Carlo Bonomi e  Giorgio Marsiaj (foto Ansa)

occhio al deficit

Le aziende vengono prima delle promesse, dicono gli industriali a Meloni  

Mariarosaria Marchesano

“Non è questo il tempo di fare uno scostamento di bilancio per una flat tax o una nuova Quota 100", dice il presidente Bonomi. La frizione tra il mondo produttivo e la Lega è sempre più assordante 

Torino. Il botta e risposta a distanza andato in onda ieri tra il presidente degli industriali, Carlo Bonomi, e la Lega dimostra quanto assordante sia diventata la frizione tra il mondo produttivo e la forza politica che di questo mondo è stata un punto di riferimento soprattutto nel nord Italia. “Non è questo il tempo di fare uno scostamento di bilancio per una flat tax o una nuova Quota 100 – ha detto Bonomi intervenendo in mattinata all’assemblea dell’Unione Industriali di Torino –. Ci avevano detto che con Quota 100 per ogni pensionato ci sarebbero state quattro nuove assunzioni, ma non è andata così: il tasso di sostituzione è stato bassissimo”.


Le politiche fiscali del nuovo governo, questo in sintesi il pensiero del presidente di Confindustria, non possono essere una sorta di dividendo elettorale. Tanto è bastato perché la Lega replicasse nel pomeriggio con una nota ufficiale che, però, prendeva spunto da un altro tema affrontato a Bonomi: il caro energia. “Da mesi la Lega chiede 30 miliardi per bloccare gli aumenti delle bollette e salvare negozi e fabbriche, gli altri zitti. Adesso Confindustria ne chiede 50 di miliardi, anche a debito, perché sennò le aziende chiudono. Meglio tardi che mai”. In realtà, Bonomi non aveva invocato uno scostamento di bilancio per aiutare le imprese a pagare le bollette, ma sollecitato un intervento dell’Europa sulla falsa riga di quanto fatto con Next generation Eu durante il Covid, quindi tetto al prezzo del gas e l’avvio di una politica comune per affrontare l’impatto di uno choc esogeno. “Nel caso l’Europa smettesse di essere Europa – ha avvertito Bonomi – sarebbe necessario un deficit aggiuntivo per salvare l’industria, perché senza l’industria non c’è Italia”. Insomma, solo nell’eventualità in cui a Bruxelles non si riuscisse a trovare una soluzione condivisa, l’Italia si potrebbe trovare nelle condizioni di dover scegliere chi salvare in sala di rianimazione e Bonomi non ha dubbi sul fatto che bisognerebbe dare priorità alle imprese per una questione che ha definito di “sicurezza nazionale”. 


Ma l’assise degli industriali torinesi di ieri è stata in tutto un po’ diversa dalle solite assemblee. Per esempio, l’accorato appello alla responsabilità e al rigore fiscale lanciato ai politici dal presidente dell’Unione, Giorgio Marsiaj, ha dell’inedito: “Abbiate la consapevolezza della gravità dei tempi – ha esordito –. Siate concreti, le promesse elettorali non potranno esaudirsi tutte. Costavano troppo per l’ansia di accontentare tutti. Spenderemo quei miliardi quando li avremo”. E giù con l’elenco delle priorità: “Lavoriamo a uno scudo europeo contro la crisi energetica; riavviamo il Pnrr, privilegiando la sua esecuzione; manteniamo il controllo della spesa pensionistica, perché la sua dimensione è tale che può destabilizzare l’intero bilancio; siamo realistici sul fisco. Le voci da alleggerire sono quelle del cuneo fiscale”, ha esclamato Marsiaj aggiungendo una richiesta  al nuovo governo Meloni che si sta formando: “Consultateci quando dovete prendere decisioni su temi come il lavoro e gli investimenti”: E ha chiuso ripescando il famigerato “Fate presto”. Parole e toni forse un po’ drammatici ma che riflettono la preoccupazione crescente della classe imprenditoriale di uno dei principali distretti produttivi d’Italia, messo in crisi d’identità dalla crisi dell’automotive e dalla mancanza di una politica industriale che sappia guidarne la trasformazione. 

 

Nel suo intervento da remoto Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, ha provato a riportare un po’ di ottimismo in sala e a ribaltare il discorso della responsabilità sulle imprese stesse. “La crisi che stiamo affrontando è transitoria e nel 2024 torneremo a crescere – ha sottolineato –. L’Italia si trova di fronte a uno scenario complesso ma non dobbiamo paragonarlo alle recessioni vissute in passato”. Per Messina, le aziende che non ce la fanno a sopravvivere per i rincari energetici vanno sicuramente aiutate, magari facendo ricorso ai prestiti con garanzia statale – misura che ha funzionato bene durante la pandemia – ma quelle che hanno abbastanza fieno in cascina  hanno la capacità per superare un momento critico, come fa ogni famiglia, e devono anche dare una mano. E sul deficit di bilancio che rischia di aumentare anche a causa di misure come il Reddito di cittadinanza contestate dalla nuova maggioranza, ecco come la pensa l’ad di Intesa: “Occhio agli slogan che tolgono quello che può rappresentare un elemento di coesione sociale. Dobbiamo essere sicuri che il 20 per cento delle famiglie italiane in difficoltà possa arrivare al 2024 con serenità e lo stesso vale per le aziende in difficoltà. Non possiamo pensare di accollare tutto il peso al pubblico, anche i privati devono contribuire a superare questo momento transitorio”, ha concluso.