La montagna sacra dei rifiuti. Sfatare i tabù su differenziata e termovalorizzatori
I guai con la discarica a Palermo e i modelli virtuosi di Brescia e Bolzano. Un maleodorante Grand Tour per andare oltre i luoghi comuni e scoprire quanto ci costa la mala gestione dell’immondizia
E alla fine anche la monnezza di Roma contribuisce a far cadere il governo Draghi, per la realizzazione programmata con una corsia preferenziale di quel termovalorizzatore per la capitale che il Movimento 5 stelle considera come il demonio ambientale. Una delle tante umiliazioni che il leader Giuseppe Conte imputa al governo, di cui ha fatto parte. C’è ben altro da fare, sostiene l’avvocato del popolo. Cosa non è chiaro, a parte l’ossicombustione proposta da Grillo. E mentre il dibattito continua su proposte per soluzioni avveniristiche o decrescita dei consumi, l’emergenza continua, su tutto il territorio.
La raccolta dei rifiuti esplode a Reggio Calabria, a Cosenza, a Catania. Sbanda di nuovo Napoli, è in crisi a Siracusa e a Ragusa, sono sotto stress gli impianti di smaltimento di Foggia e di tutta la Puglia, soffoca anche Pantelleria che si vede respingere da Trapani i suoi scarti, ed è condannata a vederli cuocere sull’isola sotto il sole torrido di un’estate bollente. Il sud scoppia, in uno spettacolo di masse maleodoranti abbandonate sull’asfalto preda di gabbiani e topi. Ed è ormai consuetudine la presenza urbana dei cinghiali, che però trovano dagli avanzi tracimati dai cassonetti una integrazione al loro pasto senza fare distinzioni geografiche: da soli o con la numerosa prole al seguito, li troviamo sulle spiagge di Genova e anche in edifici religiosi al centro di Bari, per far provare senza pregiudizi di carattere regionale il brivido esotico dell’incontro con l’animale selvaggio. Roma è una storia sin troppo nota: è la norma avere marciapiedi spesso impercorribili, i rifiuti sparsi ovunque, le strade mai spazzate. E quando, come un mese e mezzo fa va a fuoco il Tmb di Malagrotta (l’acronimo sta per Trattamento Biologico Meccanico, traducibile in un più umile e semplice “discarica”) ci sono 900 tonnellate di materiale al giorno che devono trovare una nuova destinazione, è la città a diventare essa stessa una discarica.
Il problema, di Roma e di tutta l’Italia, è quello di sempre. Trovare l’equilibrio tra il progresso che genera consumi, e lo smaltimento dei rifiuti. Tanti rifiuti. Ogni cittadino italiano, in base ai dati dell’Ispra, ne produce in media 506 chili l’anno. Come avere in casa, in termini di volume, 50 trolley da cabina aerea pieni di scarti compattati. Che diventano 200 se in famiglia si è in quattro. Come gestire questa valanga? C’è chi si attrezza e ci riesce. C’è chi ci prova ma trova subito ostacoli. C’è chi innova e ci guadagna addirittura. E c’è chi invece prende tempo e ne viene travolto. E’ come sempre un paese che si muove a velocità diverse. Ecco alcuni esempi di come vive l’Italia tra i suoi rifiuti
Palermo è prigioniera
Vista dalla collina di Bellolampo, la Conca d’oro è bellissima, con Palermo al centro: guardando verso il mare dai suoi 430 metri di altezza sembra quasi di respirare il profumo degli aranceti che fanno da cintura alla costa. Qui vicino, a Passo di Rigano, nel 1949 un camion con 18 carabinieri saltò in aria su una mina: un agguato della banda di Salvatore Giuliano. Oggi la bomba è un’altra: sono le 200 mila tonnellate di immondizia indifferenziata che a volte giacciono nei piazzali e nelle vasche, e l’odore che si percepisce non è quello delle arance ma quello marcio di rifiuti in decomposizione, che scende dai monti di Palermo verso la città. A giudizio dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, la discarica palermitana è tra i 30 siti più inquinanti d’Italia. Una bomba ecologica, appunto, costituita dalle vasche di raccolta. Che continuano ad aumentare, parallelamente al volume di rifiuti in arrivo. Erano sei, un anno fa sono diventate sette. E siccome Bellolampo scoppia si programma già l’apertura dell’ottava. “E’ come la coperta di Linus – ironizza Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia, che da anni combatte contro l’inerzia di comune e regione – quando scoppia l’emergenza, che di regola accade ogni sei mesi, si apre un’altra vasca e si va avanti, continuando a peggiorare la situazione”.
Zanna è uomo di sinistra, un passato nel Pci e poi Pds, e non fa sconti alla gestione del sindaco uscente Leoluca Orlando, che ha governato Palermo per 5 mandati, pur riconoscendogli alcuni meriti. “Ma sui rifiuti no, non ha fatto bene, ha perso tempo e si è cullato sul fatto che esisteva un sito pagato dalla regione, quindi con soldi pubblici, su cui contare per rinviare le soluzioni definitive. E si è circondato di amministratori inadeguati. La gestione dei rifiuti a Palermo è consegnata a un solo uomo. Con i risultati che vediamo”. Eccoli i risultati: Palermo è la peggiore città siciliana per per percentuale di raccolta differenziata. Raggiunge appena il 14 per cento, una percentuale ridicola su una produzione di rifiuti che supera le 300 mila tonnellate e che è responsabile dell’abbassamento della media dell’intera regione, visto che tra il capoluogo e Catania (che pure procede malissimo con una quota del 20 per cento sul totale dei suoi rifiuti) vive oltre il 60 per cento dei residenti regionali.
Palermo è la maggiore responsabile dell’emergenza rifiuti in Sicilia, che non riguarda solo il decoro e l’igiene delle strade. L’Ispra nella sua denuncia sottolinea i rischi di diffusione del percolato oltre i confini delle vasche, con potenziali danni per le falde acquifere. E in questo disastro il paradosso è che, a fronte di un pessimo servizio, i cittadini di Palermo pagano tributi più alti che in altre parti d’Italia: una famiglia che abita in un appartamento di 100 metri quadri e composta da 4 persone ha una bolletta che si aggira sui 400 euro l’anno. Cos’è che non funziona, dove si è inceppato il meccanismo? Spiega ancora Zanna: “I rifiuti a Palermo sono gestiti dalla Rap, acronimo che sta per Risorse Ambiente Palermo. Negli ultimi anni, anche prima di Orlando sindaco, l’azienda è stata riempita di personale inadeguato per motivi di voto e di consenso. Una grande mangiatoia – continua – che ha messo al lavoro personale dequalificato e demotivato, spesso assunto con le agevolazioni riservate agli ex detenuti. E, al vertice, scelte logistiche incomprensibili”. Si spiegherebbe con queste incongruenze allora il fatto che, a differenza di altre città, i cassonetti non sono sparsi nel quartiere ma spesso concentrati in blocchi omogenei, uno accanto all’altro. Così accade che l’autocompattatore con un solo viaggio si riempia e parta per Bellolampo, in attesa di essere svuotato e ripartire.
“Nel frattempo il personale in città – sostiene Zanna – se ne va al bar, perché deve aspettare il ritorno del compattatore, i rifiuti restano in strada dove non ci sono cassonetti, e la giornata lavorativa da sei ore e 40 minuti si riduce a 40 minuti”. E la città soffre, avvitandosi in un circolo vizioso quasi inestricabile. Come dimostra la storia dei rifiuti ingombranti. Con il caso dei materassi. Non vengono abbandonati in modo casuale, ma raggruppati assieme, in modo da impedire l’accesso degli autocompattatori ai cassonetti. Si era sparsa la leggenda di una lobby dei materassai in azione, ma che pro? Più probabilmente sono sistemi per rallentare la raccolta, e di conseguenza la fatica del lavoro. Di fatto poi i rifiuti ingombranti i cittadini di Palermo non li consegnano. Perché? Forse perché il tasso di evasione della Tari è vicino al 50 per cento, e se consegni un rifiuto ingombrante devi registrarti all’isola ecologica. Quindi vieni controllato e scoperto come evasore. Meglio buttare la lavatrice di notte per strada.
