il caso

Priolo è un problema ma non per le ragioni descritte dal Wsj

Luciano Capone

Se la raffineria Isab in Sicilia si è ritrovata a importare solo petrolio russo non è  per una strategia di Lukoil, ma per un effetto paradossale delle sanzioni

Il Wall Street Journal ha (ri)portato all’attenzione pubblica italiana il caso della raffineria di Priolo Gargallo, in Sicilia. Secondo l’inchiesta del quotidiano finanziario americano, “il petrolio russo sta alimentando le auto americane attraverso la scappatoia delle sanzioni”, perché “la raffineria di Lukoil in Sicilia utilizza fino al 93 per cento di greggio russo per produrre benzina che invia negli Stati Uniti”. Il Wsj ha seguito  il traffico marittimo ricostruendo  il tragitto del greggio che parte dalla Russia, passa per l’Italia dove viene raffinato  e, infine, arriva in America sottoforma di benzina senza violare le sanzioni. A questo proposito, e così è stata largamente ripresa in Italia l’inchiesta giornalistica, si parla di un “aggiramento” dell’embargo americano al petrolio russo: è come sé quella di Priolo più che una raffineria fosse una “lavanderia” che compra greggio “sporco” degli Urali e lo reimmette “pulito” sul mercato globale  sottoforma di prodotti raffinati “made in Italy”.


La ricostruzione del Wsj, seppure precisa nei dettagli, risulta però mistificatoria o quantomeno distorta nella sostanza.  Il messaggio che passa è che la Lukoil, la seconda società petrolifera russa, abbia deliberatamente usato la raffineria Isab in Sicilia come porta d’ingresso per il petrolio russo nel mercato occidentale che dovrebbe invece essere sigillato dalle sanzioni. Ma le cose non stanno in questi termini. Se l’Isab di Priolo si è ritrovata a importare solo petrolio russo non è  per una strategia di Lukoil, ma per un effetto paradossale delle sanzioni: sebbene la società non sia sanzionata, le banche per timore di sanzioni secondarie anche fuori dall’Ue (e l’attenzione dei media americani dimostra il perché delle preoccupazioni) hanno smesso di fare credito all’Isab, che così si è ritrovata a poter contare solo sulle forniture della casa madre russa. Ma si tratta di una scelta subita più che cercata, tanto che l’azienda sin da marzo ha segnalato al governo italiano questa situazione di totale dipendenza dalla Russia come una criticità da risolvere, soprattutto in vista dell’embargo al greggio russo di  dicembre. E’ un problema che, colpevolmente, il governo precedente ha accettato di non voler risolvere. Allo stesso modo, non è corretto suggerire che la trasformazione del greggio russo sarebbe una sorta di “scappatoia” o “aggiramento” dell’embargo. Anche perché il problema non si pone solo per Isab, ma per tutto il greggio russo seppur in misura decrescente lavorato in Europa. E si porrebbe, a maggior ragione, dopo l’embargo europeo ai prodotti petroliferi russi che scatterà a febbraio 2023, quando magari verranno importati prodotti raffinati dall’Asia che userà greggio russo. Questo giro, che può apparire contraddittorio, non “aggira” le sanzioni né europee né americane. Ma anzi è  in linea con l’approccio voluto dalla Casa Bianca, che punta a ridurre le entrate per Mosca  senza però strozzare l’offerta globale facendo sparire dal mercato  il greggio russo. Perché la conseguenza sarebbe un aumento eccessivo del prezzo alla pompa di benzina per i consumatori americani.
 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali