Impensabili prospettive
Il sud può diventare il nuovo motore della crescita italiana? Uno studio
Il Pnrr è la grande occasione per il rilancio del Mezzogiorno, non uno slogan ma una prospettiva economica credibile. Almeno questa è la convinzione di Armando Castronuovo, professore di Economia politica dell'università di Catania e del presidente di Svimez Adriano Giannola. I due economisti hanno scelto la Sicilia come caso di studio per vedere i potenti effetti che il piano nazionale di ripresa e resilienza potrebbe avere sulle regioni più arretrate del paese
Può il Sud trasformarsi nella nuova locomotiva d’Italia? Nel corso di una campagna elettorale in cui quando si parla di Mezzogiorno ci si riferisce solo a povertà, emarginazione sociale e reddito di cittadinanza la domanda può apparire una provocazione. Eppure uno studio presentato dall’associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno Svimez e università di Catania che prende come caso di studio la Sicilia dice il contrario: per il Mezzogiorno è un momento cruciale, denso di opportunità che possono invertire un andamento ormai decennale di decadenza.
“Nello studio lo abbiamo scritto in modo chiaro e diretto: la via d’uscita è il Sud”, dice Armando Castronuovo, professore di Economia politica dell’università di Catania e autore dello studio intitolato “Politiche attive e sistema delle imprese. La Sicilia polo di attrazione del Mediterraneo” insieme al presidente dell’associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno Svimez Adriano Giannola. “Può sembrare uno scherzo, ma – spiega – con i fondi del Pnrr e le zone economiche speciali introdotte nel 2017 questa è un’occasione storica per recuperare il Mezzogiorno e farne per davvero un ‘secondo motore’ economico del paese, che possa ridare fiato alle locomotive sempre meno trainanti del Nord. Bisogna evitare che gli ativici problemi della macchina amministrativa blocchino anche questa occasione”.
Ma andiamo con ordine. Il lavoro dei due economisti si concentra sul confronto tra un cluster di 601 piccole e medie imprese manifatturiere siciliane, estratte tra le complessive 1.376 aziende del settore con tra i 10 e i 500 addetti presenti sull’isola, e un un cluster nazionale di riferimento, composto da 37.158 aziende, anch’esse con tra i 10 e i 500 addetti. Da questo paragone emerge il primo dato interessante. La crescita media annua di lungo periodo (tra il 2010 e il 2019) delle aziende della manifattura siciliana tra 10 e 500 addetti è stata del 3,9 per cento, dello 0,3 per cento superiore alla media nazionale e, se si considerano solo le imprese sopra i 50 addetti, addirittura dell’1 per cento in più (+4,7 contro +3,7). Discorso analogo anche per l’occupazione dove la crescita media annua degli addetti nelle aziende del manifatturiero siciliano è stata del 4,5 contro il +2,9 medio italiano. “E’ un dato estremamente confortante che segnala la presenza di un settore industriale strutturato, che è stato in grado di affrontare la crisi, che è in evoluzione e può crescere nei prossimi anni conseguendo obiettivi di specializzazione e integrazione”, dice prima di aggiungere: “Smentisce l’ipotesi che andava circolando tra studiosi e politici di un Mezzogiorno ormai desertificato, non è proprio così”.
Ma una differenza con la manifattura del nord e centro Italia c’è senz’altro: la dimensione delle imprese. “Nel confronto - racconta Castronuovo - abbiamo registrato un divario del 40 per cento rispetto alla dimensione media aziendale in termini di capacità produttiva e occupazionale”. In sostanza il manifatturiero siciliano cresce quanto quello italiano, ma i livelli di produzione medio italiano il numero medio di addetti impiegati è più basso. “Rinforzare questa struttura industriale già esistente, farla allargare, potrebbe dunque implicare una crescita economica consistente”, spiega il docente. E d’altronde quello che dice il professore è dentro uno dei grandi principi della teoria della crescita economica. Due regioni con condizioni strutturali simili tenderanno a convergere verso livelli di produzione occupazione analoghi. E dato che il sud è indietro, la sua crescita potenziale è nettamente maggiore di quella delle regioni più produttive. Ma se allora c’è un' industria abbastanza dinamica e con spazi di crescita perché dalla Sicilia continuano ad andare via i più giovani? Che cosa manca alla regione per cominciare a correre? Due risposte riguardano istituzioni e infrastrutture e sono intimamente legati.
