Outlook tedesco
Tra aiuti “all'europea” e rischi di stagflazione, le scelte della Germania parlano anche a noi
La debolezza sul gas e le cautele di Scholz. Ma Berlino rispetto all'Italia ha ampi margini di manovra
Quando Christian Lindner, ministro delle Finanze, liberale, ha presentato il pacchetto di sostegni e riduzioni fiscali (il terzo piano di aiuti dopo i due varati durante la pandemia) non pochi sono rimasti sorpresi. Ma come, il partito del bilancio in pareggio, lo sbandieratore dell’austerità, quello che voleva tornare al più presto possibile ai parametri di Maastricht adesso spende e spande? “Siamo in una situazione tale che impone di agire subito”, ha dichiarato mercoledì scorso annunciando detrazioni fiscali, bonus, agevolazioni, aumento degli assegni per i figli e un ampliamento della soglia sotto la quale non si pagano le imposte. Insomma, la panoplia indossata da tutti in Europa. Meno tasse è senza dubbio in linea con il pensiero liberale, ma questi nuovi provvedimenti d’emergenza vanno tutti a carico del bilancio pubblico, nel momento in cui l’economia rallenta rapidamente. L’opposizione democristiana e cristiano-sociale rumoreggia e il cancelliere Olaf Scholz ha cercato di tranquillizzare gli ortodossi promettendo che l’anno prossimo le cose cambieranno e si tornerà sulla via maestra del sano bilancio pubblico.
Nemmeno Lindner ci ha rinunciato, al contrario, ma finora è più una speranza che una previsione. La domanda per consumi è scesa dell’8,8 per cento, le famiglie a reddito fisso stanno soffrendo una inflazione alla quale non erano più preparate da almeno quarant’anni e la produzione industriale, il grande motore della crescita tedesca sbuffa. La Germania locomotiva d’Europa è il vagone di coda se si guarda al tasso di crescita dei vari paesi a cominciare da quelli del sud come la Spagna e l’Italia.
Non tutto va così male né tutti sono così pessimisti. La Deutsche Post, il gigante della logistica, non vede nessuna recessione all’orizzonte. La maggior parte delle imprese, secondo fonti del governo, sono piene di ordinativi e anche se si fermasse la domanda (sia quella interna sia quella estera) potrebbero lavorare a pieno ritmo per i prossimi due anni. Tuttavia il ritmo è molto più blando rispetto al recente passato: la produzione è aumentata dello 0,4 per cento a luglio ed è inferiore del 9 per cento a un anno fa. Non solo, si sta stringendo sulle aziende una terribile tenaglia.
Da un lato i problemi di approvvigionamento dei materiali perché la catena globale, spezzata dalla pandemia, non è stata affatto riparata e la guerra in Ucraina peggiora la situazione (il 70 per cento delle imprese lamenta seri problemi soprattutto nell’elettronica, nell’auto e nella costruzione di macchinari, mentre la siderurgia sta subendo un aumento dei costi del 90 per cento). Dall’altro lato, c’è un’inflazione che sfiora l’8 per cento provocata soprattutto dal gas, che ha avuto un effetto calamita su gran parte delle materie prime. Per questo la Bdi, la confindustria tedesca, vede avvicinarsi a passi da gigante la stagflazione. “La gente si sente insicura – ha dichiarato al Financial Times Monika Schnitzer, docente a Monaco e nel consiglio di economisti consulenti del governo di Berlino.
“E’ stato detto loro di risparmiare per far fronte al caro bollette e questo ha depresso i consumi”, dice Schnitzer. La dipendenza dal gas russo è la maggiore debolezza tedesca. Il cancelliere Scholz giovedì nella usuale conferenza stampa estiva si è schierato a favore del gasdotto con Spagna e Portogallo che dovrebbe portare nel centro Europa il gas liquefatto proveniente soprattutto dagli Stati Uniti e dal Qatar (la Spagna ha ben sei rigassificatori ed esporta solo in Francia). Ma ci vorrà tempo, l’anno prossimo la dipendenza dalla Russia resterà ancora molto elevata, ciò aggiunge incertezza a incertezza, sollevando ragionevoli dubbi sulla prospettiva di tornare alla “normalità fiscale”. Se poi davvero arriverà la recessione, allora la politica dei sostegni verrà riproposta anche l’anno prossimo. Ma è davvero impossibile, più che mai impossibile, fare oggi previsioni.
Dunque, mal comune mezzo gaudio? Se la Germania spande sussidi, aiuti, agevolazioni fiscali, perché non farlo altrove, in Italia soprattutto? Il motivo è quasi ovvio: Standard & Poor’s e Moody’s hanno rivisto l’outlook da stabile a negativo, sia per l’una sia per l’altra agenzia il debito italiano è a un passo dal rating speculativo, quel che viene chiamato “spazzatura”. La Germania ha un debito di 2.318 miliardi di euro (l’Italia è a 2.700 miliardi), ma in rapporto al pil resta al 69 per cento rispetto al 152 per cento italiano. I titoli di stato tedeschi vengono classificati con tre A, cioè sono i più sicuri (seguono Francia con 2A e Spagna con una sola A). Berlino paga l’1,2 per cento di interessi, Parigi l’1,8, Madrid il 2,4, Roma il 3,5 (60 miliardi di euro quest’anno). Ci sono più margini di manovra per il bilancio tedesco il cui deficit è al 3 per cento del pil, la metà di quello italiano. Siamo arrivati così sulla soglia del pericolo più grande: la ripresa dello spread tra Btp italiani e Bund tedeschi oggi ancora contenuto al 2 per cento e poco più, anche grazie allo scudo della Banca centrale europea. Se lo spread aumenta e la Bce è costretta a intervenire in modo massiccio, all’Italia verrà chiesta una politica di riduzione del debito e quindi della spesa pubblica.
Come reagirà il prossimo governo? Nel caso sia di destra è facile prevedere una nuova campagna contro “il ricatto della Ue”. Quanto al centrosinistra, si dividerà ancora tra “rigore espansivo” ed espansione senza rigore. Né l’uno né l’altro schieramento potrà tener fede alle promesse elettorali.