Dal gas al grano alla siccità, come spezzare il ciclo delle paure
Un po' di storia della crisi petrolifera negli anni Settanta ci aiuta a ridimensionare i nostri guai. Che sono seri, ma non gravi. Il rischio è che diventino gravi ma non seri, per colpa di chi cavalca l'onda del panico
Senza perdere la sua eleganza un po’ algida, Christine Lagarde si è sfilata il guanto di velluto e ha mostrato un seppur incerto pugno di ferro. Il costo ufficiale del denaro sale ancora: il tasso di riferimento passa da zero a 0,75 per cento, il tasso principale all’1,25 per cento. Addio zero interessi, addio èra Draghi. Il circo mediatico-politico squaderna il suo lessico sportivo-militaresco. La Bce usa “l’estintore”, poi passerà al “bazooka”. Quanto al gas “vola”, un po’ in alto un po’ in basso, due settimane fa si pagavano 340 euro al chilowattora, ora il prezzo è planato sotto quota 200. Scenderanno anche le bollette? L’inflazione “galoppa” e non ci siamo più abituati, ma piano con i paragoni, nel 1980 era al 21 per cento, oggi al 9. Le rate “s’impennano”, però quando prezzi e tassi erano vicini allo zero si sono sottoscritti per lo più mutui a tasso fisso. E i risparmi? “Falcidiati” soprattutto se restano sotto il materasso. I depositi in conto corrente sono cresciuti di 509 miliardi di euro l’anno scorso (+45 per cento) arrivando a 1.629 miliardi, un anno di pil. Sarebbe ora di sbloccarli, ma chi si muove mentre soffia il vento e urla la bufera?
“Una crisi peggiore della pandemia è in arrivo nel prossimo autunno”, declama la giornalista alla radio. Dunque ci saranno 180 mila morti: possibile? Calma, fare sarcasmo è di cattivo gusto. Acciaierie di Sicilia si ferma per due settimane, è solo l’inizio, le aziende chiuderanno una dopo l’altra (Guido Crosetto, sì anche lui) e un milione di persone perderanno il lavoro, disoccupato in più disoccupato in meno. Lo annuncia stentoreo Matteo Salvini. E chi gliel’ha detto? Il segretario della Cisl, Luigi Sbarra, il quale lo ha rivelato urbi et orbi dal cortile di San Francesco ad Assisi. E lui da chi lo ha saputo? Da “alcune proiezioni”, aggiunge senza spiegare quali, come e quando. Qualcuno glielo avrà pur detto, con tutti i pensatoi che ogni giorno lanciano i loro cattivi auspici non è difficile trovare “proiezioni”.
Un milione di persone perderanno il lavoro, annuncia Salvini. Chi gliel’ha detto? Il segretario della Cisl. E lui da chi lo ha saputo? Da “alcune proiezioni”
Il rumore di fondo dice una cosa sola: tremate. La paura è una cosa seria, alberga in tutti noi, guida l’agire e il pensare, segna la vita, conduce alla morte. E’ stato Tito Lucrezio Caro a lanciarsi in un’analisi poetica, ma anche filologica, distinguendo vari gradi e sfumature di uno degli stati d’animo più importanti. C’è il terror che viene dall’esterno ed è spesso provocato da un’aggressione. L’horror è una reazione istintiva come quando si rizzano i peli, a causa di un fulmine o una tempesta. Anche l’horror, il timor sacro, è frutto dell’istinto. Il pavor è il panico, arriva quando l’anima si restringe e si diventa incapaci di reagire. Con il metus la paura si fa cronica: è allora che diventa instrumentum regni, un impasto di superstizione e politica. E qui s’annida la prevaricazione. Non si può certo condannare la vittima, quel che va messo al bando è l’uso politico. Lucrezio descrive le parole dei sacerdoti pagani che generano terrore, le minacce dei vati che impauriscono la gente, i timori infondati, ma proprio per questo più pericolosi.
