Guerra e inflazione frenano l'economia globale. Il Fmi vede la recessione in arrivo
Italia e Germania decrescono (-0,2/-0,3 per cento); Usa, Ue e Cina rallentano. Ma può andare peggio. Per il Fondo monetario servono aiuti “ben calibrati”
Germania e Italia saranno i primi due paesi europei dell’area euro a entrare in recessione nel 2023 a causa del rallentamento dell’economia globale che sta subendo l’effetto combinato di tre “potenti forze”: l’invasione russa dell’Ucraina, le crescenti pressioni inflazionistiche e il rallentamento della Cina. E’ quanto ha sancito il Fondo monetario internazionale (Fmi) nel suo ultimo World economic outlook, in cui ha rivisto al rialzo la stima di crescita 2022 per il nostro paese al 3,2 per cento (0,2 per cento in più rispetto all’ultima previsione di luglio, grazie alla ripresa del turismo e della produzione industriale, che anche nel mese di agosto, secondo i dati Istat di ieri, è andata molto oltre le attese) e rivisto decisamente al ribasso quella per il 2023 a -0,2 per cento (rispetto al precedente più 0,7 per cento). Recessione, quindi.
La previsione diverge da quella del governo, che nell’ultima Nadef stima per il 2023 una crescita dello 0,6 per cento. Se fossero veritiere le stime del Fmi, più in linea con quelle di altri osservatori, per il prossimo governo ci sarebbero minori margini fiscali per le politiche di sostegno all’economia. Non va trascurato però il fatto che negli ultimi due anni le previsioni del Mef si sono avvicinate di più al dato reale, che ha poi persino superato le stime ottimistiche del governo. Secondo l’Fmi la crescita globale resterà invariata quest’anno al 3,2 per cento ma rallenterà al 2,7 per cento il prossimo, vale a dire 0,2 punti percentuali in meno rispetto alle previsioni di luglio, con una probabilità del 25 per cento che possa scendere al di sotto del 2 per cento. Più di un terzo dell’economia mondiale si contrarrà nel 2022 o nel 2023, mentre le tre maggiori aree – Stati Uniti, Unione europea e Cina – continueranno a incepparsi. Insomma, testuali parole, “il peggio deve ancora venire”.
Il principale elemento destabilizzatore continua a essere l’invasione della Russia nei confronti dell’Ucraina, con il paese aggressore che quest’anno si contrarrà meno del previsto grazie alle esportazioni di petrolio (-3,4 per cento invece che -6 per cento) e il paese aggredito che subirà un arretramento del 35 per cento, praticamente una catastrofe economica (oltre a quella umanitaria). Al di là della crescente e insensata distruzione di vite e mezzi, sintetizza l’Fmi, la guerra ha provocato una grave crisi energetica in Europa che sta aumentando drasticamente il costo della vita e ostacolando l’attività economica. I prezzi del gas sono più che quadruplicati dal 2021, con la Federazione di Vladimir Putin che ha ridotto le consegne a meno del 20 per cento rispetto ai livelli dello scorso anno, facendo aumentare le prospettive di carenza nel prossimo inverno e oltre.
Più in generale, il conflitto ha anche spinto al rialzo i prezzi dei generi alimentari sui mercati mondali nonostante il recente allentamento dopo l’accordo sui cereali del Mar Nero, causando gravi difficoltà alle famiglie a basso reddito in tutto il mondo. Nonostante l’avvio di politiche monetarie più restrittive, finora le pressioni sui prezzi si stanno rivelando piuttosto ostinate diventando una delle principali fonti di preoccupazione per i responsabili politici, osserva l’istituzione di Washington: “Prevediamo che l’inflazione globale raggiungerà il picco alla fine del 2022, ma rimarrà elevata più a lungo del previsto, scendendo al 4,1 per cento nel 2024”. In Cina, poi, i frequenti blocchi nell’ambito della sua politica zero Covid, confermata anche ieri dalle autorità di Pechino, hanno messo a dura prova l’economia nel secondo trimestre spingendo l’Fmi a tagliare le stime per quest’anno al 3,2 per cento (meno 0,1 per cento), il che rappresenta un livello di crescita molto inferiore a quello degli ultimi quindici anni. “Date le dimensioni dell’economia cinese – osserva l’Fmi – e la sua importanza per le catene di approvvigionamento globali, ciò peserà gravemente sul commercio e le attività globali”.
In questo scenario molto impegnativo, il Fondo vede che i compromessi politici per affrontare la crisi del costo della vita sono diventati estremamente difficili. Così “il rischio di un’errata calibrazione della politica monetaria, fiscale o finanziaria è aumentato notevolmente”. Nel complesso, l’Fmi ritiene che le banche centrali debbano mantenere la “mano ferma” con una politica monetaria concentrata sul controllo dell’inflazione. Anche perché, soprattutto in Europa, la crisi energetica non è uno choc transitorio. “Il riallineamento geopolitico delle forniture energetiche sulla scia della guerra russo-ucraina è ampio e permanente, così l’inverno 2022 sarà una sfida per l’Europa, ma il 2023 lo sarà ancora di più”.
La conclusione è che se un certo sostegno fiscale aggregato non può essere evitato, soprattutto nei paesi più colpiti dalla crisi energetica, importante inserire la politica in un quadro di bilancio credibile a medio termine. “Sfortunatamente, questi semplici principi non guidano in modo uniforme la politica attuale e il rischio che pacchetti fiscali fuori misura, scarsamente mirati e ampiamente stimolanti, in molti paesi non è trascurabile”.