“Le imprese tutto sommato ci sono, ma serve un’accelerazione”, dice Castronuovo. “Per questo oggi c’è una occasione storica per il rilancio della regione: tra i fondi strutturali, quelli del settore pubblico e il Pnrr nel prossimo quinquennio arriveranno 18 miliardi per investimenti pubblici consistenti che consentiranno di sviluppare le infrastrutture specialmente ferroviarie (13 miliardi ndr) che i siciliani aspettano da sempre, collegando meglio anche le zone interne. Questi fondi potrebbero generare un salto di qualità e quantità nel reddito medio perché da decenni mancava un piano così cospicuo per il sud, ma a patto che si riescano a superare gli ostacoli amministrativi e gestionali che hanno offerto alla Sicilia il primato quasi mondiale per i tempi di realizzazione delle infrastrutture, in particolare quelle per la mobilità".
Il lavoro dei due economisti si serve di un modello econometrico sviluppato da Prometeia, per calcolare i possibili effetti nel quadriennio successivo 2021-2021 sulla crescita della Sicilia e i risultati sono sorprendenti. Con il completamento nel 2026 degli investimenti del Pnrr i due economisti hanno stimato una crescita media annua possibile tra il 2021 e il 2026 del 6 per cento, analoga all’aumento del medio annuo del numero degli occupati (+5,9 per cento). Ma anche qualora il Pnrr fosse completato solo al 80 per cento o addirittura a metà entro il 2026, i tassi di crescita media annua di valore aggiunto e occupati sarebbero incoraggianti: 5,2 e 5,1 nel primo caso e 4,1 e 3,9 nel secondo. “In questi numeri, incredibile per la Sicilia, si condensa bene il perché il Pnrr rappresenta una opportunità unica”, spiega il professore prima di avvertire: “Con la guerra in Ucraina, l’aumento dei prezzi dell’energia, e la difficoltà nel reperimento delle materie prime è probabile che al 2026 si arriva con un livello di completamento tra il 50 e l’80 per cento. Seppur uno scenario ridimensionato si tratta dunque di tassi di crescita medi del valore aggiunto su sei anni che consentirebbero alla Sicilia di fare un notevole passo in avanti”.
L’altra grande occasione secondo i due studiosi sono le Zone economiche speciali (Zes) introdotte nel 2017. Si tratta di aree del Mezzogiorno a legislazione economica speciale con deregolamentazioni e vantaggi fiscali. “Le aziende del manifatturiero che abbiamo analizzato – spiega il professore – si concentrano proprio nelle due zone speciali della Sicilia occidentale e di quella orientale, verso i porti di Augusta e Palermo”. Oltre a quelle siciliane in Mezzogiorno sono state introdotte le Zes di Napoli, Bari, Taranto e Gioia Tauro.
“Sono zone strategiche che con questa normativa possono trasformarsi in un punto di riferimento dell’interscambio mondiale: tutti i traffici che passano dal canale di Suez e oggi vanno verso il nord europa potrebbero trovare uno sbocco anche nel nostro mezzogiorno”. Commercio e logistica insomma per collegare finalmente l’economia del sud al resto d’Italia e di Europa. “La cosa importante sarà l’interconnessione con le altre Zes – scherza Castronuovo – ognuno dovrà specializzarsi in qualcosa perché se iniziamo a fare concorrenza tra Zes non ne usciamo più… Anche in questo caso è infatti necessario trasformare una buona idea in pratica perché la legislazione speciale c'è dal 2017, adesso va attuata".