Foto di Claudio Furlan, via LaPresse 

Scossone a nordest

In Veneto la Lega dei campanili è chiamata al cambiamento

Dario Di Vico

Nella regione di Luca Zaia il clima è cambiato. L’addizionale Irpef e l’arrivo di Intel: nel nordest è il tessuto produttivo a chiedere al Carroccio discontinuità economica

La regione Veneto che per la prima volta introduce l’addizionale sull’Irpef e il probabile arrivo nel veronese dell’insediamento manifatturiero dell’Intel sono due novità destinate a pesare molto sugli equilibri di un territorio che, volente o nolente, finisce così per dover fare i conti con la discontinuità. E in questo caso a entrare in discussione non sono solo i meri equilibri politici incardinati sul consenso “bulgaro” della società civile nei confronti del governatore Luca Zaia, ma anche quelli economici rappresentati dall’antico mix tra piccola dimensione manifatturiera, debole terziario innovativo e radicato associazionismo d’impresa. Il tutto ovviamente va collocato nel contesto del recentissimo test elettorale che si è concluso con un clamoroso bagno di voti leghisti mutatisi in poco tempo in altrettanti consensi per Fratelli d’Italia, una forza politica che finora aveva ricoperto nel centrodestra nordestino un ruolo ancillare.

 

Come è noto le conseguenze del voto non si sono fatte sentire (per ora) nelle relazioni tra i partiti che si sono presentati alleati, quanto invece negli equilibri interni alla Lega. Roberto Maroni ha candidato proprio Zaia come successore di un Salvini disarcionato e sono partite le grandi manovre del revival bossiano e del sindacalismo di territorio. Le intenzioni di Zaia sull’Irpef sono di introdurre un’addizionale sulle fasce alte e medio-basse (esentando solo i redditi sotto i 15 mila euro) con l’obiettivo di far entrare nelle casse della regione 300 milioni da reinvestire nel welfare, per il sostegno dei segmenti della società più a rischio.

 

È una classica manovra di redistribuzione, quella che i circoli della sinistra Pd imputano al proprio partito di non aver avuto mai il coraggio di adottare. Un maligno potrebbe addirittura sostenere che l’addizionale veneta è una forma, pur mite, della “famigerata” politica tassa-e-spendi (un reddito tra i 15 e i 30 mila euro pagherebbe meno di 50 euro l’anno). Insomma l’elemento di discontinuità politico-culturale è evidente e fa a pugni con quel Veneto Tax Free che è stato per anni lo slogan (vincente) di Zaia. Come capita in questi casi, prima di dare un giudizio definitivo bisognerà attendere “gli approfondimenti” che gli esperti stanno vagliando. Il diavolo anche a nord-est si nasconde nei dettagli e pur non avendo natali fiorentini il governatore è considerato persino dai suoi avversari un discepolo di Machiavelli. 

 

Intanto sul provvedimento ipotizzato si è aperto il dibattito. E ieri il Corriere del Veneto ha potuto titolare: “Addizionale Irpef, prime divisioni”. A prendere le distanze è stato il capogruppo di FdI, Raffaele Speranzon, che ha fatto presente le sue “perplessità” per l’aumento della pressione fiscale e ha rimandato tutto a un giudizio delle istanze superiori “perché queste sono scelte politiche”. Anche Forza Italia qualche dubbio l’ha tirato fuori così come la Confcommercio che si è fatta portavoce dei timori dei ceti medi (“ma come? due settimane fa parlavamo di flat tax e adesso di addizionale?”). Dalle opposizioni e dai sindacati è invece arrivato un plauso. È vero che qualcuno non è riuscito ad allontanare da sé la tentazione di maramaldeggiare con Zaia (il classico “l’avevamo detto”) ma assodato che verranno salvaguardate le fasce più deboli il semaforo è verde.

 

È evidente, dunque, che la scelta di tassare crea sul campo se non un’altra maggioranza sicuramente una piattaforma di consenso differente da quella che finora ha supportato Zaia. Vuole dire che il governatore-principe si vuol coprire a sinistra? O semplicemente ha voluto occupare la scena del dopo-voto, che ha già commissionato un sondaggio ad hoc e deciderà veramente solo in un secondo momento?
Vedremo. Intanto Zaia ci ha tenuto a fare sapere che sta lavorando alacremente non solo sul fronte del fisco ma anche per portare Intel in Veneto, per la precisione a Vigasio, un sito di assemblaggio (5 mila posti di lavoro, dicono gli ottimisti che in questi casi abbondano) che risulterebbe logisticamente ben connesso con l’insediamento-padre di Magdeburgo (Germania).

 

In Piemonte non l’hanno presa bene e sperano in zona Cesarini di far piangere Zaia ma intanto persino il nuovo vescovo di Verona, Domenico Pompili, in una delle sue prime uscite ha benedetto l’operazione Intel (“è una grande opportunità”). C’è grande attesa, dunque. I motivi li ha sintetizzati Roberto Siagri, fondatore di Eurotech intervistato da Venezie Post: “Non saremmo più abituati a vedere solo Pmi, a conoscere solo i settori più tradizionali di attività, ma saremmo in qualche modo catapultati in una realtà completamente diversa”. Al punto da obbligare persino le riottose università locali “a dialogare con le imprese”. Un moderno miracolo.

 

La verità è che il nordest ha urgente bisogno di uno scossone. Troppo spesso l’elogio del territorio, delle virtù comunitarie e dell’etica del lavoro tende a trasformarsi in una ninna nanna pienamente congeniale al leghismo dei campanili. E la spinta non può certo venire dal mondo politico che è strutturalmente portato a ragionare sul consenso di breve e quando è proprio in vena di misurarsi sul medio termine finisce per interrogarsi sul dopo-Zaia. Il tessuto produttivo e la stessa rappresentanza hanno bisogno di sfide inedite e il ceo di una multinazionale dell’high tech è il miglior interlocutore possibile per sperimentare nuovi linguaggi e mettere da parte le baruffe provinciali.

 

Sarebbe il famoso marziano al quale tutti sarebbero costretti a spiegare perché “fare sistema” nel nordest resta un esercizio per pochi e spericolati Houdini. Se poi in una regione fatta di imprenditori e partite Iva come il Veneto dovesse cambiare l’economia, sarebbe destinata a seguire anche la politica. E quindi nel dibattito sul Salvini sì-Salvini no, non compare come sola opzione quella di tornare alle ampolle del Po e all’antropologia bossiana, ma c’è anche la fatica di dover interpretare il cambiamento.

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