La situazione è così da anni, e miglioramenti non se ne vedono all’orizzonte. Il progetto del sindaco Orlando di trasformare Bellolampo in un polo industriale è rimasto sulla carta, e si va avanti con le vasche della discarica. Gli ambientalisti ritengono che la crisi si possa sbloccare solo con manovre drastiche: avanti tutta con la raccolta differenziata, e addio ai cassonetti. Come ha fatto a Messina l’ex sindaco Cateno De Luca. A maggio 2021 tolse dalla strada l’ultimo cassonetto, la città dello stretto ha visto schizzare la raccolta differenziata al 55 per cento e restare indenne dalla crisi di ricezione delle discariche siciliane (Messina conferisce a Lentini). I cittadini si adeguano, l’indifferenziata è passata da 270 tonnellate al giorno a poco più di 100 nella prima settimana di giugno. Significa che 170 tonnellate di vetro, plastica, carta e altri materiali più o meno ancora utili hanno preso la strada del recupero.
“Si deve fare così anche in tutta Palermo – ragiona Zanna – non solo nel centro storico. Altrimenti si incentiva il rilascio indiscriminato: c’è gente che arriva per lavorare in città da Carini, da Villabate e visto che entra a Palermo lascia qui, in strada o nei cassonetti, i suoi rifiuti. I cassonetti debbono sparire, possiamo farcela. Ed è insultante per noi sentirci dire, come ha fatto qualcuno, che i siciliani non sono portati alla differenziata”. La differenziata è una delle strade indicate anche dalla regione, ma assieme alla realizzazione di due termovalorizzatori, impianti previsti a Catania e Gela. “Serviranno – sostiene il governatore Nello Musumeci – a liberarci dalla schiavitù delle discariche. La sinistra però non li vuole, e dice che sono mostruosità”. Niente termovalorizzatori, ribatte Legambiente. “Si chiamano inceneritori, significa bruciare rifiuti. Non li vuole più Bruxelles, non li fanno più nemmeno nel nord Europa. E realizzarli, senza contare che ci vogliono 8 anni, e affidarli ai privati vuol dire che per garantire la loro redditività bisogna farli lavorare al massimo: a scapito della raccolta differenziata. Dobbiamo passare all’economia circolare”. Posizioni distanti, quindi. Intanto Bellolampo continua a vivere ed inquina. Di circolare per ora a Palermo c’è solo il problema dei rifiuti. Che gira intorno a se stesso e si ritrova sempre al punto di partenza.
Brescia, il pianeta hi-tech
Sarebbe facile ironizzare sul fatto che forse a Brescia la sera non hanno di meglio da fare. Ma gli incontri con i cittadini sul tema del compostaggio domestico che organizza Aprica, l’azienda del gruppo A2A che serve la città e 100 comuni dell’hinterland sul fronte di ambiente, acqua ed energia, sono un successo: piacciono e c’è il tutto esaurito. Meglio dei cinema, che tanto di sale non ce ne sono più. E così nelle affollate riunioni i tecnici spiegano a una platea di residenti cosa fare con i propri rifiuti a beneficio del proprio piccolo giardino o orto, raccontano in quanto tempo i resti di quel pasto diventano un utile compost, forniscono gratuitamente una compostiera dove raccogliere gli scarti. Chi la riceve risparmia in fertilizzanti e fa autosmaltimento, dando un senso circolare agli avanzi della sua cena. Filippo Agazzi in Aprica è amministratore delegato, e guida l’azienda con una filosofia molto semplice. “Nel settore dei servizi ambientali, dove i cittadini pagano per il servizio che ricevono, vedono i risultati ogni giorno e contribuiscono a determinarli, è importante fare un patto di cooperazione. Debbono essere coinvolti. I servizi ambientali non sono una macchina che funziona girando un interruttore. Funzionano se sono pianificati per essere applicati da milioni di persone, che debbono partecipare alle scelte fatte”.
Tra Brescia e Palermo ci sono 1.450 chilometri di distanza, ma se si guarda a come funzionano le cose la lontananza tra la provincia lombarda e quella siciliana è siderale. Aprica serve un milione di cittadini, ha 979 dipendenti che gestiscono un sistema efficiente. La raccolta differenziata a fine 2019 aveva raggiunto il 73,9 per cento del totale, e il 99 per cento della raccolta urbana era stato destinato a produzione di energia o recupero di materia. La superficie operativa è di 1.700 chilometri quadrati, su cui operano automezzi prevalentemente ecologici: il 51 per cento di questi è alimentato a metano, elettricità, e se con motore endotermico, in categoria Euro 6. I 34 impianti attivi sul territorio sono in grado di lavorare un milione di tonnellate di vetro, carta, plastica e rifiuti organici, oltre alla terra da spazzamento. Sì, persino la terra da spazzamento.
