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i dati

Istat e pil dicono che va tutto bene: il malessere italiano non è la crisi economica

Stefano Cingolani

L’incertezza è forte, ma i dati mostrano che l’economia non è in recessione. Ringraziare Draghi

E’ andato tutto bene, lo certifica l’Istat. La nave va, la recessione s’allontana. Il governo Draghi ha lasciato una crescita superiore alle previsioni anche quest’anno: un più 3,9 per cento è già acquisito e il pil rallenta, ma non si sta fermando. Nella replica al dibattito sulla fiducia Giorgia Meloni, con una delle sue occhiate dal basso in alto e un sorrisino furbetto, ha gettato il sasso nella piccionaia dell’opposizione orfana di Super Mario: “Non è poi andato tutto bene”, ha esclamato. Si riferiva ai ritardi veri o presunti del Pnrr e ai sussidi decisi dal governo precedente che, a suo parere, non ha fatto abbastanza. Dobbiamo dire a discolpa che non poteva conoscere le ultime stime dell’Istat uscite soltanto oggi, però s’è fatta prendere dalla sua foga oratoria. 


Nel terzo trimestre del 2022 il prodotto interno lordo “espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2015, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato” (dal comunicato Istat), è aumentato dello 0,5 per cento rispetto al trimestre precedente e del 2,6 in termini tendenziali. Più di Germania, Francia e Spagna. Solo la Svezia ha fatto meglio nei tre mesi estivi. “La fase espansiva del pil prosegue pertanto per il settimo trimestre consecutivo, ma in decelerazione”. Il dato congiunturale è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto sia nel comparto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca, sia in quello dell’industria, mentre i servizi hanno registrato un aumento. Dal lato della domanda, la componente nazionale (al lordo delle scorte) ha dato un contributo positivo, mentre la domanda estera è stata negativa. Le cifre pubblicate dall'Istat tengono conto che “il terzo trimestre del 2022 – spiega l’istituto di statistica – ha avuto tre giornate lavorative in più rispetto al trimestre precedente e una giornata lavorativa in meno rispetto al terzo trimestre del 2021”. 


Le stime per quest’anno, dunque, vanno aggiustate al rialzo anche se con la necessaria prudenza visto il clima di estrema incertezza, ha ammonito oggi Ignazio Visco governatore della Banca d’Italia intervenendo alla giornata del risparmio. Continuità, nessuna frattura, ha promesso Giancarlo Giorgetti, ancor meno con il Pnrr che sarà lo strumento principale per fronteggiare i rischi di recessione, nell’anno in cui si dovranno aprire i cantieri. Nel suo primo intervento ufficiale come ministro dell’Economia, ha confermato che “il nuovo governo è orientato a confermare il proprio impegno, nei prossimi anni, a ridurre il deficit della pubblica amministrazione e il rapporto debito/pil”, proteggendo famiglie e imprese dall’inflazione. Proprio l’aumento dei prezzi, balzato al 12,8 per cento, è il lato oscuro di questa congiuntura. Ma attenzione, il dato registra i rincari del passato, soprattutto il balzo del prezzo del gas che ora sta scendendo in modo più rapido del previsto. Speriamo che duri, dalla Spagna arrivano segnali che la febbre inflattiva si sta riducendo, anche grazie alle docce fredde della Bce, la quale, però, non deve esagerare. La stretta monetaria va attuata con prudenza e gradualità, ha insistito Visco, per non provocare quella recessione che per ora è stata evitata.


Siamo arrivati a novembre e il bicchiere è pieno ben oltre la metà. C’è una economia vivace, dinamica, più che resiliente o resistente. E’ sostenuta da una domanda interna che compensa quella estera in rallentamento. Insomma, l’Italia spinge più dei paesi ai quali vende le proprie merci. Ciò è dovuto in buona parte ai sostegni monetari decisi dal governo, i 62 e passa miliardi di euro spesi da Draghi, ai quali s’aggiunge un vero e proprio boom turistico. A colmare il bicchiere c’è poi il risparmio privato che finora è aumentato, lo confermano i conti correnti delle banche. “Difenderlo è un dovere costituzionale”, ha detto oggi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e senza dubbio l’inflazione è la nemica numero uno dei risparmiatori e dei lavoratori a reddito fisso. La crescita ha consentito una riduzione del debito pubblico e questo offre anche un certo margine in più (sia pur non grandissimo) alla prossima manovra finanziaria. Venerdì vedremo le cifre preparate dal ministero dell’Economia.

Meloni, dunque, dovrebbe dire grazie al suo predecessore e non perdere altro tempo perché non può governare con la forza d’inerzia. L’andamento della produzione industriale è preoccupante: la manifattura dipende fortemente dalle esportazioni, dunque la debolezza del mercato mondiale (la semi-stagnazione cinese per esempio) ed europeo (la Germania alla quale siamo interconnessi è in brusca frenata) provoca serie ripercussioni nazionali. Restiamo con il fiato sospeso, tuttavia non è all’economia, non è al pil che si può imputare il disagio, l’ansia, la sofferenza, la rabbia, il rancore, insomma tutto quello che agita lo stato d’animo nel paese e che si è rispecchiato nelle scelte dei votanti e ancor più dei non votanti. La crisi è sociale più che economica in senso stretto. Questa volta, “it’s the economy stupid” non è la lente per leggere le aspettative degli italiani.
 

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