l'intervista
L'imprenditore Borgomeo ci spiega qual è una risposta concreta sulle bollette
L'erede della famiglia titolare delle storiche fornaci di Formia: "Serve un tetto al prezzo del gas e meno burocrazia. C’è stata una speculazione gravissima alla Borsa di Amsterdam: il libero mercato, con un conflitto in corso, non funziona"
“Qui salta tutto”, l’imprenditore Francesco Borgomeo non fa mostra di ottimismo davanti alla crisi energetica che sta mettendo a dura prova le aziende italiane. “Se non mettiamo un tetto al prezzo del gas, salta tutto. Serve una moratoria sulle bollette, quelle di agosto sono in scadenza e con il prezzo del gas salito a tre euro per metro cubo nessuno riuscirà a pagarle. Il governo provveda rapidamente a rateizzare le bollette del secondo semestre per i prossimi 24 mesi”.
Borgomeo, erede della famiglia titolare delle storiche fornaci di Formia e oggi sostenitore del progetto del distretto ceramico del Lazio, è l’uomo che ha salvato gli impianti dell’ex Ideal Standard di Roccasecca, la Marazzi di Anagni e la Tagina di Gualdo Tadino.
“Dal 31 luglio tutti e tre gli stabilimenti sono fermi. Produrre, a queste condizioni, non conviene”, dichiara Borgomeo al Foglio. “Purtroppo abbiamo assistito ad una grave sottovalutazione dell’impatto che la crisi avrebbe avuto sull’economia reale. I politici si sono accorti soltanto adesso di quanto accadeva da mesi: in queste settimane di campagna elettorale loro sono tra la gente, parlano con le aziende e si rendono conto che noi, di questo passo, dobbiamo chiudere o aprire all’estero. In Italia non possiamo sopravvivere”. Insomma, si doveva intervenire prima.
“A luglio dello scorso anno il gas costava 23 centesimi per metro cubo, a dicembre – ben prima dell’invasione russa dell’Ucraina – il gas costava 90 centesimi; lo scorso luglio è arrivato a 1,9 euro e al 31 agosto si è toccata la soglia dei 3 euro per metro cubo. Da 1,9 a 3 euro in soli trenta giorni. La guerra certamente incide, il presidente Putin usa il gas come un’arma, ma c’è stata una speculazione gravissima alla Borsa di Amsterdam dove non si scambia la materia prima ma i futures sul gas. In tempo di guerra i governi dovrebbero governare i fenomeni e non lasciare campo libero alla speculazione. Il libero mercato, con un conflitto in corso, non funziona”.
È preoccupato?
“In autunno assisteremo ad un vero e proprio lockdown energetico, mantenere i consumi attuali sarà impossibile e la gente scenderà in strada. Per chi andrà al governo sarà un’impresa ardua: questa crisi non si gestisce, si subisce”.
Contro il caro energia la Germania ha varato un piano da 65 miliardi di euro, il Regno Unito da 180.
"Ecco, il governo italiano dovrebbe agire. Non c’è tempo da perdere perché ci stiamo suicidando. Le aziende straniere ci rubano pezzi di mercato, adesso dobbiamo fare i conti anche con la concorrenza di competitor iraniani, indiani, turchi. Per non parlare degli stessi italiani che si trasferiscono all’estero perché produrre, per esempio, negli Stati Uniti costa nove volte meno”.
Lei quali soluzioni proporrebbe?
“Serve il tetto al prezzo del gas. Ma l’Europa non è concorde sul punto, anche la Germania, per bocca del ministro dell’Economia Habeck, ha chiarito che di 'price cap' europeo non se ne parla. Facciamolo nazionale”.
E se poi i fornitori voltano le spalle all’Italia?
“Basterebbe fissare un prezzo ragionevole anche per il mercato. La Francia l’ha fissato a 60 centesimi a metro cubo, noi potremmo orientarci intorno ai 150 euro a megawattora: a questo livello, le fabbriche riescono a produrre, i fornitori non scappano e lo stato non si dissangua. Ci facciamo più male con le fabbriche spente che impongono un elevato costo sociale, tra cassa integrazione, mancato gettito fiscale, esplosione del debito dovuto al crollo del pil, per non parlare dei danni di lungo periodo che rischiano di seppellire per sempre la manifattura italiana”.
Lei ha rilevato le aziende anche con il supporto di fondi di investimento di dimensione globale. Qual è il loro giudizio dell’Italia?
“Sono pronti a lasciare il nostro paese. All’estero è difficile spiegare perché il governo Draghi sia caduto. L’incertezza del nostro sistema genera diffidenza, e poi c’è la burocrazia: ho impiegato sette anni per ottenere le autorizzazioni relative ai biodigestori che ho voluto installare vicino agli impianti per produrre biogas dai rifiuti. Per legge, dovrebbero bastare 180 giorni”.