Operai al lavoro a Bergen, Norvegia (Getty images)

L'Ue chiede solidarietà alla Norvegia che macina profitti sul gas

Federico Bosco

La Norvegia ha preso il posto della Russia come principale fornitore di gas dell'Ue, che ora chiede ad Oslo di contribuire ad abbassare i prezzi 

La Russia ha reagito alle sanzioni occidentali militarizzando le forniture di gas naturale, riducendo o bloccando i flussi per infliggere un danno economico e spaventare i paesi dell’Unione europea alle prese con la diversificazione delle fonti. Questo ha fatto aumentare il prezzo del gas fino a sette volte, permettendo guadagni enormi anche agli altri fornitori. Il principale tra questi è la Norvegia, uno dei pochissimi paesi dell’Europa occidentale che non è entrato a far parte dell’Unione europea, scegliendo l’alternativa dello Spazio economico europeo. Tra le motivazioni che hanno tenuto Oslo fuori dal mercato unico c’era proprio la volontà di mantenere i diritti sovrani sui suoi giacimenti di gas e petrolio del mare del Nord, e il pieno controllo dei proventi energetici usati per finanziare il fondo sovrano di un generosissimo welfare state e sofisticati investimenti nella transizione verde. 

  

In questi mesi la Norvegia ha soppiantato la Russia come principale fonte di gas dell’Ue, accumulando un enorme surplus commerciale che continua a crescere: da gennaio a luglio 2022 Oslo ha esportato gas e petrolio per un valore di 89 miliardi di euro, più dell’intero importo di 81,2 miliardi del 2021, con stime che non escludono di chiudere l’anno a circa 120 miliardi. Il fondo sovrano norvegese che gestisce i profitti energetici ha raggiunto un valore di 1.200 miliardi di euro, ovvero circa 220 mila euro per ognuno dei 5,4 milioni di cittadini norvegesi. Pertanto, i proventi del solo 2022 potrebbero ammontare al 12,5 per cento dell’intero valore del fondo.

  

Questo enorme flusso di denaro “facile” si sta trasformando in un problema di politica interna ed europea, tra chi considera scorretto che un paese alleato si arricchisca così tanto mentre i consumatori e le industrie dei paesi europei vengono travolti dall’inflazione e dal caro bollette, e chi ritiene “immorale” che ciò avvenga mentre l’economia dell’Ucraina viene messa in ginocchio dall’invasione russa. Il governo norvegese di centro-sinistra, dal canto suo, sostiene che il paese non deve essere incolpato dalle conseguenze causate da forze di mercato al di fuori del suo controllo e rivendica di aver mostrato la sua solidarietà rispondendo alle richieste di aumentare la produzione di gas di 1,4 miliardi di metri cubi nei tre giacimenti chiave, permettendo all’Unione europea di ricevere più gas.

 

Inoltre, il premier norvegese Jonas Gahr Støre è contrario a un price cap sul gas, e ha più volte ricordato che nonostante l’esistenza del fondo sovrano che incassa una parte dei profitti, a vendere il gas non è il governo norvegese ma delle aziende che operano sul mercato. Vero, ma Equinor è una società di proprietà dello stato, e oggi è il secondo secondo fornitore dell’Ue. 

 

Tuttavia, anche nel mondo dell’industria energetica e della politica norvegese le posizioni si stanno muovendo. Mercoledì la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha detto che sta mettendo insieme con Oslo una task force che dovrà occuparsi di come abbassare “in modo ragionevole” il prezzo del gas e trovare soluzioni per gestire la carenza di gas in Europa. Il giorno dopo il premier Støre e il ministro dell’Energia Terje Aasland hanno incontrato a Oslo i dirigenti dei maggiori produttori di petrolio e gas del paese, tra cui Equinor, Aker BP e Vår  Energi. 

 

Støre e Aasland hanno affermato che le compagnie sono disposte a discutere contratti a lungo termine per le forniture di gas, ma il governo non ha in programma di intervenire sul mercato ordinando alle società di stipulare tali accordi, perché si tratta di contratti commerciali tra fornitori e acquirenti. I produttori norvegesi però sono preoccupati per la solvibilità delle loro controparti europee e chiedono garanzie. Von der Leyen, invece, intende chiedere un “contributo di solidarietà” alle aziende che avuto profitti straordinari. Trovare un compromesso tra gli interessi di parte, l’eccezionalità del momento e la difesa del libero mercato stavolta sarà davvero difficile.

Di più su questi argomenti: