Crescita e conti in ordine, l'eredità economica di Draghi
Crescita sorprendente, Pnrr impostato e conti in ordine. Draghi lascia un'economia in salute, con un pil che ha già recuperato il livello pre pandemia, ma chi verrà dopo dovrà gestire uno scenario globale che si va deteriorando
I dati del pil italiano nel secondo trimestre del 2022, pubblicati ieri dall’Istat, sono per certi versi inaspettati: +1% rispetto al primo trimestre e +4,6% rispetto all’anno precedente. La crescita annuale acquisita è pari al 3,4%, superiore al 3,1% previsto dal governo nel Def di aprile. Già prima dei dati Istat, nei giorni scorsi il Fmi aveva rivisto al rialzo le sue stime sul pil dell’Italia (unico caso tra le grandi economie sviluppate). La vivacità dell’economia italiana è sorprendente sia rispetto al quadro dell’eurozona sia rispetto alla sua dinamica degli ultimi anni.
La crescita è dovuta secondo l’Istat alla domanda interna, l’apporto estero è negativo, con un’espansione dell’industria e dei servizi, grazie al buon inizio della stagione turistica. Con il suo +1% trimestrale l’Italia fa meglio della media dell’eurozona che cresce dello 0,7%, un dato peraltro migliore del +0,2% atteso dagli analisti. Non solo la crescita dell’Italia è la più alta insieme a quella Spagna (+1,1%), e già questo è abbastanza singolare, ma al contempo la Germania si è completamente fermata. Generalmente il pil italiano e quello tedesco hanno un andamento analogo, con la Germania a un livello di crescita superiore, perché si tratta di due economie manifatturiere e molto interconnesse.
Era quindi lecito attendersi le stesse difficoltà, dovute all’impennata dei prezzi del gas e dell’energia in generale oltre che al rallentamento della domanda globale: un mix micidiale per due economie manifatturiere e con vocazione all’export. Invece, almeno nel secondo trimestre del 2022, si è registrato una sorta di disaccoppiamento dell’andamento delle due economie, con il pil italiano che fa meglio di quello tedesco (cosa che non si è vista negli ultimi 15 annni). Ma ovviamente, non è detto che la stessa dinamica si verificherà nel resto dell’anno, dato che in autunno e in inverno si faranno sentire le conseguenze della guerra del gas con la Russia, attraverso prezzi più alti dell’energia e possibili razionamenti che fermeranno le industrie.
L’altro confronto sorprendente è rispetto a ciò che ci si attendeva dall’Italia. Il Mef ieri ha segnalato che il recupero dalla crisi pandemica “può dirsi completato, giacché il pil nel secondo trimestre è risultato nettamente superiore al livello medio del 2019”. Nelle previsioni d’autunno del 2020, la Commissione europea diceva che l’Italia avrebbe avuto un buon rimbalzo nel 2021 ma il recupero del pil pre pandemia ci sarebbe stato solo nel 2023, ultimo paese in Europa. L’obiettivo è stato raggiunto con un anno di anticipo. E anche tutti gli altri indicatori macroeconomici sono migliori: il deficit è più contenuto e il debito pubblico (al 147% secondo le stime del Def) sarà 12 punti più basso delle previsioni di Bruxelles. L’Italia ha gestito bene l’uscita dalla pandemia, con una campagna di vaccinazione che ha garantito le riaperture evitando incertezza, e goduto di una crescita sostenuta che ha consentito al governo di stanziare corposi sussidi e sostegni a famiglie e imprese per affrontare un’inaspettata crisi energetica, senza però fare scostamenti di bilancio nonostante le ripetute invocazioni di M5s e Lega.
Il governo Draghi lascia un’economia in buona salute, un Pnrr impostato e conti pubblici in ordine, ma in uno scenario globale che si va deteriorando: la Cina rallenta, gli Stati Uniti sono in recessione, la Germania ci sta entrando e la Russia sta chiudendo i rubinetti del gas. Chi si candida a raccogliere l’eredità di Draghi dovrebbe forse adeguare le promesse elettorali alla nuova realtà in arrivo.