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La svolta del nuovo Patto di stabilità è il mercato. La versione di Buti

 Stefano Cingolani

"Vogliamo sostenere la crescita e migliorare la sostenibilità del debito, rafforzare la titolarità nazionale delle decisioni di politica economica e semplificare le nostre regole", ha detto Gentiloni

Sono solo linee guida e la Germania ha già alzato lo scudo, ci vorrà pazienza e sagacia diplomatica, ma la riforma del patto di stabilità e crescita presentata ieri da Paolo Gentiloni commissario europeo all’economia insieme al vicepresidente Valdis Dombrovskis, è un cambiamento significativo. Se i suoi effetti concreti si vedranno solo nel tempo (il nuovo patto dovrebbe decollare solo nel 2024), l’impatto sulle aspettative dei mercati e sugli stessi comportamenti dei governi potrebbe essere molto più rapido.

 

Ecco le novità principali della riforma del patto di stabilità e crescita

La prima riguarda il debito pubblico. Viene abbandonato il meccanismo astrattamente matematico che impone di ridurre il rapporto debito/pil di un ventesimo l’anno fino a scendere al mitologico 60% che a questo punto diventa un punto di riferimento ancor più cervellotico. Resta il limite del disavanzo annuo al 3 per cento del pil, tuttavia sarà una meta da raggiungere in quattro anni (con possibilità di altri tre), attraverso un percorso flessibile e concordato, concedendo più spazio ai singoli paesi. Ogni governo metterà sul tavolo di Bruxelles il proprio piano di aggiustamento, tenendo conto delle sue priorità economiche, delle riforme e degli investimenti. Il controllo sarà annuale e vincolante soprattutto per chi ha un debito superiore al 90 per cento (quindi Italia e Grecia prima di tutti non la Germania e per il momento nemmeno la Francia). Il metro di riferimento non è più l’avanzo strutturale, parametro anch’esso complicato e opaco, ma la spesa pubblica primaria netta, cioè senza l’onere per interessi e gli interventi anticongiunturali. E questa è la terza importante novità. 

    

La flessibilità che contraddistingue il nuovo patto al contrario della rigidità precedente non riguarda solo tempi più lunghi e criteri più realistici nel giudicare le manovre finanziarie, ma anche il maggiore spazio ai singoli stati. I sovranisti saranno contenti. In realtà fin da Maastricht le politiche fiscali sono rimaste in mano ai governi nazionali, tuttavia oggi diventa più difficile percorrere il cammino verso quel ministro europeo delle finanze speranza dei federalisti e proposta specifica avanzata da Emmanuel Macron. Insomma, prevale il pragmatismo, tenendo conto che finora quasi nessuno ha rispettato i limiti del 3 per cento per il deficit e del 60 per cento per il debito. Non solo, nel frattempo la crisi finanziaria, la pandemia e la guerra in Ucraina hanno cambiato l’intero scenario. Come si può non tenerne conto? “Le proposte che presentiamo oggi mirano a conciliare tre imperativi complementari e non contraddittori – ha spiegato il commissario agli affari economici Paolo Gentiloni - Vogliamo sostenere la crescita e migliorare la sostenibilità del debito, vogliamo rafforzare la titolarità nazionale delle decisioni di politica economica, vogliamo semplificare le nostre regole, preservandone l’utilità”.

    

La riforma parte dalle esperienze di questi vent’anni e riconosce che il vecchio patto ha provocato un crollo degli investimenti pubblici nell’area euro allargando il divario con l’alleato americano e con lo sfidante cinese. Dire che il ritardo tecnologico europeo è colpa del patto di stabilità, sarebbe eccessivo, tuttavia per restare entro i parametri o per raggiungerli i governi hanno sacrificato non la spesa corrente a più alto potenziale politico, ma quella per infrastrutture, ricerca, sostegno all’innovazione.

 

Un paper scritto da Marco Buti capo di gabinetto di Gentiloni, insieme al suo vice Jakob W. Friis e Roberta Torre, economista alla commissione europea, lo mette in evidenza cifre alla mano. Peggio ha fatto la Spagna, ma Italia, Francia e Germania hanno seguito lo stesso percorso. Un effetto micidiale di fronte allo scenario attuale e agli stessi obiettivi della Ue, dalla transizione energetica a quella digitale. E il Next Generation Eu non basta. Lo studio non è un documento ufficiale, piuttosto ha fornito la base analitica della proposta Gentiloni. Un altro difetto del vecchio patto è che ha favorito politiche pro cicliche le quali fanno da volano ai fattori di crisi anziché contrastarli. Insomma, l’Eurolandia si è trovata di fronte a “un trilemma”, spiegano Buti e i suoi collaboratori: non si può perseguire contemporaneamente una rapida riduzione del debito sul pil (lato A del triangolo), migliorare la qualità delle finanze pubbliche per riflettere le priorità della stessa Ue (lato B), mantenere una forte titolarità nazionale e la stabilità politica (lato C). Una rapida riduzione del debito e un miglioramento brusco della composizione fiscale entra in conflitto con la stabilità politica nazionale. E’ la lezione del biennio 2010-2012 in Grecia, Portogallo, Spagna e Italia. Ma politiche di austerità fiscale anche là dove c’è stabilità politica possono ridurre “spese buone”, è quello che ha sperimentato la Germania la quale ora si trova ad affrontare il suo ritardo tecnologico e infrastrutturale. Se poi si verifica un peggioramento nella qualità delle finanze pubbliche, scatta la sanzione dei mercati.

    

Il trilemma di Buti farà discutere economisti e politici. Il governo di Berlino ha scritto nero su bianco le sue posizioni e le sue opposizioni. C’è un accordo per il superamento del meccanismo automatico di rientro, del resto oggi la Germania ha bisogno di espansione fiscale come ha dimostrato la iniezione di 200 miliardi di euro per tamponare il caro bollette. Tuttavia vuole che la clausola sugli investimenti sia limitata e ogni aumento del deficit venga concesso una tantum salvando il parametro del pareggio strutturale. In ogni caso occorre un punto di riferimento numerico, una sorta di bussola aritmetica per evitare che ciascuno vada per la propria strada. Il controllo è la vera ossessione tedesca e Berlino preferisce che resti invariato il meccanismo delle sanzioni, compresa la procedura per deficit eccessivo. La posizione di partenza tedesca non rifiuta la discrezionalità, ritiene che sia eccessiva. Secondo Buti, l’unico modo per sfuggire al triangolo stregato è “accettare una limitazione più graduale del debito sul pil”. E’ quella che chiama la soluzione C l’unica a tener conto che “seguire le regole correnti non sarebbe economicamente ottimale e sarebbe politicamente irrealistico”. Che il confronto cominci e finisca al più presto con un nuovo patto comune.

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