio, da un po’ di tempo si vedono anche lini di un certo livello, svolazzano appesi in alto e hanno qualcosa della stagione di moda. Le cose per la casa e per la cucina sembrano una scoperta nuova. Ci sono i cappelli che uno compra e non comprerebbe altrove, i calzini con l’illusione dello sconto, le cinte a misura. La novità nella continuità, per quanto posso testimoniare con un giro al mercatino di Tuscania (Viterbo) va da qualche elegante oggetto in legno, ci sono cornici per fotografie degne del Compasso d’oro, a una pianta di basilico viola, inebriante apertura verso le mutazioni genetiche e il coraggioso intervento sulla naturale produzione agricola (e c’è anche un basilico dalle foglie piccolissime, che viene qualificato, verdonescamente, come greco).

 

La cadenza settimanale con cui si manifesta il mercatino ne fa un evento e ci restituisce una pratica di distribuzione dei tempi e delle attività che abbiamo cancellato con l’avvento dei supermercati e dei negozi sempre aperti. Bolkestein li insegue come un’ombra ormai un po’ sbiadita dal 2006. Da allora si è prorogato il prorogabile. La nuova scadenza, dopo una sentenza del Consiglio di stato, è il fatidico 2023. Ma, come si diceva, non c’è nessun accanimento regolatorio e nessuna applicazione aggressiva della messa a concorrenza degli spazi di vendita. I comuni li mettono già ora all’incanto e, più o meno, li prendono sempre gli stessi. Il sistema è oliato e qualcuno deve aver messo d’accordo varie amministrazioni locali per dividersi i giorni settimanali in cui far tenere mercato (considerando che, forse, lunedì e martedì potrebbero essere meno appetibili).

 

I mercati molto forti, come quelli di Forte dei Marmi e di Viareggio (meta di pellegrinaggi estivi in cerca di incongrui cachemire da mettere via in vista dei regali natalizi) possono vantare perfino qualche negozio, ce n’è uno a Roma, in cui assicurano di essere una specie di rappresentanza, in muratura, dei mercati del litorale versiliano, con gli stessi prodotti. Gli ambulanti hanno uso di mondo, sanno entrare in relazione, si permettono approcci diretti, liberatori in questi anni di distanza sociale. Sono molto meglio loro di chi tenta di rappresentarli e di farne categoria da contrapporre politicamente a crudeli regolatori europei e a rapaci tassatori italiani. Vedono la faccia un po’ televisivamente conosciuta e, temendo un’inchiesta o magari una telecamera nascosta, ostentano procedure fiscalmente perfette e consegnano scontrini come un dignitario avrebbe consegnato le lettere patenti al re. Il pos lo metteranno, molti già lo usano e ne vedono anche evidenti vantaggi.

 

Le concessioni, poi, a chi volete che vadano? I comuni già regolano il settore e ne conoscono le caratteristiche, cosa volete che aggiungano le regole concorrenziali? E’ chiaro che la categoria è infilata, un po’ per forza, nel gruppo degli scontenti perenni assieme ai mitici balneari (in alcuni casi davvero titolari di concessioni pagate troppo poco). Ma gli ambulanti vendono, i mercatini si sono di nuovo riempiti, il cachemire estivo è un’istituzione, e i cervelli sono al lavoro. Quest’anno il basilico è diventato viola e l’anno prossimo chissà.