“Le strade vengono pulite regolarmente – spiega Agazzi – con delle macchine. Questo significa che le vetture parcheggiate debbono essere rimosse, per permettere ai getti di acqua e aria di arrivare alla base del marciapiede. Non ci sono operazioni brutali, noi avvertiamo gli utenti che quel giorno ci sarà la consueta operazione”. Sì, ma basta un cartello per avere la carreggiata libera? “No, infatti gli utenti vengono avvisati anche via sms che quel giorno rischiano la rimozione se lasciano la vettura di notte in strada”. Ma si sta facendo ancora di più. “Stiamo introducendo una macchina brevettata da Amsa, la controllata milanese di A2A, che permette di non rimuovere più le vetture per fare la pulizia. La macchina pulitrice passa, l’operatore è dotato di un braccio mobile flessibile che passa sopra la vettura parcheggiata e pulisce il manto stradale, la forza dell’acqua e dell’aria spinge fuori lo sporco e lo consegna ad una bocchetta aspiratrice, che separa le terre dal pulviscolo. Così le pietruzze vengono lavate, divise e inviate al trattamento per un futuro impiego in edilizia”.
A Brescia insomma non si butta niente. Anche per i rifiuti ingombranti o elettronici funziona così. “La raccolta avviene in forma spontanea nei centri aperti tutta le settimana in orario diurno, oppure viene fatta gratuitamente con gli EcoVan per gli anziani che hanno difficoltà a spostarsi. O ancora tramite prenotazione, con l’obbligo però di consegnare il materasso o il videoregistratore non funzionante al piano stradale”. Bisogna registrarsi, per farlo? chiedo. “Certo”.
A Palermo non vogliono registrarsi. “Qui la Tari la pagano praticamente tutti – taglia corto Agazzi – anche perché sanno che pagano di meno. A spanne direi che la tariffa che applica Brescia è inferiore del 50 per cento a quella che applica Roma”. Non è proprio così, ma senza dubbio pagare per i rifiuti a Brescia non è una cosa che spaventa. La città nel 2020 era l’ottava città meno cara d’Italia, con una media di 191 euro quando a Catania se ne pagavano 504. Con i rifiuti in discarica o per strada, però. Insomma l’efficienza significa risparmio, ed è per questo che a Brescia è un obiettivo condiviso: ne guadagna il portafoglio.
“Quello che non va in differenziata va al recupero – argomenta Agazzi – e adesso l’Arera, l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, sta decidendo di condividere i ricavi derivanti dal recupero del materiale tra il gestore e chi appalta. Questo significa che i comuni che riciclano di più hanno maggiori ricavi e possono ridurre la Tari ai cittadini. Questo stimola non solo comportamenti personali virtuosi, ma anche un controllo sociale della collettività, che scoraggia il vicino a gettare l’immondizia dove non deve”. Non siamo ancora alla delazione (anche se qualche episodio c’è stato, con intervento di “Striscia la Notizia”), ma sicuramente alla riprovazione per il reprobo. “E vale per tutti i materiali, intendiamoci. Se tutta l’Italia conferisse correttamente l’umido e avessimo impianti di biodigestione, riusciremmo a produrre 6-7 miliardi di metri cubi di gas all’anno”, spiegano in A2A. Alla faccia di Gazprom, per di più. Se ai bresciani si chiede un commento su quello che accade a Palermo, a Bellolampo, allargano le braccia. “E’ difficile coinvolgere i cittadini in un progetto comune quando sei in quelle condizioni. Devi investire molto nella comunicazione personalizzata, noi siamo in contatto con sms, mail, posta ordinaria e social network, e insistere sul tema del risparmio. Avere la discarica piena è un costo molto alto”. Già, perché quando è troppo piena bisogna portare via i rifiuti. Con i Tir. Nel 2020, per avere un riferimento generale, Roma ne ha spostati 160 al giorno fuori dal raccordo anulare, con una spesa di 128 milioni. Che sono ovviamente finiti in conto alla Tari.
