la crisi economica
Lo spettro della stagflazione e lo scostamento dalla realtà dei partiti
Conte, Salvini, Meloni affrontano la crisi con un’enorme lista della spesa, ma il mondo è cambiato. Per la Banca dei Regolamenti Internazionali si va verso un sistema ad alta inflazione e bassa crescita, scenario tossico soprattutto per i paesi molto indebitati come l'Italia
Sta per arrivare la stagflazione e non sappiamo cosa metterci. Mentre il governo implode, Mario Draghi potrebbe tornare a fare il nonno a tempo pieno e il paese si avvia verso le elezioni anticipate, pare che il sistema politico non si renda conto della nuova fase economica. Lo si nota dal lungo e costoso cahier de doléances che Giuseppe Conte ha consegnato al premier prima di far cadere il governo e dalla ripetuta richiesta di “scostamento” degli ultimi mesi. Sulla stessa lunghezza d’onda c’è Matteo Salvini che nei giorni scorsi criticava Draghi per la cautela sullo “scostamento” dicendo di pensarla “all’esatto contrario: o si mettono 50 miliardi nelle tasche degli italiani altrimenti con i microbonus non si risolve nulla”. I “microbonus” si presume che, secondo il leader della Lega, siano la somma enorme di 30 miliardi spesa dal governo dall’inizio dell’anno sul caro-energia, oppure il Superbonus (costo: circa 40 miliardi) che già dal nome tanto micro non è. Giorgia Meloni, dal canto suo, non invita certo alla frugalità.
Naturalmente, sono necessari interventi più focalizzati e meno generalizzati degli stessi adottati finora dal governo per contrastare gli effetti dell’inflazione sulle fasce più povere. Ma che resti o meno Draghi, e che si vada o meno alle elezioni anticipate, i partiti non sembrano ben consapevoli del contesto economico in cui ci troviamo. Per avere un quadro della situazione, e per rendere compatibili con la nuova realtà i programmi, per i leader di partito sarebbe istruttiva la lettura del report annuale della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), che fornisce un quadro di ciò che sta accadendo sull’inflazione: un problema che è qui per restare, almeno per un po’. Per la Bri non ci troviamo di fronte a una fiammata inflazionistica, ma a un possibile regime change da un sistema a bassa inflazione a uno ad alta inflazione. Con il rischio che l’aumento dei prezzi sia accompagnato da un appiattimento della crescita, o addirittura dalla recessione. La stagflazione, appunto.
Le cause sono note: forte ripresa post Covid, strozzature nelle catene di approvvigionamento, lockdown in Cina, guerra in Ucraina. Il mondo ha già avuto a che fare con la stagflazione negli anni 70, e sconfiggerla è costato caro. Ma in questo caso non si tratta neppure della stessa cosa, dice la Bri, citando Mark Twain secondo cui “la storia non si ripete, ma spesso fa rima”. Alcuni elementi non sono nuovi, ma altri sono unici. Una importante differenza con gli anni 70, ad esempio, è che, in un contesto di tassi di interesse storicamente bassi, i livelli di indebitamento non sono mai stati così elevati. E cosa significa dovrebbe saperlo l’Italia, che ha affrontato la disinflazione scaricando negli anni 80 la tassa da inflazione sul debito pubblico. Qualcosa che ora è impossibile, dato il livello attuale sopra il 150% del pil.
La Bri avverte che i regimi ad alta inflazione sono bestie difficili da domare, perché tendono ad autorinforzarsi, e pertanto è indispensabile non far radicare le aspettative di prezzi crescenti. Servono risposte tempestive e ferme delle banche centrali, quindi della Bce, che altrimenti rischiano di perdere credibilità. Il problema è che frenare l’inflazione comporta un costo in termini di crescita, e non farlo oggi ne comporta uno superiore domani. I partiti, Draghi o non Draghi, pensano ancora di vivere nel periodo in cui la Bce taglia i tassi e compra il debito e la Commissione Ue fa piovere miliardi con un nuovo Recovery fund. Ma il mondo è cambiato.