L'Europa può uscire dalla trappola del gas solo con un price cap
Fissare il prezzo del gas abbasserebbe il costo dell'energia e manderebbe un chiaro messaggio di unità europa alla Russia, ma non è una strategia senza rischi
In un articolo del 15 luglio su questo giornale ho sostenuto che la spinta inflazionistica che ha colpito quasi tutti i paesi avanzati era precedente alla guerra in Ucraina e aveva cause che non c’entravano nulla con la guerra. Tuttavia il folle salto del prezzo del gas fino a oltre 290 a megawattora ha molto a che fare con la guerra. Ed è indispensabile trovare una via d’uscita, perché questo prezzo non è assolutamente sostenibile. Se non scende rapidamente sarà difficile evitare un micidiale mix di inflazione e recessione in Europa.
L’aumento del prezzo è dovuto a vari fattori. Un primo fattore è rappresentato dai tagli, in genere temporanei, delle forniture messi in atto dalla Russia con la scusa che le sanzioni rendono più difficile effettuare la manutenzione degli impianti. A questi tagli si aggiunge il blocco totale delle forniture ad alcuni paesi (Polonia, Bulgaria, Finlandia e Danimarca) con la motivazione che non hanno accettato il cervellotico schema di pagamenti in rubli imposto dalla Russia. Un secondo fattore, molto più importante, è la convinzione dell’Occidente che la Russia prima o poi deciderà di venir meno ai propri impegni contrattuali a lungo termine e strangolerà l’Europa con tagli improvvisi di gas.
Questa convinzione è corroborata dai tagli dei flussi di gas già effettuati dalla Russia. Data questa convinzione, i paesi europei stanno cercando di ridurre il più rapidamente possibile la dipendenza dalle importazioni russe. Per non comprare dalla Russia, i ministri europei corrono in giro per il mondo per accaparrarsi il poco gas che è disponibile; e ovviamente questo genera aumenti di prezzi. Questo meccanismo è doppiamente perverso. Perché i paesi europei sono in concorrenza fra di loro (non si è riusciti a fare un’unica centrale di acquisto a Bruxelles) e perché la sostituzione del gas russo dovrebbe avvenire in tempi brevissimi (entro l’inverno) che non sono compatibili con quelli medio-lunghi che sono necessari per aumentare l’offerta. Anche questi fattori contribuiscono ad aumentare il prezzo.
In teoria, il tentativo degli europei di affrancarsi dal gas russo dovrebbe far aumentare i prezzi in Europa, ma dovrebbe contribuire a ridurre i prezzi del gas russo, la cui domanda diminuisce. Ma questo non accade e qui si arriva al paradosso assoluto: ciò che stiamo facendo fa aumentare anche i prezzi del gas russo al punto che aumentano gli afflussi di valuta pregiata verso le federazione russa e dunque le risorse per il finanziamento della guerra (Fonte: l’ultimo rapporto Crea, Center for Research on Energy and Clean Air). Davvero un risultato paradossale, specie se si pensa alla sofferenza che tutto questo sta provocando alle famiglie e alle imprese europee.
Ciò avviene per diversi motivi. Innanzitutto, gli aumenti causati dagli europei sui mercati internazionali spiazzano i paesi emergenti, in primis Cina e India, e li obbligano ad aumentare la domanda di energie fossili (sia gas sia energie sostituibili) dalla Russia. In secondo luogo, a quello che sembra per ora la riduzione effettiva della domanda europea di gas russo è modesta, per cui la riduzione dell’offerta è maggiore di quella della domanda. Infine, gli operatori sui mercati internazionali del gas (il principale in Europa essendo il Ttf olandese) anticipano che prima o poi l’offerta di gas russo si ridurrà molto, perché così vuole l’Europa, e anche questo tiene alti i prezzi.
Un altro aspetto paradossale di questo meccanismo lo si vede quando la Russia effettua i tagli delle forniture: l’Europa non ha alcun titolo per protestare (e infatti lo fa a voce bassa) perché in fondo i tagli non fanno altro che contribuire a realizzare quell’indipendenza dal gas russo che l’Europa si propone. Abbiamo dichiarato urbi et orbi che non vogliamo comprare dalla Russia; come facciamo a protestare se la Russia ci impedisce di comprare? A fronte dei tagli, l’Europa potrebbe ad esempio minacciare di mandare più armi all’Ucraina, ma questa strada è ovviamente preclusa.
Tutto questo avrebbe forse un senso se riuscissimo davvero ad azzerare gli acquisti dalla Russia, ma non ci riusciamo e il risultato è quello che si è detto. Come si esce da questa trappola? L’unico modo che appare possibile è quello del tetto al prezzo del gas russo, come da mesi va predicando il nostro governo. Si tratta di giocare a muso duro con i russi e dire che non possiamo continuare a onorare i vecchi contratti a lungo termine che prevedevano l’indicizzazione ai prezzi spot. Non possiamo farlo per ragioni di forza maggiore: quando i contratti furono stipulati i prezzi spot del gas erano nell’intorno di 20 euro, ora sono a 290. E’ una strategia chiaramente rischiosa, oltre che complessa da amministrare, perché è possibile che la Russia reagisca tagliando le forniture in pieno inverno; ma sarebbe una strategia migliore del paradossale status quo. Nel frattempo bisogna ovviamente continuare a fare ciò che si sta facendo per diversificare le fonti e i fornitori, ma con meno fretta e quindi mettendo meno pressione sui prezzi. È in ogni caso essenziale che a nessuno venga in mente di rompere quel tanto di solidarietà europea che pure sopravvive per andare da Putin con il cappello in mano; sarebbe utile che, nella campagna elettorale italiana, le forze politiche si pronunciassero chiaramente su questo punto.