La pandemia ha generato persino il metus, ma è stata superata (chissà se per sempre) dai vaccini, passati attraverso l’onere della prova. La recessione (la peggiore del secolo e anche di quello trascorso, ogni volta si ripete lo stesso refrain) è stata compensata dalla crescita più forte del previsto che ha fatto recuperare il prodotto lordo distrutto dal Covid-19. Adesso è Vladimir Putin a scatenare “una grande tempesta globale”. Dopo l’invasione dell’Ucraina è cominciata una successione degna delle sette piaghe d’Egitto, la siccità, la fame per mancanza di grano, il freddo per mancanza di gas.
Nel 1973, il governo Rumor varò un decreto sull’austerity che imponeva assieme ai rincari per i carburanti anche un “coprifuoco”
Gran parte di chi oggi getta carbone nella fornace della paura non era ancora nato quando la domenica si doveva andare a piedi, si spegnevano le luci delle città, i termosifoni nei palazzi si accendevano solo per poche ore e mai la notte. Correva l’anno 1973 e il prezzo del petrolio era aumentato di ben quattro volte, anche allora per ragioni politiche, come arma contro l’occidente. Tra il 16 e il 20 ottobre Arabia Saudita, Iran, Iraq, Abu Dhabi, Kuwait e Qatar, assieme alla Libia, in risposta alle forniture militari Usa agli israeliani durante la guerra arabo-israeliana scatenata dall’attacco di Egitto e Siria durante la festa dello Yom Kippur (6 ottobre), decisero un rialzo unilaterale del 70 per cento del barile di petrolio seguito dal taglio della produzione e dall’embargo contro gli Stati Uniti e le nazioni alleate. La scelta fece salire il costo del petrolio da 3 a 12 dollari per barile. Il 22 novembre del 1973, il governo guidato da Mariano Rumor (Dc) varò un decreto sull’austerity che imponeva assieme ai rincari per i carburanti e per il gasolio da riscaldamento, anche un vero e proprio “coprifuoco” per limitare i consumi di energia (taglio dell’illuminazione pubblica, abbassamento della tensione elettrica notturna, riduzione degli orari dei negozi, chiusura anticipata per cinema, bar e ristoranti, sospensione alle 23 dei programmi televisivi, limiti di velocità che durano ancora oggi). Il 2 dicembre del 1973 arrivò la prima domenica di stop alle auto private e agli altri veicoli a motore non autorizzati (misura estesa alle festività infrasettimanali). Durò fino al 10 marzo 1974 con un risparmio per ogni giornata “a piedi” di 50 milioni di litri di carburanti. Quattro anni dopo furono limitati i festeggiamenti per alcune ricorrenze tra le quali l’Epifania perché la crisi petrolifera ebbe un’appendice quando cadde lo scià di Persia, l’ayatollah Khomeini tornò dall’esilio e trasformò l’Iran in una teocrazia tirannica. Correva l’anno 1979.
Mercoledì il governo italiano ha deciso che i riscaldamenti andranno ridotti di un grado e accesi un’ora in meno al giorno a seconda delle fasce climatiche, con qualche blando consiglio per usare con parsimonia il gas. Docce tiepide e brevi, bollire l’acqua chiudendo la pentola con il coperchio, staccare la spina della tv una volta spenta e una serie di raccomandazioni da economia domestica. Ci si mette anche il premio Nobel Giorgio Parisi e suggerisce di cuocere la pasta spegnendo il fornello dopo la bollitura. Apriti cielo, saltano su gli chef che ormai formano una lobby influente a difesa del made in Italy, dalla carbonara senza panna all’amatriciana con il guanciale (mai la pancetta per carità). Il circo si rimette in pista accompagnato da lagnanti marce funebri, manca solo un orso polare che pattina sulla laguna di Venezia trasformata in una gigantesca pista ghiacciata e l’immagine della nuova glaciazione è completa.
