Agenda finanza

Per Mps, Tim e Ita, Draghi ha tracciato la strada. Che farà il nuovo governo?

Mariarosaria Marchesano

Discostarsi dai percorsi disegnati dal ministro Franco senza avere in tasca soluzioni altrettanto efficaci avrebbe poco senso e sarebbe persino rischioso

Non solo Pnrr, questione energetica e politica internazionale. Esiste un’agenda Draghi anche per la finanza, una strada tracciata per alcuni dossier delicati, come Montepaschi, Tim e Ita. Esiste, certo, per il nuovo governo la possibilità di incidere in queste tre partite, di cambiarne il corso, dal momento che lo stato detiene un potere decisionale come azionista o una capacità di influenza, ma i margini sono davvero ridotti. Il ministro dell’Economia Daniele Franco lo sa bene, avendo dovuto disegnare percorsi complessi che fossero compatibili con l’interesse del paese ma anche con esigenze di mercato e regole europee. Discostarsi da questi percorsi senza avere in tasca soluzioni altrettanto efficaci avrebbe poco senso e sarebbe persino rischioso. 

 
Prendiamo il caso Montepaschi, arrivato a una fase decisiva. L’aumento di capitale per tenere in piedi la banca a controllo pubblico sta per partire ma all’appello mancano 400 milioni di euro. Nonostante gli sforzi dell’ad Luigi Lovaglio di trovare investitori disponibili a sottoscrivere l’operazione per la quota non a carico del Mef, vale a dire 900 milioni di euro su 2,5 miliardi, resta tutt’oggi una fetta scoperta. Secondo le ultime indiscrezioni, la banca ha avviato colloqui con il gruppo francese Axa e la società del risparmio gestito Anima Holding per sottoscrivere circa 400 milioni che potrebbero arrivare fino a 500 se aderissero anche altri due soggetti di cui si vocifera, il fondo Algebris di Davide Serra e l’imprenditore Denis Dumont. Ma se anche tutte queste trattative andassero in porto, cosa non scontata perché Axa e Anima chiedono come contropartita la non facile revisione degli accordi commerciali nel risparmio gestito, ci sarebbe comunque bisogno di trovare altri soci. E non si può dire che fuori dal Monte ci sia la fila. Intanto, è vero che l’Europa ha concesso più tempo allo stato italiano per uscire dalla banca senese, ma l’aumento di capitale deve comunque avvenire entro quest’anno. Insomma, le cose sono già complicate per chi, come Franco è accreditato presso gli investitori internazionali e presso Bruxelles, figurarsi se al suo successore dovesse venisse in mente di intraprendere strade “sovraniste” non condivise con questi ultimi. 

 
Dalle banche ai telefoni il discorso cambia poco, anche se Telecom non è controllata dal Mef come lo è Mps, ma lo stato è presente attraverso la Cassa depositi e prestiti in qualità di azionista di minoranza e di potenziale acquirente dell’infrastruttura di rete. Secondo le ultime indiscrezioni, infatti, Cdp sarebbe pronta a presentare un’offerta per la rete con una valutazione compresa tra 15 e 18 miliardi di euro. La Cassa per motivi di opportunità avrebbe deciso di attendere la chiusura delle urne per procedere, ma non troppo oltre visto che anche in questa partita ci sono scadenze che incombono. Questa soluzione, destinata a incontrare un consenso bipartisan, rischia di essere ostacolata da una questione di prezzo (l’offerta potrebbe non soddisfare le aspettative di vivendi, l’azionista di controllo di Tim) e dal nodo del maxi indebitamento del gestore telefonico: quanta parte dei complessivi 31 miliardi di debiti dovrebbe essere trasferita in capo alla rete? Un rompicapo da advisor finanziario ma non una questione secondaria per dare un futuro all’ex monopolista. 
L’unico dossier che presenta maggiori margini di manovra è quello di Ita, più lontano dall’essere definito e con scadenze meno pressanti non essendo la società quotata. Sulla vendita totale ai privati Giorgia Meloni, la leader del centrodestra, si è dichiarata contraria. Ma la scelta di Draghi-Franco di procedere a un negoziato in esclusiva con la cordata Certares-AirFrance è sembrata una soluzione ponte verso un nuovo governo di centrodestra: da un lato un passo verso la privatizzazione, dall’altro resta una forte presenza statale, come vuole FdI. Perché cambiare?

 

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