Foto Epa via Ansa

Embargo Ue e price cap del G7, i problemi della Russia sul petrolio

Federico Bosco

Mosca avrà grandi difficoltà a mantenere i livelli di esportazione e ricavi, diventando completamente dipendente dai desiderata dei suoi principali acquirenti e dai prezzi globali determinati dalle manovre dell’Opec+, riducendosi a essere uno junior partner anche per l’Arabia Saudita

Secondo i dati dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) a ottobre il volume delle esportazioni di petrolio dalla Russia è aumentato del 2,7 per cento rispetto a settembre, un surplus che ha spinto il flusso delle esportazioni a 7,7 milioni di barili al giorno, che sulla scia dei prezzi in rialzo a portato i ricavi totali a 17,3 miliardi. Questi dati però non sono indice della buona salute del settore petrolifero russo, ma della corsa di India, Cina, Turchia e alcuni paesi europei agli acquisti di greggio degli Urali prima dell’entrata in vigore dell’embargo dell’Unione europea.

  

Il rapporto dell’Iea infatti afferma anche che nel 2023 la produzione petrolifera russa è destinata a diminuire di 1,4 milioni di barili al giorno, privando Mosca di una parte considerevole delle sue entrate. Nello specifico, dal prossimo 5 dicembre (meno di tre settimane) Bruxelles vieterà le importazioni di greggio russo trasportato via mare, mentre dal 5 febbraio il divieto sarà esteso ai prodotti petroliferi. Inoltre, sempre a dicembre dovrebbe entrare in vigore il price cap sul petrolio del G7, uno strumento che consentirà ai fornitori dei servizi assicurativi e finanziari di servire le navi che trasportano greggio russo solo se venduto al di sotto di un determinato prezzo (ancora da fissare).

  

Ciò significa anche che l’Ue dovrà sostituire 1 milione di barili al giorno di greggio e 1,1 milioni di barili al giorno di prodotti petroliferi, ma i paesi europei hanno tutti gli strumenti per continuare a compensare la rinuncia al petrolio russo aumentando le forniture dal Medio Oriente, dall’Africa, dalla Norvegia, dal Brasile e da altri paesi. Cosa succederà alla Russia invece non è chiaro. Entro il dicembre Mosca dovrà dirottare quagli 1,1 milioni di barili al giorno dall’Europa verso altri paesi, ma l’Iea ha rilevato che, nonostante gli enormi sconti, a ottobre non ci sono stati aumenti significativi di acquisti al di fuori di Cina, India e Turchia, che già comprano con sconti non inferiori ai 20-30 dollari al barile. Ma non è solo questione di prezzo. La mancanza di petroliere, in particolare quelle in grado di navigare in inverno tra i ghiacci per le rotte che partono dai porti russi nel Baltico e nell’Artico, rappresenta un limite per l’affidabilità delle forniture russe. La società di analisi Vortexa calcola che lo spostamento di tutti i flussi di greggio russo dall’Europa ai paesi attualmente disposti a comprarlo in grandi quantità richiederebbe 219 petroliere di varie dimensioni, il triplo di quanto è stato utilizzato per trasportare  il suo greggio a ottobre (ciò è dovuto alla lunghezza delle rotte verso l’Asia, che occupa le navi più a lungo).

   

Alcuni trader operanti in Cina hanno detto alla Reuters che a dicembre le raffinerie cinesi hanno in programma di ridurre gli acquisti di petrolio russo e valutare i diversi fattori di rischio. Secondo fonti di Bloomberg le compagnie petrolifere statali cinesi sono preoccupate dell’agibilità dei canali finanziari, assicurativi e logistici per continuare a comprare petrolio russo. Una parte della soluzione è nell’aumento delle importazioni da oleodotti, ma anche in questo caso serve una banca sicura per gestire le transazioni senza che gli operatori corrano il rischio di incappare in sanzioni secondarie. A pesare sono anche le prospettive macroeconomiche sulla domanda. L’India è diventato un grande consumatore di greggio Ural, ma sembra aver raggiunto l’apice, mentre l’Iea prevede che nel 2023 la crescita della domanda globale di petrolio rallenterà a 1,6 milioni di barili al giorno dai 2,1 milioni di quest’anno.

   

Pertanto, l’unica certezza è che Mosca avrà grandi difficoltà a mantenere i livelli di esportazione e ricavi, diventando completamente dipendente dai desiderata dei suoi principali acquirenti e dai prezzi globali determinati dalle manovre dell’Opec+, riducendosi a essere uno junior partner anche per l’Arabia Saudita, che quando progettava di portare la Russia nel cartello dei paesi produttori aveva tutti altri programmi. Svaniti il giorno in cui Vladimir Putin ha dato l’ordine di invadere l’Ucraina.

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