Il gas in Italia c'è, ma non lo vogliamo
Lo stato chiede maggiore efficienza energetica ai cittadini ma dimentica di combattere la sua inefficienza. Esempio: i 90 miliardi di metri cubi di gas che ha scelto di non usare. Un impegno urgente per chi andrà a governare
Se vi dicessero che in Italia esiste una soluzione a portata di mano che in un colpo solo potrebbe aiutare il nostro paese (a) a prevenire razionamenti futuri, (b) a essere più indipendente dalla Russia, (c) a essere padrone del suo destino energetico, (d) a non rendere necessario l’utilizzo eterno di nuovi rigassificatori, (e) a essere meno vincolato ai regimi illiberali, (f) a essere maggiormente in grado di governare le sue bollette, (g) a essere davvero fedele ai piani europei sulla decarbonizzazione e (h) a essere persino in grado di creare nuovi posti di lavoro. E se vi dicessero poi che questa soluzione a portata di mano viene tenuta lontana dal dibattito pubblico per questioni ideologiche, per capricci demagogici, per sottomissione all’agenda populista, voi che cosa direste? Direste probabilmente: oh, ma siete tutti impazziti? Bene. Esiste in Italia, quando si parla di gas, una gallina dalle uova d’oro che il nostro paese ha scelto da anni di ignorare. Quella gallina si trova sui fondali italiani e coincide con una quantità mostruosa di gas che il nostro paese ha scelto di lasciare in fondo ai suoi mari. Le stime sono queste: in Italia, le riserve italiane di gas accertate, quelle cioè già certificate, corrispondono a 92 miliardi di metri cubi. Secondo Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, sotto terra in Italia in realtà c’è molto di più, “c’è metano per 200 miliardi di metri cubi”, ma restiamo su quel numero: 92 miliardi. Per capire di cosa stiamo parlando qualche numero può aiutare.
L’Italia consuma ogni anno circa 72 miliardi di metri cubi di gas. Di questi, 29 miliardi, fino allo scorso anno, arrivavano dalla Russia. Vent’anni fa, l’Italia produceva circa 17 miliardi di metri cubi di gas, autonomamente, oggi ne produce invece circa 2,4 all’anno (perfetta agenda Tafazzi). Avete compreso bene: l’Italia ha gas che non usa, perché non lo vuole usare, a causa di un mix letale formato da partiti populisti che sull’energia dettano l’agenda ai partiti di governo oltre che alla giustizia amministrativa, e mentre l’Italia sceglie di non utilizzare il gas cerca disperatamente un modo per rimpiazzarlo pagandolo a caro prezzo. Si dirà: ma come è possibile questa follia?
Tutto inizia nel 2010 quando il governo di centrodestra, per volontà dell’allora ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, firma a giugno un decreto che amplia da 5 a 12 miglia dalla costa l’area di divieto di ricerca e di perforazioni in mare. Passano gli anni e quel divieto rimane scolpito nel marmo. Ci prova Matteo Renzi, nel 2016, ad abrogare, via referendum, quel divieto, ma il referendum fallisce e il limite rimane lì (ve li ricordate i No triv, no?). Poi ci prova anche il governo Draghi, che all’interno del piano energetico presentato in primavera dal ministro Cingolani prevedeva l’estrazione aggiuntiva dagli attuali giacimenti di gas di circa 2 miliardi di metri cubi in più (estrazione che ancora non è partita, incredibilmente, a causa dell’ostruzionismo di molti partiti presenti nella maggioranza, in primis Pd e M5s). Si dirà: e se quel divieto non ci fosse, cosa succederebbe? E per far succedere qualcosa, che tempi ci sarebbero? Assomineraria, l’associazione italiana (aderente a Confindustria) delle aziende attive nell’industria mineraria e degli idrocarburi, ha fatto una stima, presentata al ministero della Transizione ecologica, che prevede la possibilità di poter utilizzare 12 miliardi di metri cubi all’anno di gas italiano portando il divieto a 9 miglia invece che a 12 e investendo sulle piattaforme che esistono già e creando dunque anche nuovi posti di lavoro, of course. I tempi: non immediati, naturalmente, ma nel giro di appena dodici mesi la produzione interna di gas passerebbe dagli attuali 2,4 miliardi di metri cubi a 12 miliardi. Il tutto solo tenendo in considerazione i giacimenti già accertati e non solo quelli potenziali (per capire: il piano di risparmi presentato due giorni fa dal ministro Cingolani ammonta a 8,2 miliardi di metri cubi). Si dirà: e che c’entra tutto questo con la difesa dell’ambiente? Facile. L’Italia, come tutti i paesi dell’Unione europea, ha sottoscritto un piano che prevede un abbattimento delle emissioni di anidride carbonica, rispetto ai valori del 1990, del 55 per cento entro il 2030 (attualmente siamo a meno 40 per cento rispetto al 1990), e non ci vuole molto a capire che un conto, per l’Italia, è sostituire il gas russo con gas importato da altri paesi, che pretendono contratti lunghi e che ci vincolerebbero al gas anche quando l’Italia potrebbe farne a meno.
Un altro conto è per l’Italia poter essere più flessibile nell’utilizzo del gas, vincolandosi prevalentemente alla sua produzione interna. Lo suggerisce il buon senso, naturalmente, ma lo suggerisce anche l’Europa, che il 31 maggio del 2022, nelle conclusioni di un Consiglio europeo, ha esortato tutti i paesi dell’Unione a impegnarsi a ottimizzare l’uso delle riserve del gas per fronteggiare l’emergenza. Il price cap è importante, ovvio, le misure tampone contro il caro energia sono necessarie, è chiaro, la richiesta di una maggiore efficienza da parte delle famiglie e delle imprese nell’uso dell’energia è sacrosanta, ci mancherebbe. Ma una domanda, oggi, risulta spontanea: è davvero lesa maestà chiedere alla politica di impegnarsi, nel prossimo governo, per estrarre tutto il gas che ha a disposizione l’Italia scommettendo sull’efficienza non solo degli italiani ma anche dello stato? Risposte gradite, grazie.