Aiuti all'Ucraina: se l'America dà le armi, che l'Europa metta i soldi

Luciano Capone

L'invasione russa ha distrutto l'economia: pil -30%, deficit al 22%, inflazione al 20%. A Kyiv servono 5 miliardi di dollari al mese per stare in piedi, ma l'assistenza finanziaria dell’Unione europea è scarsa e inferiore a quella degli Stati Uniti (che fanno molto di più anche sugli aiuti militari)

Il successo della controffensiva nella regione di Kharkiv dimostra che gli aiuti militari sono fondamentali. La contrazione del pil russo e il calo delle entrate fiscali del settore oil and gas confermano che le sanzioni contro la Russia sono efficaci. Ma è necessario rafforzare il sostegno finanziario all’Ucraina. Perché il rischio è che l’economia crolli proprio mentre l’esercito avanza. Intervenendo a una conferenza a Monaco, il ministro delle Finanze ucraino Sergii Marchenko ha descritto lo stato di salute dell’economia. In sintesi: servono 5 miliardi di dollari al mese.

 

Prima dell’invasione, nonostante il Covid e le tensioni sui mercati internazionali, l’Ucraina era riuscita nel 2021 a portare il debito pubblico sotto al 50% del pil (dopo l’impennata in seguito alla crisi del 2014) e il deficit sotto il 3%. Anche l’inflazione era scesa nel 2020 sotto il 3%. Il 24 febbraio tutto è cambiato. Il paese che pareva quasi rispettare i parametri di Maastricht, si è trovato in un’economia di guerra: le entrate fiscali sono crollate e le spese miliari sono esplose. La parte orientale del paese è in gran parte devastata, con interi distretti industriali, si pensi alle acciaierie di Mariupol, distrutti. La Russia ha bombardato tutte le raffinerie e colpito le esportazioni, ovvero i settori più dinamici dell’economia, bloccando i porti da cui partivano non solo il grano e gli altri beni agricoli, ma anche prodotti siderurgici la cui produzione è crollata del 50%. Secondo i dati della Banca centrale ucraina, oltre un milione di lavoratori sono stati licenziati e oltre la metà delle imprese ha tagliato i salari nominali del 50%. La disoccupazione è arrivata al 35%. Milioni di ucraini in età da lavoro hanno lasciato il paese e tanti altri sono al fronte. I rifugiati all’estero sono oltre 12 milioni, anche se molti sono rientrati, a cui si aggiungono 6,6 milioni di sfollati interni.

 

Nonostante l’adattamento rispetto allo choc dei primi mesi di guerra totale, si prevede un crollo del pil tra il 30 e il 50% nel 2022. L’inflazione è salita al 20% e arriverà al 30 a fine anno. Moody’s stima per il 2022 un deficit del 22%, pari a 50 miliardi di dollari. Il dato, grosso modo, coincide con il disavanzo dichiarato dal ministro delle Finanze Marchenko: 5 miliardi di dollari al mese. E questa somma non ha nulla a che fare con i danni di guerra e la ricostruzione, ma è semplicemente la differenza tra il flusso mensile di entrate e uscite. All’Ucraina serve un piano di assistenza finanziaria.

 

Al momento l’insieme di aiuti internazionali, tra prestiti e trasferimenti, raccolti dal 24 febbraio ammonta a 18 miliardi di dollari. I più generosi sono gli Stati Uniti con circa 7 miliardi, poi l’Unione europea con 2,4 mld, a seguire Canada 1,5 mld, Fmi 1,4 mld, Germania 1,3 mld, Banca mondiale 0,9 mld, Giappone e Regno Unito con più di mezzo miliardo ciascuno. L’Italia, come la Francia, ha dato poco più di 300 milioni di dollari. Sono somme che non bastano a coprire il disavanzo, che per ora viene in larga misura finanziato dalla Banca centrale ucraina. Ma monetizzare il deficit, una scelta inevitabile nei primi mesi di guerra, sta facendo gonfiare l’inflazione e rischia di far precipitare l’Ucraina in una spirale iperinflattiva.

 

Un gruppo di economisti internazionali ha preparato per il Center for Economic and Policy Research (Cepr) un piano di stabilizzazione macroeconomica per l’Ucraina (“Macroeconomic policies for wartime Ukraine”), che si basa su quattro pilasti: ridurre il disavanzo fiscale anche aumentando le entrate; ridurre la monetizzazione del deficit per controllare l’inflazione; controllare i movimenti di capitale; liberalizzare i mercati ed evitare il controllo dei prezzi, per facilitare una riallocazione più produttiva delle risorse. Serviranno ulteriori sacrifici degli ucraini, ma in questo piano un ruolo fondamentale ce l’ha l’assistenza finanziaria estera per coprire il deficit evitando che lo faccia la banca centrale stampando moneta.

 

L’Ue ha dato 1,2 miliardi di euro a marzo-maggio. Pochi giorni fa la Commissione ha concesso 5 miliardi di prestiti del piano da 9 miliardi approvato a giugno: dopo il miliardo dato ad agosto, ne restano 3 da fornire entro fine anno. Sono somme largamente insufficienti rispetto alle esigenze ucraine, ma che un’economia da 17 mila miliardi di pil come l’Unione europea può agevolmente sostenere: quello che per l'Ucraina è un deficit enorme, per l'Ue vale solo lo 0,3% del proprio pil. Un grande aiuto per gli ucraini, un piccolo sforzo per gli europei.

 

Anni fa, durante la “war on terror”, il politologo Robert Kagan usò la metafora di Marte e Venere per descrivere il diverso atteggiamento di Stati Uniti ed Europa rispetto all’uso della forza nelle relazioni internazionali. Stavolta che c’è intesa su strategia e obiettivi, l’Ue più che a Venere dovrebbe ispirarsi a Mercurio, il dio del commercio. Se la marziale America fornisce le armi all’Ucraina, che la mercuriale Europa metta i soldi. E faccia presto. Neppure i cosiddetti pacifisti dovrebbero avere obiezioni.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali