Quant'era buono il Superbonus per la crescita e il lavoro
Giusto rimettere a posto le cose che non vanno nel testo legislativo, ma invece di sputtanare il tutto con la demagogia, sarebbe il caso di trovare soluzioni simili per tirarci fuori dalla stagnazione
Quello che scrive Luciano Capone per me è scritto sempre in lettere d’oro. Ma sul Superbonus mi permetto per una volta di obiettare qualcosa. Si sa, è connaturale all’uomo, e in particolare al nostro tipo d’uomo italiano coi baffi e lo sguardo bieco, la tendenza alla truffa. Gli interventi di facilitazione fiscale non dovrebbero mai risultare regressivi, come invece è avvenuto. Le leggi dovrebbero sconsigliare comportamenti che le eludono con troppa facilità. Mai così tanto è stato dato a così pochi, si dice, o almeno ha detto con enfasi churchilliana il ministro Giorgetti. La presidente Meloni ha riscritto il decreto del Bisconte sull’edilizia, più o meno come aveva promesso di fare Mario Draghi, e anche al di là delle possibilità di un governo di unione nazionale, e siamo tutti contenti.
(Per fatto personale, preciso che, essendo un piccolissimo snob, io mi vanto di aver fatto solo due tamponi dall’inizio della pandemia, e sempre per entrare in una clinica che lo imponeva, e così mi vanto di non aver chiesto alcun tipo di sussidio tra i molti possibili anche per un bilancio familiare agiato come il mio. In più, per me, qualunque cosa che sappia di greenwashing, cioè di uso demagogico dell’ecologismo per fare affari che non hanno niente di verde, mi fa leggermente schifo.)
Detto tutto questo, devo anche confessare che del Superbonus o Superbone ho capito una sola cosa, fumettisticamente: è servito a rimettere in pista l’edilizia, ha fatto da volano alla buona performance italiana in fatto di crescita, con una (in certi casi losca) moltiplicazione delle imprese, magari con una farlocca redistribuzione della ricchezza a vantaggio del solito 1 per cento dei privilegiati eccetera. Magari con risultati ecologici scarsi, con tutti quei cappotti termici condominiali o nelle villette, tutti quegli infissi, probabilmente bruttini, che hanno sostituito i vecchi, tutta paccottiglia degna di una legge grillina del Bisconte: ma dopo quel fatale decreto le cose hanno iniziato a muoversi.
Non conosco altre leggi fiscali che abbiano determinato un tale terremoto o scombussolamento ambientale intorno a me. Si è subito capito, a Superbonus avviato, che era cambiato qualcosa di importante. Che il bâtiment era improvvisamente ripartito dopo decenni di galleggiamento. E la strada non era quella della cementificazione famosa bensì quella della ristrutturazione dell’esistente. D’improvviso non si trovava più nessuno che ti aggiustasse un portale, che intervenisse per la manutenzione di un muretto, tutti erano occupati nella cuccagna del Superbonus, e si vedevano in piazza, nel ceto felice dell’impresariato anche medio-piccolo, certi sorrisi larghi, certe contentezze che facevano per una volta bene sperare. Hai visto mai che con una legge di incentivazione fiscale che coinvolge le banche si riesca a ripristinare un circuito non vizioso nel rapporto tra finanza e industria, tra economia del credito e economia reale?
Quell’ideona del 110 per cento, un guadagno netto per una spesa che valorizza un bene immobiliare, e il tutto travestito da impresa verdeggiante, bè, a me è sempre sembrato una gran trovata. Ho avuto l’impressione che la cosa facesse del bene non solo ai pochi messi sotto accusa da Giorgetti, e magari a spese dei contribuenti poveri, che com’è noto in Italia esistono sì e no, visto che le tasse, a parte l’imponibile in busta paga, le pagano prevalentemente i ceti medi e direi medio alti; ho avuto l’impressione che ne beneficiasse anche il lavoro, per quantità, per qualità, per contributi erogati eccetera. E’ solo un’impressione, ma ben radicata. Secondo me è giusto rimettere a posto le cose che palesemente non vanno nel testo legislativo del Superbonus, ma invece di sputtanare il tutto con argomenti demagogici, io mi ingegnerei a trovare altre soluzioni simili per tirarci fuori dalla stagnazione in cui la crisi e la guerra ci stanno cacciando.