Stop ai beni russi
L'Ue abbandona il carbone di Mosca. Le possibili conseguenze sui prezzi
Entra in vigore l'embargo approvato ad aprile: Bruxelles dovrà sostituire circa la metà delle sue importazioni. Ma senza il gas sarà difficile ridurre l'uso di questo combustibile. Gli altri paesi fornitori e il rischio che crescano ancora i costi dell'energia
Da mercoledì 10 agosto i paesi dell'Unione europea non potranno più importare il carbone proveniente dalla Russia. Entra in vigore l'embargo su cui i governi dei paesi europei si erano accordati ad aprile, quando venne definito il quinto pacchetto di sanzioni alla Russia per rispondere all'invasione dell'Ucraina.
Questa rinuncia, necessaria per colpire la stabilità economica russa, ha degli effetti sugli stessi paesi europei: li costringe a fare nuovi contratti con altri fornitori in un momento particolarmente delicato per il mercato del carbone, il cui prezzo è aumentato molto dal primo giorno dell'invasione dell'Ucraina, passando da 223 dollari per tonnellata agli attuali 368, dopo aver superato anche quota 425 dollari. Il rischio è che possano risentirne anche i costi delle bollette, dal momento che l'uso del carbone è aumentato in tutta l'Ue da quando si è reso necessario ridurre il consumo di gas.
L'embargo al carbone è soltanto il primo blocco delle importazione dei beni energetici di Vladimir Putin: la seconda fase inizierà nel 2023 quando l'Ue rinuncerà anche al petrolio. Per Bruxelles smettere di comprare carbone da Mosca è meno complicato che rinunciare al suo petrolio: nel 2020 la Russia ha fornito il 53 per cento del carbone importato.
Negli ultimi anni l'Europa ha ridotto l'utilizzo di carbone, che resta rispetto al gas molto più facile da acquistare altrove, con l'obiettivo di abbandonare gradualmente le fonti fossili. Anche per questo si è scelto di attuare da prima l'embargo sul carbone. L'avvio è diventato effettivo solo ad agosto su pressione della Germania, che essendo il principale importatore in Europa con 12,8 milioni di tonnellate nel 2020, ha chiesto del tempo per poter riorganizzare la propria catena di rifornimenti.
Anche l'Italia è abbastanza dipendente dalla Russia, dato che nel 2020 ha importato il 56 per cento del carbone totale (circa 4 milioni di tonnellate). Mosca è il principale fornitore di carbone italiano dal 2015 e ed è molto probabile che si confermi tale anche nel 2022, dato che le importazioni sono rimaste elevate in questi mesi per fare scorta in vista dell'embargo. Ora l'Italia dovrà rivolgersi maggiormente agli altri grandi fornitori, che hanno già risposto positivamente, quali Stati Uniti, Colombia e Australia, da cui nel 2020 ha importato rispettivamente il 20,6 per cento, l'8,1 per cento e il 5,8 per cento.
Il carbone continuerà ad essere un importante combustibile nei prossimi due anni, tra la necessità di usare meno gas e il contributo ridotto delle fonti di energia rinnovabile, specialmente quella idroelettrica limitata dalle scarse piogge. Il piano del governo è produrre ulteriori 10-12 terawattora rispetto al 2021 di elettricità dal carbone o dall'olio combustibile. Ma non è una particolarità italiana, dato che in tutta Europa l'uso di carbone sta crescendo molto: secondo le stime dell'International Environmental Agency aumenterà quest'anno del 7 per cento.
Il ricorso al carbone è uno dei punti fondamentali, anche se temporaneo, del piano energetico elaborato dal governo Draghi per rinunciare ai 29 miliardi di gas di Mosca. Nel secondo semestre del 2022 si prevede che il carbone verrà usato per sostituire 1,1 miliardi di metri cubi di gas russo e altri 2,3 miliardi di metri cubi nel 2023. Ma il suo prezzo - già molto elevato - rischia di subire ulteriori tensioni, almeno nel breve periodo, ora che bisognerà fare a meno del carbone russo.
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