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guerra energetica

Putin ricatta l'Europa col gas e Gazprom torna a staccare dividendi. Dopo l'inverno cambia tutto

Federico Bosco

Il Cremlino mantiene l’incertezza sulle forniture senza bloccarle del tutto e contemporaneamente alimenta disordine e paura, credendo che l'Europa getterà la spugna

Ieri la Russia ha di nuovo interrotto le forniture di gas all’Europa del Nord Stream, dando seguito all’annuncio di una chiusura per manutenzione di tre giorni di un gasdotto che stava funzionando al 20 per cento del potenziale. Nelle stesse ore le quotazioni sulla borsa di Mosca di Gazprom sono aumentate del 30 per cento alla notizia del pagamento di acconti sui dividendi record del primo semestre del 2022. Non era mai successo che il colosso statale russo pagasse un acconto a sei mesi, la crescita in borsa ha riassorbito il crollo (sempre del 30 per cento) di due mesi fa dopo la notizia, opposta, che non sarebbero stati pagati i dividendi del 2021. 

 

Queste manovre vengono guardate con sospetto anche dagli operatori finanziari russi, e dal punto di vista europeo risultano come l’ennesimo mistero da decifrare in vista di un inverno difficile, destinato a farsi ricordare a lungo. Non è un segreto che Vladimir Putin volgia usare il gas per spaccare l’unità degli stati dell’Unione europea  per imporre il ritiro delle sanzioni: il suo portavoce Dmitri Peskov ha detto che “la Russia rispetterà gli obblighi sulle forniture” sottolineando che a ostacolare le esportazioni “sono solo i problemi tecnici derivanti dalle sanzioni”. 

 

Mosca crede che gli europei getteranno la spugna e sta usando una doppia strategia per raggiungere questo obiettivo: da un lato mantiene l’incertezza sulle forniture senza bloccarle del tutto per limitare i danni e non recidere definitivamente i rapporti con l’Ue (il gas russo non è oggetto delle sanzioni), dall’altra alimenta disordine e paura diffondendo messaggi minacciosi come quelli dei suoi diplomatici o del falco Dmitri Medvedev, che da Telegram invita gli europei a “punire nelle urne i loro governi idioti”. 

 

Tuttavia, anche se tardivamente, i paesi europei hanno preso atto della realtà e stanno prendendo le contromisure: la domanda che ci si pone oggi non è se, ma quando il gas russo smetterà di essere necessario per l’Europa, e quando smetterà di arrivare. Lo scenario più probabile è che la Russia cercherà di stritolare i paesi europei nel momento di maggiore bisogno (presumibilmente a inizio 2023), riducendo fino a interrompere il flusso di alcuni gasdotti. 


Secondo l’economista russo Marcel Salikhov del Carnegie Endowment for International Peace, lo stop potrebbe realizzarsi già da quest’inverno, ma nonostante le difficoltà che dovranno affrontare né Salikhov né altri analisti pensano che i governi europei cederanno chiedendo a Putin di riaprire i rubinetti del gas in cambio, sostanzialmente, dell’abbandono dell’Ucraina. Come affermato dala presidente della Commissione ue Ursula von der Leyen, cedere a un ricatto di questo tipo significherebbe rendersi vassalli, perdere ogni legittimità nelle relazioni internazionali, rinunciare completamente alla dignità e alla sovranità nazionale. Giunti a questo punto la richiesta implicita di Putin all’Europa va ben oltre le concessioni possibili. 

 

Dopo questo inverno la crisi energetica non sarà risolta, ma il Cremlino non potrà più utilizzare le esportazioni di gas come un’arma geopolitica contro i paesi europei. Probabilmente entro il 2023-2024 il Nord Stream e i principali gasdotti che attraversano l’Ucraina smetteranno di funzionare, le esportazioni passeranno solo attraverso il Turk Stream e poco altro. Gazprom non sarà più la stessa. Ieri la società ha annunciato un aumento delle esportazioni in Cina del 60 per cento, ma dirottare tutti volumi europei (circa 150 miliardi di metri cubi) sul mercato asiatico è impossibile, per mancanza di inrfastrutture.

 

La Bulgaria sta negoziando riservatamente con i russi una ripresa delle forniture dopo l’interruzione di aprile a causa del mancato pagamento in rubli, l’Ungheria ha annunciato un contratto di fornitura aggiuntiva che prevede fino a 5,8 milioni di metri cubi su base giornaliera.  Ma con questi volumi, in futuro i rapporti di forza potrebbero addirittura invertirsi. Altri paesi dell’Asia centrale, ad esempio l’Uzbekistan che non ha abbastanza gas proprio, potrebbero essere interessati a importare dalla Russia, ma di certo non saranno in grado di far staccare i dividendi che pagavano i grandi paesi europei.

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