al voto senza Nadef
Perché i partiti non spiegano come sarà la prossima legge di Bilancio?
È la prima campagna elettorale in piena sessione di bilancio e il prossimo governo, a causa della frenata della crescita e degli aiuti in scadenza, dovrà trovare 40-50 miliardi solo per lascaire le cose come stanno. Ma nessuna forza politica dice dove troverà in così pochi giorni i soldi per la manovra
In una campagna elettorale che si svolge in una fase economica molto delicata, e la prima della storia repubblicana che cade in piena sessione di bilancio, ci si sarebbe aspettato dalle forze politiche la richiesta al governo di presentare la Nadef prima del voto. In modo da avere un quadro chiaro dello stato delle finanze pubbliche e da poter presentare agli elettori (e ai mercati) una bozza della prossima legge di Bilancio, che dovrebbe essere presentata tra un mese (20 ottobre) alle Camere. E invece niente. Tutti i partiti presentano programmi al buio, ben contenti che la Nadef verrà presentata subito dopo le elezioni (la scadenza è il 27 settembre).
Non c’è stata alcuna reazione neppure dopo che il Sole 24 Ore, qualche giorno fa, ha anticipato i numeri principali: nella Nadef il governo prevede una crescita per il 2023 “nettamente inferiore all’1 per cento”, quindi in calo tra 1,5 e 2 punti rispetto al 2,4 per cento stimato dal Def di aprile. Questo comporta automaticamente un aumento del deficit, indicato dal Sole 24 Ore in circa 20 miliardi, ovvero oltre un punto di pil. In realtà i conti sono in aggiornamento, i modelli macroeconomici continuano a girare e i decimali a essere limati. Rispetto al quadro internazionale pieno di incertezza, ci sono diverse divergenze sulle stime. Il Mef pare essere molto più ottimista (crescita vicina all’1 per cento) rispetto al consenso e anche a istituzioni come la Bnaca d’Italia o l’Upb (crescita vicina allo zero). Non si vedono segnali di recessione, come hanno detto Draghi e il ministro Franco. Ma lo scenario è tutt’altro che roseo.
Perché oltre alla minore crescita, che fa aumentare il deficit, ci sono tanti altri fattori che restringono lo spazio fiscale del prossimo esecutivo. A partire dall’aumento della spesa per interessi, dovuto al cambio di politica monetaria della Bce. Ma c’è anche l’effetto dell’inflazione. Se infatti in una prima fase l’aumento dei prezzi ha gonfiato le entrate, consentendo al governo di stanziare corposi aiuti senza scostamenti di bilancio, ora avrà anche un effetto sulla spesa. A legislazione vigente, senza alcun intervento sulle pensioni (come l’aumento delle minime o Quota 41, previsti dal programma dei partiti di centrodestra), la rivalutazione delle pensioni farà aumentare la spesa di 8-10 miliardi (circa 0,5 punti di pil). A questo poi andrebbero aggiunti gli aumenti, sempre dovuti all’inflazione, per l’acquisto di beni e servizi della Pa e per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego. C’è poi il grande capitolo degli aiuti contro il caro energia, tutti in scadenza: taglio delle accise (costo: 1 miliardo al mese); azzeramento oneri di sistema (12 miliardi all’anno); taglio dell’Iva sul gas (9,5 miliardi); bonus 150 euro (3 miliardi); decontribuzione del 2 per cento (3,5 miliardi). Mentre estendere al solo mese di dicembre 2022, che è scoperto, il credito d’imposta per le imprese sull’acquisto di energia costa 4,7 miliardi, secondo i dati forniti del ministro dell’Economia Daniele Franco.
Insomma, il prossimo governo si troverà, in pochi giorni, a dover fare una legge di Bilancio in cui serviranno 40-50 miliardi per lasciare le cose come stanno. Senza, cioè, aggiungere alcuna delle promesse elettorali. E sempre che il quadro macroeconomico non risulti peggiore di quello della Nadef, come invece stimano altre istituzioni. Qualcuno, da Giorgia Meloni a Enrico Letta, intende spiegare agli italiani cosa intende fare e con quali risorse? Dirlo prima del voto è più corretto, ma ha anche un vantaggio politico: eviterebbe la rabbia e la delusione degli elettori che hanno creduto a qualche promessa di troppo.