Indipendenza energetica: che aspettiamo a estrarre di più?
Il gas nel sottosuolo, i tabù e la vera efficienza che serve: non solo degli italiani ma anche dello stato. Girotondo tra i partiti
Il gas in Italia c’è, ma non lo vogliamo. Ieri qui sul Foglio, il direttore Claudio Cerasa ha posto una domanda ai partiti: è davvero lesa maestà chiedere alla politica di impegnarsi, nel prossimo governo, per estrarre tutto il gas che ha a disposizione l’Italia scommettendo sull’efficienza non solo degli italiani ma anche dello stato? Il riferimento, naturalmente, è ai 92 miliardi di metri cubi già accertati e certificati che esistono sui fondali dei mari italiani. Assomineraria, l’associazione italiana (aderente a Confindustria) delle aziende attive nell’industria mineraria e degli idrocarburi, ha fatto una stima, presentata al ministero della Transizione ecologica, che prevede la possibilità di poter utilizzare 12 miliardi di metri cubi all’anno di gas italiano portando il divieto a 9 miglia invece che a 12 e investendo sulle piattaforme che esistono già e creando dunque anche nuovi posti di lavoro. Che aspettiamo? Alcuni partiti ci hanno risposto.
Più gas. E’ un impegno
La Lega continuerà ad impegnarsi affinché si possa estrarre più gas naturale dai giacimenti nazionali. Lo abbiamo anche scritto chiaramente nel capitolo energia del nostro programma. La Lega ha sempre riconosciuto al gas il ruolo strategico di accompagnamento nella transizione ecologica e da anni sosteniamo (diversi atti parlamentari lo testimoniano) la necessità non solo di sostenere la produzione di biometano, ma soprattutto di aumentare la produzione nazionale di gas naturale con la riattivazione delle piattaforme esistenti e riprendendo l’esplorazione di nuovi giacimenti, anche rivedendo il PiTESAI che è un Piano che sta bloccando tutto, ivi compresa – temiamo – l’attuazione della “gas release” relativa alla maggiore produzione di circa 2,5-3 miliardi di metri cubi di gas, da assegnare a prezzi calmierati ai settori industriali esposti al caro energia e a rischio di chiusura.
L’abbandono della produzione di gas negli ultimi anni, considerato il male oscuro perché fonte fossile, nonché i tentatavi anche recenti di Pd, sinistra, verdi e M5s, in Europa e in Italia, di escludere il gas dalla Tassonomia, sono decisioni irresponsabili mosse dall’ideologismo ambientalista che hanno contribuito sia ad aumentare la nostra dipendenza energetica dall’estero (che per il gas è passata dall’80 per cento del 2001 al 96 per cento dello scorso anno), ed in modo significativo dalla Russia, sia a minare la sicurezza del nostro sistema energetico, peraltro, senza avere contribuito a tutelare l’ambiente, ma anzi inquinando di più perché le maggiori importazioni con metanodotti e navi metaniere hanno determinato più fughe climalteranti.
Paolo Arrigoni,
senatore, responsabile Energia Lega
No, spiace, ma il gas non c’è. E non lo vogliamo
La vera domanda che sorge spontanea leggendo articolo del DIrettore Cerasa è: vogliamo finalmente essere corretti nell’informare il cittadino sui temi dell’energia? Si possono fare ipotesi sul tema dello sfruttamento del gas italiano senza considerare i risultati di uno studio approfondito e generoso sviluppato nel febbraio scorso dal MiTE (il cosiddetto Pitesai, il piano per le esplorazioni del gas sul territorio italiano)? Il Pitesai propone di raddoppiare la produzione di gas, da circa 3,5 a complessivi 6-7 miliardi di metri cubi l’anno in tre-quattro anni, e quindi appare fuori di logica pensare di estrarre 12 miliardi di metri cubi l’anno in dodici mesi.
Comunque, stiamo parlando di piccole quantità, sostanzialmente ininfluenti in una logica geopolitica del mercato del gas, e anche sulla formulazione dei prezzi dell’energia. Inoltre, in una operazione del genere, servirebbero modalità di coinvolgimento dei territori e una individuazione operativa delle procedure contrattuali per le famiglie e le imprese che dovranno beneficiare, a prezzi più bassi, di questa autoproduzione. Ma la mannaia della recente revisione dell’articolo 41 della Costituzione, quello della iniziativa economica privata, è tranchant perché questo è il tipico caso in cui verranno alimentati ricorsi e impugnative con conseguente ulteriore allungamento delle tempistiche, visto che un certo impatto sull’ambiente tale attività lo avrebbe.
Quindi tempi di realizzazione lunghi e gestione trentennale delle piattaforme che rallentano di fatto la soluzione vera ai problemi di decarbonizzazione e di costo dell’energia, quella di accelerare con l’installazione di impianti con fonti rinnovabili. Insomma, una soluzione debole che certifica il cerchiobottismo inutile del nostro paese. Allora la richiesta di chiarezza per eliminare una superficiale analisi su problemi complessi dovrebbe partire dal dare risposte concrete ad alcuni interrogativi: 1) quali sono i costi industriali per attivare nuovi pozzi o riattivare quelli esistenti? 2) ci sono imprese disposte a investire in ciò con orizzonti di sfruttamento dei giacimenti di pochi anni? 3) si è considerato che parte di questi giacimenti nell’Adriatico hanno come effetto la subsidenza di Venezia? 4) il gas estratto come lo si “isola” dal resto del mercato del gas che si quota ad Amsterdam? 5) ci interessa ancora qualcosa delle emissioni di CO2 che si potrebbero evitare con le rinnovabili? 6) cosa succede ai territori in prospettiva, una volta finito il gas italico (7-10 anni)? In definitiva, si è considerato il pericolo di sprecare risorse pubbliche per un centinaio di cattedrali nel deserto?
