Meloni cerca nuove bandierine per la sua prima legge di Bilancio. Per il gas ci sono 20 miliardi
L'idea è quella di istituire un fondo per la crisi energetica, ma rimandando al 2023 la definizione delle misure. Le risorse sono poche, e per la propaganda non restano che norme simboliche, come l'aumento del tetto del contante. L'incontro tra Giorgetti e la premier
Lui dice che è “tutto prematuro, tutto ancora in aria”. E lo dice a ragion veduta, Giancarlo Giorgetti. Perché ipotizzare previsioni con pretesa di esattezza, quando le variabili più importanti, e su tutti l’andamento del prezzo del gas, sono impossibili da definire, risulta un esercizio azzardato. E per questo la soluzione a cui ci si affiderà, per la legge di Bilancio, e che il ministro dell’Economia ha prospettato ieri a Giorgia Meloni, incontrata a Palazzo Chigi, è un espediente a cui lui ha già fatto ricorso nel 2018. Ma forse nella riluttante prudenza con cui il ministro dell’Economia, appena entrato in carica, condivide numeri e cifre della prossima legge di Bilancio, c’è anche la voglia di scansare un’insidia più politica.
Perché in effetti un quadro di massima c’è, sulla sua scrivania di Via XX Settembre, e indica un percorso obbligato. E però proprio nell’impossibilità di concedere spazio e risorse alle istanze della propaganda sta la difficoltà di Giorgetti, che già si descrive come un San Sebastiano alla colonna, trafitto dalle richieste dei partiti di maggioranza. Su questo, il ministro e la premier sono in sintonia: “In Finanziaria, la priorità va alla crisi energetica. Poi, quel che resta, si vedrà”. E allora ecco l’idea: un fondo da circa 20 miliardi da destinare al caro bollette, ma con misure e interventi che andranno definiti nel corso dell’anno.
Uno stratagemma che Giorgetti conosce bene – e con lui quel Giovanni Tria che sarà suo consigliere al Mef – per averlo già adottato nel 2018: quando, per Reddito di cittadinanza e Quota 100, in legge di Bilancio vennero solo stanziate le risorse, e poi le norme vennero scritte nei mesi successivi. Dovrebbe succedere la stessa cosa adesso. E qui la scelta è suggerita da un’altra incognita. Quella, cioè, legata all’andamento dei prezzi del gas e alle relative decisioni europee. Arriverà il price cap? E in che forma? E quanto impatterà sul mercato europeo? A tutte queste domande Roberto Cingolani, ascoltatissimo consulente sugli Affari energetici, ai ministri che lo interpellano dice che non si potrà dare una risposta chiara prima della seconda metà di novembre. Ma i capitoli della manovra vanno definiti prima. E siccome le risorse sono poche, e sbagliare nell’allocarle sarebbe imperdonabile, ecco che si sta pensando di bloccare 20 miliardi – il che equivarrebbe, comunque, a un terzo dei 57 miliardi spesi da Mario Draghi nel 2022 – in un fondo a cui attingere progressivamente durante l’anno, mano a mano che le contingenze lo richiedessero. E in questa prospettiva, che è comunque improntata all’ottimismo, si cercherà di lasciare libere le risorse necessarie per altre misure. “Il resto si vedrà”, appunto, come dice Giorgetti.
Solo che il resto pare essere ben poca cosa, se è vero che già trovare queste risorse non sarà affatto scontato. Per il 2023 Giorgetti eredita dal suo predecessore, Daniele Franco, un margine di circa 10 miliardi. Sono, mal contati, quelli che risultano dal taglio di mezzo punto di pil nel deficit tendenziale, che la Nadef ha rivisto al ribasso rispetto al Def (dal 3,9 al 3,4 per cento). Gli altri andranno trovati nelle famigerate “pieghe del bilancio”. E’ a quelle che alludeva, giorni fa in Transatlantico, Maurizio Leo, responsabile economico di FdI che, da viceministro già indicato, otterrà una super delega a Fisco e finanze. Modalità Vincenzo Visco, ma “patriota”. E poi si confida nell’“extragettito” oltre che in una revisione della norma sugli extraprofitti e nei buoni risultati della lotta all’evasione. Tutte cose che, si spera, daranno un po’ di ossigeno alle casse di Via XX Settembre. E poi si dovrebbe intervenire sul lato della spesa, ma con stime al momento provvisorie.
Insomma, le prospettive posano su fondamenta non esattamente granitiche. Tanto più che la sola proroga per il 2023 delle misure sulle pensioni adottate da Draghi in maniera transitoria drenerà circa 3 miliardi. Le spese indifferibili faranno il resto. E dunque al di là di misure per lo più simboliche ma rigorosamente a costo zero, come l’innalzamento del tetto all’uso del contante, il mirabolante programma elettorale del centrodestra resterà accantonato. Almeno per quest’anno.
Verrà ripreso, invece, quello del governo Draghi. Nel senso che per intervenire sul caro bollette di dicembre, l’intenzione è quella di che prorogare fino a fine anno, con un decreto Sostegni quater, le misure già introdotte in quel dl Sostegni ter che l’esecutivo dell’ex banchiere ha lasciato in eredità, in corso di approvazione definitiva alla Camera. Anche le risorse per finanziarlo, del resto, saranno quelle lasciate in cassa da Draghi. Si tratta di 10 miliardi non spesi che andranno utilizzati per il rinnovo del credito d’imposta al 40 per cento e per la riduzione delle accise (nel complesso circa 5,5 miliardi), e il resto per anticipare il pagamento di spese indifferibili.