L'analisi
Perché il pil italiano sta spiazzando tutti gli analisti?
Più 2,6 per cento tendenziale, secondo i dati Istat. “È cambiata la struttura della spesa”. Il peso dell'incognita industriale che darà vita a una selezione darwiniana tra le imprese
Il pil che spiazza gli analisti è ormai diventata una consuetudine. O se preferite una serie. E ieri è andata in onda l’ennesima puntata: il consensus indicava per il terzo trimestre 2022 uno zero spaccato mentre Intesa Sanpaolo si spingeva a prevedere +0,2 per cento. Il responso dell’Istat è andato oltre ogni ottimistica speculazione segnando +0,5 per cento trimestre su trimestre e una correzione tendenziale del 2,6 per cento. A tirare la carretta sono stati i servizi mentre la manifattura è rimasta stagnante e l’agricoltura ha sofferto le conseguenze della siccità. La domanda interna ha fatto da battistrada mentre l’export non ha dato il tradizionale apporto positivo.
Visto che stiamo parlando dei mesi di luglio, agosto e settembre servizi vuol dire innanzitutto turismo grazie a una stagione persino entusiasmante sia come flussi interni sia come contributo degli stranieri. Come le cronache di questi giorni hanno raccontato con particolare enfasi la stagione del turismo si è estesa anche a ottobre e quindi darà un supporto al dato del quarto trimestre (che però non si preannuncia positivo ma addirittura attorno a -0,5 per cento). In virtù del nuovo aumento di ieri la crescita acquisita per l’intero 2022 si assesta a quota 3,9 per cento. Ma perché – ed è questa la domanda intrigante – sua maestà il pil spiazza sempre gli analisti? La spiegazione che suona verosimile chiama in causa i mutamenti sociologici della struttura dei consumi legati in qualche modo al biennio della pandemia e al successivo choc inflattivo. “E’ cambiata la struttura della spesa” sintetizza Fedele De Novellis, partner di Ref Ricerche. E di conseguenza è necessario capirne di più.
Prendiamo la componente mobilità che è cugina del turismo anche se per lo più legata ai trasferimenti interni per seguire gli eventi, al pendolarismo settimanale e in generale a un mutamento della gerarchia delle spese “non negoziabili”. Sul piano della fenomenologia possiamo archiviare il traffico autostradale sostenuto (e che sta creando per la A4 una preoccupante recrudescenza degli incidenti) e la decisione dei francesi di Sncf di investire sull’alta velocità ferroviaria. Sono input assai diversi tra loro ma che parlano la stessa lingua.
Sarà necessario capire meglio come l’insorgenza dell’inflazione stia influenzando il mutamento della struttura dei consumi. Sappiamo di certo che nell’ambito della distribuzione si assiste a uno spostamento di quote di mercato a favore dei discount. Non possiamo stimare con ragionevole certezza, invece, con quale incidenza effettiva lo smart working abbia contribuito a riscrivere l’alfabeto dei consumi. Di sicuro poi le temperature più che miti delle ultime settimane hanno aiutato a non far esplodere la spesa energetica e di conseguenza a contenere gli effetti negativi sul reddito delle famiglie. Che però si aspettano mesi duri come testimonia il dato sull’indice di fiducia dei consumatori sceso di diversi punti.
Sul versante delle imprese, fatti salvi gli stop and go legati all’approvvigionamento a singhiozzo di alcune componenti, e a prime misure di contenimento energetico, il day by day registra un forte aumento del ricorso alla Cassa integrazione ma non ancora il manifestarsi di clamorose crisi aziendali. Il caso più spinoso, quello della finlandese Wartsila, è legato a una strategia di reshoring scandinavo e non di mancanza di commesse. Non sappiamo però in che misura i maxi-tagli annunciati da Electrolux (4 mila addetti) possano avere conseguenze sugli stabilimenti italiani del nord-est. Speriamo di no.
Si dà per scontato che le bollette impazzite daranno vita a una selezione darwiniana delle Pmi sia in campo manifatturiero sia nei servizi ma mancano ancora delle evidenze statistiche, è facile però che questo nuovo choc acceleri l’uscita dal mercato di operatori che sono in là con gli anni e preferiscono abbassare la claire adesso piuttosto che dover far i conti con l’ennesima discontinuità gestionale della loro vita imprenditoriale. Ma al di là di un vero bilancio dello tsunami bollette sulle imprese la prima conseguenza che si può verificare, avverte lo stesso De Novellis, è un rinvio degli investimenti, una sorta di tirare a campare piuttosto che affrontare di petto le transizioni digitali ed energetica. Con tutte queste tare e con qualche caveat da tenere doverosamente in mente comunque l’Italia continua a produrre pil più dei suoi partner: siamo a +1,8 per cento sui livelli pre Covid contro l’1,1 per cento della Francia e lo 0,2 tedesco. Con questi presupposti e con la coscienza di aver spostato in avanti la famigerata ora X guardiamo ai prossimi mesi con la dovuta preoccupazione. Il quarto trimestre sarà in negativo e anche il primo del 2023, per riprendere a crescere – Intesa Sanpaolo dixit – bisognerà attendere la prossima primavera. In mezzo ci sono cento variabili, dal possibile razionamento con effetti sulle attività industriali all’andamento del commercio internazionale, ma se nell’attesa cercassimo di capirne di più del funzionamento di quest’economia “capatosta” degli anni Venti daremmo anche un contributo a un governo alle prese con il praticantato.