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I dati e le prospettive

Industria, turismo, consumi. Le ragioni di una crescita sorprendente del pil 

Dario Di Vico

Crescita sopra le aspettative, che però nei prossimi mesi proseguirà a macchia di leopardo. Il rischio potrebbe essere uno stop dopo Ferragosto dovuto all'inflazione, all'aumento record del gas e e in qualche caso alla decisione di fermare le macchine delle aziende per razionare il combustibile

E’ rimasto senza partito ma il pil in fondo è come una giuria: quando entra nell’aula e prende la parola il pubblico attorno fa silenzio. E così in un giorno di ordinaria e rissosa campagna elettorale siamo giustamente costretti a occuparci dei fondamentali e a interrogarci su un’ennesima performance di Mister Prodotto interno lordo, che nel secondo trimestre del 2022 ha fatto segnare un +1 per cento congiunturale e un +4,6 per cento tendenziale. Come termine di paragone basti pensare che il consensus degli analisti dava come previsione +0,3 per cento e la Banca d’Italia +0,5 per cento, rispettivamente un terzo e la metà. 

 

Gli addetti ai lavori avranno nuovi argomenti per ragionare su come mai le divergenze di valutazione si ripetano con una certa frequenza e su quanto siano differenti le due cassette degli attrezzi, quella dei privati e quella della statistica ufficiale. Commenta l’economista Innocenzo Cipolletta: “In passato l’Istat ha sempre sottostimato la crescita e per anni ha dovuto fare revisioni al rialzo. Ora hanno aggiustato il tiro e comunque hanno ragione, le aziende stanno andando molto bene”. La sorpresa (aggiuntiva) è che l’Italia corre più di Francia (+0,5 per cento ) e Germania (zero) e la spiegazione sta forse nel settore automotive, decisamente inguaiato, che sul pil italiano   pesa meno che dalle parti del Reno. Solo la Spagna (+1,1 per cento) viaggia come noi e grazie al secondo trimestre la crescita annuale acquisita è del 3,4 per cento, superiore al 3,1 per cento previsto nel Def  stilato dal  governo Draghi.

 

L’1 per cento trimestre su trimestre si spiega con un ritmo sostenuto di industria e servizi: dalle autostrade piene ai sold out della ristorazione e dell’intrattenimento, da un effetto prolungato del Superbonus edilizio alla decisione delle famiglie di risparmiare meno e consumare il giusto. In più la stagione turistica sembra essere iniziata in anticipo, vuoi per il grande caldo di giugno vuoi per il compatto arrivo degli stranieri nelle città d’arte. Chi prevedeva un trimestre lento pede forse pensava a un maggiore effetto depressivo dell’inflazione. E forse sottostimava i trasferimenti pubblici decisi – come ha rivendicato  con un certo orgoglio e altrettanto tempismo il Mef – “per sostenere il reddito delle famiglie e la competitività delle imprese”.

 

“Incassato il successo inatteso del secondo trimestre però dovremo cambiare lo spartito” spiega Fedele De Novellis, partner di Ref Ricerche. E’ possibile che il terzo rimanga ancora in territorio positivo grazie sempre al turismo che in luglio sembra aver dato grandi soddisfazioni. “Per agosto dovremo vedere se le città si svuoteranno davvero o le avranno lasciate solo i percettori di redditi medio-alti” e dovremo anche vedere l’effettiva durata della stagione turistica. Il rischio potrebbe essere uno stop dopo Ferragosto. A suonare il campanello d’allarme è stata l’indagine mensile sul clima di fiducia: famiglie e imprese hanno capito di essere arrivate alla curva e l’indice è sceso drasticamente (da 98,3 a 94,8 per i consumatori e da 113,4 a 110,8 per le aziende). “Ciò vuol dire che rientrate dalle ferie le famiglie opteranno per una gestione  più selettiva dei consumi, anche perché dovranno far fronte alle bollette  e ai consuntivi delle spese condominiali”. Sicuramente non si cambierà la vettura, ci si scoprirà parsimoniosi negli acquisti di beni per casa (comprati ad abundantiam durante la pandemia), si risparmierà sullo shopping di tessile/abbigliamento e si sarà decisamente più attenti nella spesa per il cibo magari rivolgendosi ai discount. Portafoglio aperto solo per gli acquisti per la scuola, non rinviabili.

 

A fare cambiare opinione ai consumatori è stata l’inflazione che ha cominciato a materializzarsi alle casse del supermercato. L’ortofrutta è schizzata in alto, anche la pasta è più cara, ma è probabile che a settembre i grandi brand premeranno ancor di più per aggiornare i listini (litigando con la grande distribuzione). Magari qualcuno di loro deciderà di parlare direttamente ai consumatori come è avvenuto negli Usa, comunque vada gli effetti sull’industria assomiglieranno a una geografia tipo macchie di leopardo. Finora abbiamo registrato un aumento della cassa integrazione ma non è significativamente aumentato il numero delle crisi aziendali. Il caso più spinoso, quello della finlandese Wärtsilä a Trieste (450 licenziamenti), è legato alla decisione di fare reshoring e non a una crisi di mercato. Più che il classico autunno caldo – immagine cara ai giornalisti di tutte le testate quasi come l’intramontabile “cambio di passo” – avremo dunque una polarizzazione, con settori che hanno già in pancia sufficienti ordini per lavorare con tranquillità nei prossimi trimestri e altri che subiranno gli effetti del braccino corto delle famiglie consumatrici. Non ultimo sull’industria, segnatamente quella energivora, si farà sentire l’impatto degli aumenti-record del gas e in qualche caso la decisione di fermare le macchine per razionare il combustibile. Di buono c’è che, come aveva chiesto il governatore Ignazio Visco, non è partita la rincorsa prezzi-salari.
 

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