la proposta
Requiem al price cap. Una misura troppo vaga per essere applicata
Una soluzione meno volatile del tetto al prezzo del gas, sarebbe agire su domanda e offerta: ovvero, sussidiare i risparmi e dare un bonus a chi ha potuto dimostrare di aver ridotto i propri consumi rispetto a periodi precedenti
L’ossessione di molti paesi ad adottare un price cap alle forniture di gas dalla Russia o da altri paesi non ha prodotto sinora alcun risultato. Perché si tratta di uno strumento tecnicamente ancora indefinito e politicamente ormai defunto. Non è col moltiplicarsi delle proposte che si risolve il problema. L’Italia ne ha avanzate due: una il 7 settembre, da parte del ministero della Transizione ecologica e denominata “A European price cap on naturalgas – Protecting consumers and guaranteeing security of supply” ma di cui non si è saputo più nulla. L’altra il 6 ottobre, portata dal premier Mario Draghi al Consiglio europeo di Praga del giorno dopo e denominata “A dynamic price corridor on natural gas – Key elements of the proposal”.
Confesso che di quest’ultima non ho capito nulla. Non si capisce in particolare come dovrebbe funzionare la costruzione del meccanismo del “corridoio” su tre scenari al variare dei rapporti domanda/offerta e come il price cap dinamico dovrebbe mutare al loro evolversi. La proposta poi di basare il “corridoio” su benchmark esterni al mercato del gas europeo e le soluzioni in caso di scarsità fisica non paiono attuabili nel breve termine, ammesso e non concesso che possano funzionare. Perché il Consiglio europeo non l’abbia presa in considerazione è ben comprensibile.
Sono convinto che la strada del price cap sia ormai impercorribile e che una molto più efficace alternativa sia quella di creare un eccesso di offerta tale da generare una pressione al ribasso dei prezzi del gas agendo sui versanti della domanda e dell’offerta. Risultati positivi a livello europeo su questo secondo versante sono stati ottenuti ampliando la platea dei fornitori così da soddisfare i consumi, alimentare gli stoccaggi, ridurre gli acquisti dalla Russia, dal 40 per cento dello scorso anno al 7,5 per cento attuale. In Italia, l’offerta è stata più che adeguata, sostituendo le forniture russe con quelle da altri paesi (specie dell’Algeria) al punto che quest’anno abbiamo esportato oltre 2 miliardi di metri cubi, col risultato di abbassare i prezzi sulla piattaforma nazionale Psv al di sotto di quelli di Amsterdam (Ttf). Meno bene sono andate le cose dal lato della domanda europea, che si è ridotta nel primo semestre solo del 7 per cento: il valore medio tra i cali del 2-3 per cento registrati in Italia, in Francia, in Germania e del 50 per cento in Finlandia. Sono state riduzioni molto contenute, motivabili in larga parte con le enormi risorse erogate dai governi ai consumatori finali e assimilabili a sussidi ai consumi che così sono rimasti elevati, incrementando le importazioni e sostenendo i prezzi internazionali.
Meglio sarebbe stato sussidiare i risparmi: riconoscendo dei bonus a chi avesse dimostrato di aver ridotto i consumi rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente o anche al trimestre precedente. Il combinato disposto di maggiore offerta e minor domanda su scala europea si è riflessa nei prezzi spot del gas all’incirca dimezzatisi nel Psv italiano dai circa 59 doll/Mil.Btu del 13 settembre ai 29 del 7 ottobre. Calo di cui poco si è parlato confermando che una buona notizia non fa notizia. Nulla ci garantisce tuttavia che in un mercato molto volatile come quello del gas il gioco delle aspettative, sfavorevoli condizioni climatiche, ulteriori riduzioni delle residue forniture russe non provochino quest’inverno nuovi incrementi dei prezzi. Continuare ad agire sui fondamentali domanda/offerta costituisce tuttavia la leva più efficace per ridurli. Un’azione molto più determinata per ridurre i consumi, con efficaci controlli e comportamenti sanzionabili, sortirebbe ben maggiori risultati di quelli che si vagheggiano nelle improvvisate proposte che si continuano a sfornare sul price cap.