Il caso tedesco
Il nuovo assetto economico del mondo. Tra Russia, Cina e Germania
Così l’idea che il libero commercio garantisca la pace è andata in crisi. Tre assi che ne hanno minato la veridicità: il ruolo militare, la forza industriale e la quota di esportazioni e investimenti all'estero dello stato di Scholz
Gli effetti dell’aggressione all’Ucraina emergono come ondate che investono la Cina, la Germania, e l’idea che il libero commercio porti alla pace.
La Cina. Quest’ultima potrebbe diventare per la Russia quello che sono (state?) le democrazie (Stati Uniti, Europa, Giappone, Corea, Australia). Quindi il maggior esportatore di beni industriali, il maggior legame in campo finanziario, con lo yuan al posto del dollaro e dell’euro come mezzo di scambio e riserva di valore.
Purtroppo per le ambizioni russe, volte alla ricerca di un’autarchia della autocrazie, esiste un nodo economico difficile da sciogliere. La dimensione dell’economia russa è circa un trentesimo di quella delle succitate democrazie. Isolarsi da queste potrebbe essere per i cinesi un errore strategico, se si tiene conto che i paesi democratici commerciano fra loro numerose volte più di quanto commercino con la Cina, che è come dire che la Cina ha bisogno dei paesi democratici più di quanto questi ultimi abbiano bisogno di lei.
La Germania. Lo sviluppo tedesco ruotava intorno a tre assi: la protezione militare statunitense, l’importazione di materie prime dalla Russia, e una quota elevata di esportazioni e di investimenti verso l’ex mondo comunista – stanno andando in crisi.
Asse 1. La protezione militare statunitense ha un ruolo sia militare sia psicologico. Non armandosi, se non in minima misura, la Germania ha cercato di dimenticare il suo passato militare. Il punto della questione oggi non è tanto la ripresa di una maggiore spesa militare tedesca, quanto il ritorno, anche se su un piano simbolico, del “passato che non passa”: la Germania è, nella memoria, molto sbilanciata verso est.
Asse 2. La Germania ha una forza industriale considerevole nei settori della Seconda rivoluzione industriale, quali la meccanica, la chimica, l’elettricità. Tutti settori ad alto consumo di energia. Una crisi industriale che passa dalle interruzioni di produzione con annessa disoccupazione non può quindi essere esclusa sia in Germania sia nei paesi che forniscono i beni intermedi per la sua industria. Infine i prezzi del gas non potranno che essere tesi nel prossimo futuro, perciò chi avrà bisogno di questa materia prima sarà ancora disposto a pagarla molto. Conclusione, la Germania è, come importazione di materie prime, molto sbilanciata verso est.
Asse 3. La quota anomala di esportazioni e di investimenti all’estero della Germania. L’anomalia è legata alla caduta del Muro e agli effetti che si sono avuti sia in Germania sia nei paesi dell’est. Questi ultimi potevano produrre con un livello di istruzione e una disciplina simili a quella tedesca dei beni di alta qualità e con salari che erano una frazione di quelli tedeschi. Sono così arrivati gli enormi investimenti tedeschi all’est insieme, qui per effetto della concorrenza del lavoro dell’est, al freno della dinamica salariale all’ovest. I consumi interni tedeschi si sono così raffreddati, intanto che la spinta che si sarebbe potuta avere da una spesa pubblica vivace fu bloccata dalla politica dell’austerità. Un decennio dopo la caduta del Muro è arrivata la Cina, e anche qui si è avuta un gran flusso di investimenti tedeschi per aprire in loco le fabbriche. Conclusione, la Germania è molto sbilanciata verso est e l’Asia.
La quarta ondata aggredisce il libero commercio. I tedeschi sanno fare le automobili, i russi non le sanno fare; i russi hanno gas in quantità ciclopiche perciò i tedeschi lo possono comprare a un prezzo ridotto che consente il controllo dei costi di produzione che rende possibile la vendita ai russi delle loro automobili a dei pezzi accettabili. I tedeschi sanno impiantare fabbriche di auto in Cina, mentre i cinesi possono esportare in Germania i beni che accrescono, grazie ai prezzi bassi, il potere di acquisto dei tedeschi.
Da queste esempi si evince l’idea che, tanto maggiore il legame fra le diverse economie, tanto maggiore il benessere che si ha se si commercia, e tanto minore sarà l’interesse verso il conflitto militare. Insomma, il libero commercio, se mutualmente vantaggioso, porta e rende stabile la pace. Questa idea si era diffusa dopo la caduta del Muro dagli anni Novanta, e dopo l’ingresso della Cina negli accordi internazionali di commercio nel decennio successivo. Ma ora l’idea che le dinamiche liberoscambiste, se perseguite, portano alla pace non convince come prima. Sono tornate, come negli anni Trenta, le tesi legate alla ricerca di potenza dei paesi come una spiegazione migliore delle tensioni in atto.