Ma ci sono anche costi indiretti da calcolare. Il decoro, ad esempio. Una città sporca non attira turisti. Il tasso di permanenza dei visitatori a Roma, ha spiegato il ministro Massimo Garavaglia, è sceso a 2,5 giorni. Basso per una città che ha i più ammirati monumenti del mondo. Scoraggiano la permanenza il traffico, il disordine, la sporcizia. Brescia sta sperimentando tecnologie digitali di supporto. “Intanto il conferimento nei cassonetti deve essere autorizzato tramite una sim contenuta nella tessera che distribuiamo – spiegano ad Aprica – il che ci informa se è rotto o è pieno, e chi sta inserendo i rifiuti. Poi stiamo sperimentando sistemi anche per i cestini, un problema particolarmente sentito nelle città d’arte che hanno grandi flussi concentrati di visitatori. I nuovi modelli compattano direttamente il rifiuto e un sensore legge il livello di riempimento. Se è arrivato al limite l’operatore parte per svuotarlo”. il Grande fratello è arrivato anche nel cestino.
Bolzano, il termovalorizzatore che purifica
A Bolzano sono gente pratica, e fanno parlare i fatti. E nella polemica su “termovalorizzatori sì/termovalorizzatori no” hanno idee molto chiare. Anche perché ne hanno uno in casa dal 2013, che a loro giudizio funziona non bene, ma benissimo. Marco Palmitano è l’ingegnere che ricopre l’Incarico di direttore generale di Eco Center e gestisce per conto di Alperia il principale impianto di trattamento dei rifiuti dell’Alto Adige. Ecco le sue ragioni. “Bolzano è una città che storicamente è sempre stata apripista nel tentativo di chiudere la filiera dei rifiuti producendo energia. Ha cominciato nel 1977 con un inceneritore, che sembrava già un enorme progresso rispetto a quanto fatto in precedenza. C’era una discarica temporanea per un’emergenza che che in realtà ha accompagnato la città per 20 anni. E prima ancora, fino agli inizi degli anni 60 – racconta – i rifiuti venivano gettati direttamente nell’Isarco, che poi li portava via, verso il mare. Pazzesco a pensarci oggi. Gli impianti di generazione termica sono stati rinnovati e sostituiti nel 1988 e nel 1995. Quello attuale non è in un altro pianeta rispetto agli inceneritori di cui molti parlano, ma si situa addirittura in un’altra galassia come efficienza, tecnologia e sicurezza ambientale. E trattiamo il 100 per cento del residuo prodotto in Alto Adige e non recuperato tramite la differenziata”.
Il punto da chiarire, dice Palmitano, è che nei termovalorizzatori non vengono gettati indistintamente i rifiuti urbani prelevati dai cassonetti, come qualcuno crede, ma solo la parte che non viene recuperata. E ogni impianto, in più, è fatto per ospitare un determinato tipo di rifiuto, che abbia certe caratteristiche di produzione di calore. Nel forno non entra tutto. Bisogna decidere a priori che impianto fare e progettarlo per il corretto uso, decidere prima se si fa un impianto per Cdr (Combustibile derivato da rifiuto), che ha un potere calorifico alto, o per indifferenziato, che lo ha più basso.
“In termini pratici, la plastica nel termovalorizzatore non entra, perché produrrebbe troppo calore”. Sì, ma le emissioni? Quanto inquina l’impianto di Bolzano? “I sistemi di filtrazione hanno raggiunto una tale sofisticazione che non solo non permettono l’inquinamento, ma addirittura purificano l’ambiente attorno”. Ecco i numeri che fornisce Eco Center di Alperia. L’azienda ha fatto esaminare le polveri ultrafini presenti nell’aria attorno al termovalorizzatore, che non è distante dalla A22, l’autostrada del Brennero. “Lì ci sono 100 mila particelle per centimetro cubo – sostiene Palmitano – mentre in centro città si scende a 20-40 mila. Noi quindi ne aspiriamo 100 mila. E sa quante ne escono dal nostro filtro? Mille, appena mille. Quindi aspiriamo aria di qualità media, dove c’è presenza di residui di carburanti combusti, pneumatici, freni, e ne restituiamo di pulita”. Mi sta dicendo che il termovalorizzatore trasforma l’aria di città in aria di montagna? “Sì, ma di aria d’alta quota, come se fossimo sopra i duemila metri in Alta Badia”. Ma il compito di un termovalorizzatore è quello di produrre energia, non aria pulita. E a Bolzano spiegano che anche su questo fronte le cose funzionano. “Lo scorso inverno – dicono – a fronte di un potenziale di energia di 60 megawattora immessi dai rifiuti nella camera di combustione, ne sono stati recuperati 32 megawattora di energia termica, e 12 di energia elettrica, tramite la turbina”. Morale, nel 2019 Bolzano era una delle città dove la Tari era più bassa in Italia, con una media di 186 euro a famiglia. Roma ce la può fare a raggiungere questi risultati con l’impianto che il sindaco Gualtieri vuole realizzare? “Pensare di costruire un sistema elevato partendo da un livello basico rende la cosa difficile – dice Palmitano – perché le rivoluzioni nei rifiuti si fanno partendo dall’origine. Ma si può procedere step by step, e iniziare a recuperare tutto il recuperabile: poi servono tecnologia, sostenibilità economica, e mercato che accetti il materiale che esce. Ma deve essere chiaro che vanno cancellate le discariche, quegli enormi sarcofagi dove viene gettato e perso tutto”.
Simone Malvezzi è il capo di tutti i termovalorizzatori di A2A. Sono 6 in tutto, 5 in Lombardia e uno in Campania, quello ben noto di Acerra. Non illustra numeri sulla qualità dell’aria intorno ai termovalorizzatori. “Ci basta dire – spiega – che rilevazioni condotte da enti terzi come le università di Milano e Brescia e il Politecnico di Milano hanno evidenziato che il livello di ricaduta ambientale delle emissioni è identico sia che l’impianto sia acceso, sia che sia spento”. Quindi l’impatto sarebbe nullo. “E sarebbe addirittura negativo se lo paragoniamo all’aria vicino a caldaie domestiche tradizionali usate per riscaldare le abitazioni”. Malvezzi ritiene che il dibattito su inceneritori o termovalorizzatori sia prevalentemente di carattere semantico. I secondi sono ideati per recuperare energia dai rifiuti non più riciclabili. “Ma non sono impianti alternativi alla raccolta differenziata, e non la ostacolano, anzi. Servono per chiudere un ciclo più efficiente, che altrimenti porterebbe l’ultima parte della raccolta in discarica. Facciamo ricorso alla memoria, che spesso si smarrisce. Nel 1998 Milano era in emergenza rifiuti e aveva una differenziata al 30 per cento. L’impianto di termovalorizzazione cittadino è stato inaugurato nel 2003, da allora funziona in modo costante e la raccolta differenziata è adesso il 60 per cento del totale. In Campania dove c’è Acerra operativo con noi dal 2010, la differenziata è salita al 50 per cento, e il volume di ingresso di materiale nell’impianto è lo stesso di 12 anni fa”. Alleati quindi, non nemici. Con in più l’aiuto energetico. Tutti gli impianti italiani, dice ancora Malvezzi, possono fornire 4,9 terawattora, che equivalgono al 15 per cento dell’energia elettrica che importiamo: se sfruttassimo tutti i rifiuti arriveremmo al 29 per cento. Sul fronte termico risultati confortanti: a Brescia il termovalorizzatore fornisce l’80 per cento del riscaldamento cittadino. Significa che 20 mila caldaie non hanno bisogno del gas, anticipando nei fatti il distacco strategico da Putin e dalla sua Gazprom. E Brescia e Acerra insieme eliminano l’uso di 170 mila tonnellate all’anno di petrolio equivalente.
Ci crede Malvezzi, nei termovalorizzatori. Certo, bisogna essere trasparenti, accettare il dibattito, anche acceso, con la comunità locale e rendere disponibili a tutti i dati. E non fare battaglie ideologiche a favore o contro. Non è vero ad esempio, dice, che nel nord Europa stanno abbandonando gli investimenti. Ne sono progettati in Finlandia, a Oslo e in Germania; in Inghilterra addirittura ne voglio fare 10. E non è vero che un domani non lontano non serviranno più: la Ue prevede un futuro con il 65 per cento di rifiuti destinati al riciclo ed un 10 per cento in discarica. Quindi il 25 per cento dovrà prendere un’altra strada, e quella del recupero energetico è la più intelligente. Infine, i tempi di realizzazione troppo lunghi. “Non è così, si fanno in 32-36 mesi. Se servono anni è perché cinque se ne perdono in iter autorizzativi”. Ma se il termovalorizzatore è un paradiso perché allora il leader dei 5 stelle Giuseppe Conte ha affermato che non farebbe crescere i suoi figli vicino a un impianto? “Chi lo sa? – dice Malvezzi – io ce li farei vivere. E’ sicuro per chi ci lavora e chi ci abita vicino. Provare per credere”.