(LaPresse)

Perché il petrolio potrebbe riservare cattive notizie nei prossimi mesi (anche per le casse dello stato)

Alberto Clò

L'Agenzia di Parigi prevede un aumento della domanda di greggio, nonostante il rischio di recessione dei paesi occidentali che oggi spinge i prezzi al ribasso. L'embargo alla Russia potrebbe contribuire a creare tensioni sul mercato internazionale. E in questo scenariofinanziar e il taglio delle accise dei carburanti diventerebbe un salasso

Per una volta il petrolio ci ha dato un po’ di respiro, specie sul versante dell’inflazione, grazie al calo dei suoi prezzi di circa un 30 per cento dalle punte intorno ai 124 dollari al barile di inizio giugno agli attuali livelli oscillanti intorno ai 90 dollari al barile. Nonostante questo calo, il governo – nella foga per abbattere le bollette energetiche – ha prorogato sino al 17 ottobre il bonus sulle accise dei carburanti di 30 centesimi di euro per litro introdotto a metà marzo. Grazie anche a questo sussidio, i consumi di carburanti (specie benzina) sono aumentati nei primi sette mesi dell’anno dell’8,7 per cento sul medesimo periodo del 2021, tornando sostanzialmente ai livelli pre pandemia.

 

Mentre inizialmente la misura si auto pagava (con le maggiori entrate fiscali incamerate con l’aumento dei prezzi) oggi comporterà un costo netto per le casse pubbliche di non lieve entità. Una politica esattamente opposta a quella post crisi petrolifera del 1973-74, quando si disincentivò l’uso dell’auto (domeniche a piedi o a targhe alternate), mentre oggi lo si incentiva. Al di là degli effetti distributivi di non poco conto di queste misure, i ricchi se ne avvantaggiano relativamente di più, e della loro incompatibilità con accorte politiche climatiche – un miglior clima comporta un elevato aumento dei prezzi dell’energia mentre i trasporti contribuiscono per un quarto alle emissioni clima alteranti – vi è da chiedersi se il calo del petrolio possa ritenersi o meno strutturale. Non fosse così, se, in altri termini, i prezzi dovessero risalire, ne soffriranno le casse dello stato perché il nuovo governo, qualunque ne sia il colore, non vorrà certo dare agli automobilisti meno di quello precedente, anche considerando l’aumento dell’uso dell’auto rispetto ai mezzi pubblici. 

 

Il calo dei prezzi internazionali del greggio è sostanzialmente riconducibile alle aspettative degli operatori di una prossima riduzione della sua domanda mondiale, per i rischi di recessione, l’aumento dell’inflazione, la minor crescita cinese anche per la sua rigida politica zero Covid. L’Agenzia di Parigi prevede per contro una crescita della domanda di petrolio da qui a fine anno ai livelli pre pandemia, prossima ai 100 milioni di barili al giorno. Una domanda che dovrebbe essere rafforzata dal maggior uso del petrolio nelle centrali elettriche in sostituzione del gas, quotato nei giorni scorsi sui 240 euro/MWh equivalenti a un prezzo del petrolio di 414 dollari al barile!

 

Alle aspettative ribassiste degli operatori si aggiungono per contro serie preoccupazioni sul possibile andamento del mercato legate a più fattori a partire dall’avvio a fine anno dell’embargo europeo al greggio (5 dicembre) e prodotti petroliferi russi (5 febbraio), che causerà una secca riduzione dell’offerta sui mercati internazionali. Si stima che nei prossimi mesi l’Europa dovrà reperire a seguito dell’embargo alternative alle importazioni russe per almeno 2,2 milioni di barili al giorno. Riuscirvi sarà difficile.

 

Ne potrebbe derivare una corsa all’accaparramento delle quantità disponibili, con inevitabile balzo dei prezzi, o la necessità di procedere ad un razionamento interno. Sostituire il greggio e prodotti russi sarà difficile anche per l’incapacità dell’Opec Plus (che fa perno sull’alleanza Arabia Saudita-Russia) di soddisfare i suoi obiettivi di offerta. Di capacità inutilizzata di petrolio su scala mondiale d’altra parte non ve ne è. L’insieme di questi fattori porta a non escludere che nei prossimi mesi possano registrarsi forti tensioni sul mercato del petrolio. Fonte, vale rammentare, che resta la prima a soddisfare i consumi di energia in Europa (e in Italia) anche se Bruxelles sembra averla cancellata dalla sua mappa energetica.

 

Se sarà così, se cioè i prezzi saliranno, ne piangeranno le tasche degli automobilisti o le casse dello stato qualora il nuovo governo continuasse ad andare in loro soccorso. L’Europa, inutile nasconderlo, sta perdendo la guerra energetica con la Russia. Sul versante dei prezzi ma soprattutto su quello della deindustrializzazione con la chiusura di intere industrie e di moltissime imprese. La prospettiva in Gran Bretagna è della chiusura di sei imprese su dieci. Idem in molti altri paesi con un devastante effetto cumulato. Una crisi del dimenticato petrolio che dovesse aggiungersi a quella del gas e dell’elettricità non potrebbe che peggiorare il già drammatico stato delle cose sul fronte dell’energia.

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