l'intervista
“Energia o paesaggio: diamoci delle priorità”. Il caso dell'acqua Sant'Anna
I vincoli paesaggistici impediscono di costruire un impianto fotovoltaico e la bolletta energetica aumenta di 25 milioni in un anno. La storia di Alberto Bertone e del suo stabilimento nel cuore delle Alpi Marittime
“Credo che dovremmo domandarci una volta per tutte che cosa è più importante: avere energia pulita oppure lasciare immutato il paesaggio. Soprattutto in questa fase, bisognerebbe darsi delle priorità chiare”. Per rimuovere gli ostacoli su cui in Italia inciampano decine di progetti legati alla produzione di energia rinnovabile si dovrebbe partire proprio da questa considerazione con cui il patron dell’Acqua Sant’Anna, Alberto Bertone, congeda il Foglio dopo un lungo colloquio.
La storia di uno dei più grandi impianti produttivi di acqua al mondo è per certi versi simile a quella di molte altre imprese che negli anni si sono scontrate con vincoli paesaggistici kafkiani, ma ha anche alcuni aspetti del tutto particolari. A partire dalla sua posizione. Lo stabilimento si trova nel cuore delle Alpi Marittime, al confine tra il Piemonte e la Francia, a circa mille metri sul mare in una frazione del comune di Vinadio, in provincia di Cuneo. “In questa vallata siamo soli”, racconta Bertone, nato a un’ottantina di chilometri da dove si è insediata la sua impresa, non lontano dal Monviso. “Abbiamo la fortuna di avere un terreno pianeggiante adiacente allo stabilimento ma c’è un fiume che lo taglia e i vincoli della legge Galasso rendono impossibile qualsiasi insediamento per 150 metri dagli argini. Per questo il comune ha rigettato la nostra richiesta di costruire un impianto fotovoltaico”. Il progetto è stato presentato pochi anni fa, prima che i prezzi dell’energia iniziassero a crescere sulla scia dei rincari del gas. Molti anni dopo, tuttavia, che venisse approvata la legge in questione da cui derivano i vincoli. La norma è infatti del 1985 e oggi continua a condizionare lo sviluppo di diversi progetti attraverso l’articolo 146 del Codice dei Beni culturali. “Quest’anno pagheremo una bolletta elettrica di 25 milioni di euro in più rispetto all’anno scorso”, ci dice Bertone. “Alla fine presenteremo un altro progetto per installare il fotovoltaico sui tetti dello stabilimento, ma purtroppo la montagna fa ombra per molti mesi e secondo i calcoli dei nostri ingegneri la produzione renderà poco. Ci proviamo lo stesso, ma è scoraggiante”.
Quella di un impianto sui tetti non è l’unica opzione allo studio per cercare di ridurre l’impatto dei costi energetici sulla produzione. Gli ingegneri che seguono i progetti della Sant’Anna guardano con interesse anche all’idroelettrico, vista la tradizione del Piemonte e i suoi preziosi corsi d’acqua. Ma al di là della siccità che quest’anno ha fiaccato la produzione il problema resta ancora una volta quello autorizzativo: “Sarebbe impossibile ottenere una concessione in tempo per incidere su questi aumenti”. Nel contesto particolare delle Alpi, anche le semplificazioni introdotte con gli ultimi interventi del governo Draghi per contrastare questa crisi diventano una complicata matassa da sbrigliare. Esiste da pochi mesi la possibilità di collegare direttamente all’impresa un impianto di produzione per l’autoconsumo che sia nel raggio di 10 chilometri. “Stiamo studiando anche questa strada, ma sul nostro territorio è praticamente impossibile trovare nell’arco di questa distanza un posto pianeggiante e soleggiato dove sia consentito costruire un impianto”. D’altra parte, a sfogliare le 214 pagine delle norme di attuazione del piano paesaggistico regionale del Piemonte, redatto insieme al ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, si capisce che la specificità del territorio impone vincoli speciali. Ma il presente impone forse una riflessione su quali eccezioni possono essere consentite. Per dirla con le parole di Bertone, “bisognerebbe darsi delle priorità chiare”. E forse non solo in tema di energia.
Da quasi vent’anni la comunità montana che riunisce i comuni della valle discute di costruire una nuova arteria stradale che potrebbe ridurre il transito di camion nei centri abitati, piccoli paeselli di montagna che oggi si vedono passare nelle viuzze centinaia di mezzi pesanti al giorno. “Dal nostro stabilimento ne partono circa 350 al giorno, in alcuni periodi arriviamo anche a 500”, dice l’amministratore delegato dell’Acqua Sant’Anna. Ma dopo diversi progetti bocciati per vincoli paesaggistici la variante Demonte-Aisone-Vinadio che dovrebbe liberare questi tre centri dal traffico è ancora carta morta. “Per anni si è parlato di specie particolari di pesci da tutelare e di arbusti che non si sa nemmeno quali sono. Ma mentre i comuni litigano, per noi il problema del trasporto resta”. E in questo periodo non è neppure l’unico.
A ridurre gradualmente i margini dell’azienda, che l’anno scorso ha chiuso con un fatturato di 320 milioni, c’è l’aumento generalizzato dei costi di produzione e la difficoltà a reperire il materiale. “La plastica ha avuto rincari del 200 per cento, il prezzo della Co2 è aumentato di sette volte e già è tanto che se ne trovi sul mercato: ormai siamo costretti ad accettare i rincari senza poter contrattare, pregando i produttori di non fermare le consegne perché l’alternativa è chiudere le linee di produzione dell’acqua frizzante”, che infatti da luglio va a singhiozzo. “Dobbiamo anche fare i conti con i costi della logistica e con la mancanza di autisti. Stiamo cercando di limitare l’aumento del prezzo al dettaglio: per il momento abbiamo alzato solo del 5 per cento, contro un aumento dei costi legati al materiale e alla produzione di circa il 15 per cento. Rischiamo di restare schiacciati tra l’esigenza di rifornire la grande distribuzione e questi aumenti, che vanno più veloci dei prezzi fissati dai contratti con i distributori”, confessa Bertone, che da imprenditore figlio di imprenditore, racconta, è tuttavia abituato a cercare soluzioni piuttosto che a restare con le mani in mano. “Stiamo ragionando su come produrre Co2, non è semplice, è un altro mestiere e pone dei rischi che vanno valutati. Ma le crisi devono aprire opportunità”.