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l'intervento

Perché ribellarsi al partito unico anti low cost  

Carlo Borgomeo

Le richieste di trasparenza e non discriminazione sono legittime, ma non possono essere invocate al solo scopo di “imbrigliare” gli aeroporti, impedendo di competere a livello europeo con altri scali, che utilizzano incentivi secondo le regole di mercato. Ci scrive il presidente di Assaeroporti

Al direttore - Recentemente si è sviluppato un dibattito sugli incentivi alle low cost innescato da una Risoluzione presentata dell’on. Rosso. Partiamo da una costatazione: nel periodo 2009-2019, i passeggeri in Italia sono passati da 130 a 193 milioni e il numero di rotte è cresciuto del 43 per cento; raddoppiati inoltre i viaggiatori stranieri che hanno raggiunto il nostro Paese in aereo. Tutto ciò è stato possibile anche grazie alle politiche commerciali adottate dagli aeroporti nazionali. Risultati, questi, tutt’altro che banali da raggiungere. I gestori infatti operano in un contesto concorrenziale, in cui gli scali, europei e non, competono tra loro allo scopo di attirare flussi crescenti di passeggeri. Ciononostante si percepisce, in alcune posizioni ma anche in alcuni “silenzi”, un clima ostile agli incentivi ai vettori, nell’idea, errata, che questo possa andare a vantaggio della compagnia di riferimento nazionale e del trasporto aereo in generale.

 

Le richieste di trasparenza e non discriminazione, a cui ci associamo, sono assolutamente legittime. Esse però non possono essere invocate al solo scopo di “imbrigliare” gli aeroporti, impedendo loro di competere a livello europeo con gli altri scali, che utilizzano gli strumenti di incentivazione secondo le tradizionali regole di mercato. Occorre anzitutto smontare alcuni pregiudizi. Partiamo dal titolo stesso della Risoluzione: “Erogazione di incentivi pubblici destinati a vettori aerei”. Chiariamolo una volta per tutte: la quasi totalità degli incentivi erogati proviene da risorse proprie dei gestori. Le incentivazioni finanziate da Enti locali sono assolutamente residuali ed esiste già una normativa europea che definisce le regole da applicare. Passiamo poi ad alcune affermazioni, errate, fatte recentemente da ITA secondo cui “i contribuenti italiani, gli aeroporti italiani hanno continuato a finanziare l'invasione delle low cost”.

 

Ribadiamo che il “costo” degli incentivi è a carico dei bilanci dei gestori e non dei contribuenti. Anzi, se analizziamo quali sono stati negli ultimi anni i flussi da pubblico a privato, sono numerosi i casi in cui è stato il privato che si è trovato costretto a finanziare il pubblico. Mi riferisco alle centinaia di milioni di euro di crediti insoluti che la più volte fallita Alitalia ha lasciato in eredità agli aeroporti. Una sorta di strano, inutile, ma consistente sussidio. E ancora, sentiamo dire che “gli scali italiani hanno consegnato il sistema aeroportuale in mano alle low cost”. Anzitutto il successo del modello low cost è un fenomeno globale, ma la vera domanda da porsi è: perché la loro quota di mercato in Italia è superiore alla media? Perché i gestori hanno pagato più dei competitor europei o perché, forse, l’allora compagnia di bandiera non è stata in grado di presidiare il mercato, come hanno fatto invece meglio alcuni vettori legacy quali British Airways, Lufthansa e Air France? Sentiamo dire che “gli incentivi sono discriminatori perché consentono di applicare ai singoli vettori tariffe differenti”.

 

Anche questa è una lettura distorta. L’applicazione di livelli tariffari diversi è giustificata dagli obiettivi di crescita che ciascuna compagnia si impegna a raggiungere sullo scalo. Pertanto, ad un vettore che apre rotte non servite da altri, avvia collegamenti per destagionalizzare o aumentare il traffico si possono applicare, legittimamente, condizioni economiche differenti. Sempre più numerosi sono inoltre gli accordi che incentivano l’utilizzo di aeromobili meno inquinanti e con elevati tassi di riempimento. Le politiche commerciali dei gestori sono ovviamente rivolte a tutti i vettori, purché disponibili a investire sugli scali stessi. Non parliamo di sussidi, ma di accordi commerciali. Circa la “trasparenza”, ricordiamo che i gestori pubblicano sui loro siti web la propria policy commerciale, con l’indicazione di scopo, durata e requisiti richiesti per potervi accedere. E all’affermazione “le autorità di controllo non dispongono dei dati sulle incentivazioni”, rispondiamo che già da anni le informazioni vengono periodicamente rese all’Autorità di Regolazione dei Trasporti. Diversa è la pretesa di accedere ai dati dei singoli contratti che violerebbe elementari principi di concorrenza. La materia può essere sicuramente aggiornata con una possibile revisione delle Linee Guida emanate nel 2016 dall’allora MIT; ma non sulla scia di infondati pregiudizi che falsano i termini della questione, mettendo a rischio lo sviluppo futuro del trasporto aereo e degli aeroporti italiani che sono in concorrenza con altri Paesi europei, soprattutto quelli ad alta vocazione turistica. 

Carlo Borgomeo, presidente di Assaeroporti

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