Nord Stream 1 e 2
Le infrastrutture cruciali che servono a diventare indipendenti dal gas russo
Il sabotaggio dei due gasdotti è un problema. Ma mentre la Commissione europea è concentrata sulla telenovela del price cap, il nuovo Baltic Pipe è un'ottima notizia
Dal sabotaggio dei due gasdotti paralleli Nord Stream 1 e 2, di cui si vanno accertando cause ed entità, nonostante non vi fluisse gas (blocco delle forniture da parte della Russia dal 31 agosto per il primo, sospensione dell’esercizio per il secondo) dovremmo trarre alcune lezioni. Primo: la crescente vulnerabilità delle infrastrutture energetiche, specie ma non solo di quelle elettriche (anche a causa delle crescente penetrazione delle intermittenti rinnovabili), tale da minacciare il normale funzionamento dei sistemi economici e la sicurezza energetica di ogni paese. I sistemi elettrici sono divenuti sempre più fragili, nonostante l’esigenza di accrescerne la qualità del servizio, con blackout a livello mondiale che hanno interessato negli ultimi venti anni oltre 2 miliardi di persone.
Negli ultimi decenni sono avvenuti poi numerosi casi di sabotaggio, anche a centrali nucleari, di cui raramente si è parlato, che si sono moltiplicati con i processi di digitalizzazione. Bloccare centrali elettriche, infrastrutture di trasporto, raffinerie etc. è divenuto sempre più facile anche se di ciò vi è scarsa consapevolezza nelle autorità nazionali e comunitarie. Secondo: la Russia continua a giocare come il gatto col topo, illudendoci che le cose possano normalizzarsi per poi lanciare una nuova zampata. Questo rende il sistema del gas in Europa ancora molto fragile anche se lo strappo dei prezzi del 27 settembre (la piattaforma italiana Psv ha registrato un +5,7 per cento a 148 euro/MWh) non è direttamente riconducibile al sabotaggio ai due gasdotti ma alle minacce di riduzione dei flussi di gas russo attraverso l’Ucraina.
Terzo: liberarci del gas russo è divenuta esigenza sempre più urgente, anche perché la riattivazione dei due gasdotti sabotati, allo stato delle informazioni, richiederà tempi lunghi. L’Europa sta perdendo la guerra energetica con la Russia su un duplice versante: quello dei prezzi che hanno osservato un’esplosione tale da neutralizzare le sanzioni occidentali e soprattutto su quello della deindustrializzazione, con la chiusura di molte imprese e la destrutturazione di intere supply chain. La Gran Bretagna ha sostenuto che nel settore manifatturiero sei su dieci imprese potrebbero chiudere entro breve tempo. La guerra energetica si potrà vincere solo strappando la dipendenza che ci obbliga ancora a Mosca. Averla più che dimezzata nel corso dell’anno – dal 40 per cento al 9 per cento – ci indica che liberarci dal russo è possibile, anche se l’ultimo miglio è ancor più difficile e costoso, per l’esiguità del contributo addizionale da parte di altri potenziali fornitori e la necessità di effettuare nuovi investimenti, che richiedono tempo per divenire operativi.
Da questo punto di vista è un’ottima notizia la realizzazione del nuovo gasdotto Baltic Pipe, inaugurato il 27 settembre, che scavalcando i due gasdotti Nord Stream collega Norvegia, Danimarca, Polonia e da qui Slovacchia e Repubblica Ceca. Il presidente polacco Andrzej Duda ha dichiarato che: “la realizzazione di questo gasdotto realizza il nostro sogno da molti decenni di divenire indipendenti dalle forniture di gas russe”. Qualsiasi altra opera che ci svincoli dalla Russia, a iniziare dalla connessione Spagna-Francia che dispone di un quarto della capacità europea di rigassificazione, e consentirebbe di aumentare di molto l’accesso europeo al mercato globale dell’Lng riducendo parallelamente la dipendenza da Mosca.
Questa connessione è stata sinora respinta perché antieconomica, ma la situazione attuale offrirebbe benefici ampiamente superiori ai costi. Similmente dovrebbe essere rafforzata la connessione tra Francia e Germania oggi impedita da una diversa regolazione della odorizzazione del gas nei due paesi. Tutti i paesi europei dovrebbero agire con urgenza per accrescere la flessibilità dell’offerta non tanto a livello nazionale quanto sull’intero contesto europeo.
Quel che richiederebbe una volontà di condivisione delle politiche e uno spirito di solidarietà sinora del tutto assente. Non cogliere l’insieme di queste opportunità non può che prolungare la sudditanza con Mosca. A provvedervi, coordinando l’azione dei singoli paesi, dovrebbe essere soprattutto la Commissione europea tutta concentrata invece sulla telenovela del price cap il cui esame da parte dei paesi membri continua ad essere dilazionato alla ricerca di un sempre più improbabile consenso.