Aspettando i morsi del generale inverno, non sembrano grandi sacrifici, sono certo molto più blandi rispetto agli anni Settanta. Serviranno a qualcosa? I risparmi previsti sono di 8,2 miliardi di metri cubi in un anno su 76 miliardi (fabbisogno medio), quindi circa il 15 per cento dei consumi, ma attenzione, insieme ai rimedi della nonna sarà necessario mandare a carbone alcune centrali oggi alimentate a gas, spingere al massimo sulle fonti rinnovabili, rimpiazzare il metano russo con quello proveniente da Algeria, Congo e Qatar (dal prossimo anno). E forse non basterà perché in caso di vera emergenza la Ue prevede un taglio della domanda pari al 7 per cento, non molto, ma abbastanza per far gridare al lupo al lupo. E quanto dureranno le riserve strategiche? I depositi sono pieni all’80 per cento circa e arriveranno al 90 per cento prima dell’inverno. Anche le riserve dipendono dall’uso che si fa del metano. Attualmente arrivano 190 milioni di metri cubi al giorno, in inverno salgono in media a 350 milioni. Ciò vuol dire che si potrà stare tranquilli per una quarantina di giorni se non aumentano i flussi da altri fornitori (Norvegia, Algeria, Azerbaijian, gas liquefatto soprattutto da America e Qatar) per compensare il blocco di Gazprom. Il problema è serio, ma non grave. Il rischio è che diventi grave, ma non serio.
Occorre ricordare le pene del recente passato. Pensiamo a tutto quello che abbiamo affrontato e superato, agli errori commessi e ai successi ottenuti
I comportamenti virtuosi non bastano. Non furono sufficienti nemmeno alla fine degli anni 70, tuttavia le domeniche a piedi risvegliarono gli italiani dal torpore e lanciarono un messaggio potente. I prezzi alti favorirono gli investimenti in macchine e produzioni più efficienti, in grado di fornire la stessa (o persino migliore) prestazione con meno energia. Un’auto moderna per fare un chilometro consuma quattro volte meno benzina rispetto ad allora, andrebbe sempre ricordato anche a costo di ripetersi. E poi ci furono le nuove scoperte che misero all’angolo l’Opec per vent’anni. Infine il mercato: anziché ricorrere a contratti capestro a lungo termine (come oggi quelli firmati con Gazprom) divenne dominante l’acquisto spot sul mercato di Rotterdam. Un aumento drastico dei tassi d’interesse abbatté l’inflazione anche a costo di una recessione durata fino al 1982. L’oro nero tornò a costare pochissimo, ce n’era persino troppo e il cartello dei produttori non controllava più il mercato. Oggi la crisi del gas in Europa può essere persino peggiore di quella petrolifera, ma tenere duro “si può e si deve”, scrive Martin Wolf sul Financial Times, mentre il Mediterraneo potrà diventare l’alternativa alla Siberia, come il Mare del Nord e il Golfo del Messico contrastarono il predominio arabo.
E la siccità, è finita o è solo scomparsa dai media? Al nord piove, al sud non ancora. Comunque la vendemmia è ottima, magari meno abbondante, ma tanto siamo già i primi produttori al mondo e abbiamo lasciato indietro la Francia. In Valpolicella i grappoli sono rossi e succosi, le uve si presentano in ottimo stato, con una buona fase finale della maturazione. Le grandinate sono state molto rare e complessivamente senza ripercussioni, mentre la siccità ha dato alcuni problemi nei vigneti giovani, nei terreni sciolti e dove non è stato possibile irrigare, dicono i vignaioli. Il problema per loro non è la mancanza d’acqua, ma di manodopera. Winenews scrive che la raccolta sarà di qualità. In generale si è cominciato più presto, ma senza particolari problematiche, sostiene il Centro di Ricerca di Viticoltura ed Enologia del Crea-Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, che ha fornito i primi dati e ha elaborato le tendenze previsionali. In molti casi la siccità è stata persino utile perché ha reso più facile il controllo dei funghi, grandi nemici delle viti. Le uve sono piene di zuccheri e molto colorate, dunque si prevedono prodotti robusti e di gran carattere. Il vino sarà eccellente, forte, armonioso. Non è tutto, anche se è gran parte dell’export agro-alimentare e bandiera del successo competitivo italiano.