Livio de Santoli,
Professore ordinario La Sapienza di Roma. Candidato M5s alla Camera
Per estrarre di più bisogna sospendere il Pitesai
Prima di ogni cosa è necessario arginare la pressione speculativa che viene fatta ad Amsterdam. Parlare di scostamento di bilancio senza aver risolto questo nodo rischia di vanificare ogni sforzo del Parlamento. Soldi che rischierebbero di essere bruciati nella spirale di aumenti. Sarà indispensabile convincere l’Ue a porre il tetto al prezzo del gas vincendo le resistenze di Olanda e Germania, ma sarà altrettanto necessario disallineare il prezzo del gas da quello dell’energia. Il prezzo dell’energia è costituito in quota parte dalla produzione del fotovoltaico, eolico, carbone e altro. Se questa modalità viene equiparata al costo del gas non si sta facendo solo speculazione ma una truffa.
Si parla di far pagare gli extra-profitti alle società che hanno realizzato guadagni astronomici. Il Governo è intervenuto, ma la norma scritta maldestramente da Palazzo Chigi ha scatenato i ricorsi d’incostituzionalità. Quindi risulta urgente correggerla ma anche chiedere il rimborso totale del differenziale tra il prezzo dell’energia prodotta attraverso il gas e altre forme. Infine immaginare una tassazione più robusta di quella del 25 per cento perché il gas che si sta vendendo agli utenti è quello acquistato prima dell’invasione dell’Ucraina a prezzi più contenuti.
Per quanto riguarda la riattivazione delle piattaforme estrattive esistenti del gas domestico la soluzione è la sospensione del Pitesai, piano scritto da Conte e vergato da Draghi che ha bloccato la captazione del gas nostrano. Potremmo recuperare circa 300 miliardi di metri cubi che, con quello dell’Azerbaigian, del Mare del Nord e dell’Algeria ci consentirebbero di fare a meno dei 30 miliardi metri cubi di gas di Mosca e riacquisire autonomia energetica. E’ il momento di attivare il giacimento Eni di Cipro.
Altra storia è quella dell’energia idroelettrica, fonte rinnovabile e sovrana da cui traiamo il 18 per cento di energia. Una quantità migliorabile con la riconduzione forzata, riportando l’acqua in quota con un pompaggio per farla ricadere ‘n’ volte, ricavandone energia pulita. Meccanismo che non subisce affatto il fenomeno della siccità perché riusa sempre la stessa acqua. Ma le centrali idroelettriche sono state trascurate, portate al minimo produttivo e infine messe da Draghi sul mercato europeo in forza della Bolkestein. Vuoi vedere qualche multinazionale le trasformerà in business?La partita è su più fronti e spiccano l’assenza di visione e l’abbandono della capacità produttiva per consegnarsi alla fallimentare spinta ha spostato l’asse geopolitico del pianeta verso la Russia o Cina. Ecco il conto.
Fabio Rampelli
vicepresidente della Camera dei deputati, Fratelli d’Italia
Il gas nazionale è fondamentale per l’autonomia e la transizione
Il populismo di desta e di sinistra ha distrutto ogni tentativo di rendere questo paese autonomo e sicuro dal punto di vista energetico. Siamo gli unici ad aver avuto una posizione sempre coerente sul gas e la transizione ecologica. Essendo la meno inquinante tra le fonti fossili, il gas deve essere considerato come l’energia di transizione e sarà fondamentale nei prossimi anni per gestire l’intermittenza delle fonti rinnovabili. Per questo è fondamentale ridurre e diversificare, per quanto possibile, la dipendenza da altri paesi.
Nel 2016 il governo Renzi proposte di eliminare il divieto di ricerca e perforazione entro le 12 miglia, la strategia energetica nazionale definita dal ministro dello Sviluppo Calenda prevedeva l’utilizzo di due navi rigassificatori per diversificare le importazioni di gas e più recentemente (già a gennaio 2022) Azione ha proposto di investire nell’aumento delle estrazioni di gas italiano rivampando gli impianti esistenti anche attraverso co-finanziamenti da parte delle imprese che utilizzano grandi quantità di gas nel processo produttivo (c.d. “gasivore”) che potrebbero poi acquistare il gas a prezzi più competitivi con accordi di lungo periodo.
Oltre al beneficio diretto dato dalla quantità di gas a disposizione, potenziare le estrazioni consentirebbe di aumentare le entrate per lo stato derivanti da maggiori royalties le cui aliquote andrebbero allineate con il resto d’Europa eliminando le esenzioni sotto un certo volume di estrazione. Questi fondi potrebbero essere utilizzati per compensare i territori eventualmente impattati dalle infrastrutture energetiche. Infine riteniamo necessario sviluppare sin da ora sistemi di cattura e stoccaggio della CO2 prodotta dalle centrali termoelettriche a gas per assicurare il raggiungimento degli obiettivi europei di riduzione delle emissioni di CO2 del 55 per cento anche nel caso cui fossimo costretti ad utilizzare una quota maggiore di gas per sopperire ad eventuali riduzioni della quantità di energia importata o generata da fonte idroelettrica.
Gabriele Franchi,
responsabile ufficio studi di Azione