Stava sfumando tra le quinte anche la crisi del grano, ma Vladimir Putin se n’è accorto e ha riacceso i riflettori. I porti sono stati sbloccati solo in parte e non è arrivata una pioggia di chicchi come manna dal cielo. Zar Vlad sparge veleno: le navi vanno in Europa, non nei paesi poveri, i “dannati della terra” si raccolgano sotto l’aquila bicipite del piccolo padre. La produzione mondiale di cereali è di 2.800 milioni di tonnellate e i grandi esportatori, Russia, Canada, Stati Uniti, in parte Australia, la stessa Unione Europea, sono nelle condizioni di supplire con notevole facilità alla carenza causata dal blocco della materia prima in Ucraina che è pari a 20-30 milioni di tonnellate. La Fao ha messo in dubbio la spiegazione ufficiale, puntando il dito su altri fattori come il balzo dei prezzi dell’energia e l’inflazione. Ci sono due crisi del grano: quella del grano tenero che dipende dalla guerra perché l’Ucraina è uno dei maggiori produttori mondiali e quella del grano duro che invece non proviene dalle steppe, ma dalle pianure canadesi. E’ questo che interessa in particolare l’Italia, perché viene utilizzato per produrre la pasta, mentre il tenero serve per i dolci e in parte per il pane. Eppure qui l’allarme è partito dai pastai. “Nemmeno durante la Seconda guerra mondiale mancò tanto grano, non ne avremo abbastanza per fare la pasta”, denuncia Giuseppe Ferro amministratore delegato della Molisana, terzo produttore italiano. Niente spaghetti, allora? Calma e gesso, saranno più cari, tra 15 e 20 centesimi in più al pacco. Male, ma non proprio “effetti devastanti” come vaticina la Confagricoltura che lamenta la minor produzione a causa della siccità. La Coldiretti spara: 250 mila aziende sono a rischio crack. Ma quanto spendono gli italiani per pane e pasta? Secondo i dati Istat del 2021, per il pane in media 21 euro al mese su una spesa alimentare complessiva di 469 euro, per la pasta 11 euro, la carne arriva a 100 euro, i vegetali a 62, latticini e uova 60, pesce 43 euro. Le abitudini alimentari italiane sono cambiate anche se per il circo mediatico-politico siano ancora a Totò che si riempie le tasche di maccheroni come in “Miseria e nobiltà”.
Al nord piove, al sud non ancora. Ma la vendemmia è ottima, magari meno abbondante, ma tanto siamo già i primi produttori al mondo
E’ passato persino l’allarme sul Covid-19? Non in Cina dove i lockdown bloccano l’economia. Gli ultimi dati vedono un prodotto lordo cresciuto appena dello 0,4 per cento nel secondo trimestre dell’anno, mentre la “moneta del popolo” (il renminbi) viene svalutata del 20 per cento per favorire le esportazioni. In Italia la variante omicron è stata onnivora anche se meno grave, la Centauro è diffusa per ora solo in India, si attendono le prossime mutazioni del coronavirus Sars-Cov-2. E’ pronto un vaccino bivalente, ma che succede se arrivano al potere i No vax? Perché la fabbrica della paura è alimentata proprio dalla negazione.
Toccherà probabilmente agli apprendisti stregoni mettere sotto controllo i mostri che hanno scatenato, forse non ci riusciranno e alla fine dovranno chiedere aiuto o alzare bandiera bianca; negli ultimi dieci anni l’Italia ha avuto un governo ogni 14 mesi. Solo il tempo potrà sciogliere il dubbio, anche il tempo che sembrava perduto. Ritrovarlo attraverso la memoria e depurarlo al filtro del presente è un antidoto che può sconfiggere l’angoscia finale. Per questo occorre ricordare le pene del recente passato. Pensiamo a ciò che siamo stati, a tutto quello che abbiamo affrontato e superato, agli errori commessi e ai successi ottenuti, come se fossimo sui “vivi trampoli” di Marcel Proust, instabili, eppure in grado di vedere lontano. Insomma, “ci vorrebbe lui”? Non bastano i libri di Bruno Vespa, con rispetto parlando. Gli italiani non moriranno né di fame né di noia per il ripetersi di pantomime sempre uguali, attenti a non farli morire di paura.