l'intervista
Perché ai sindaci e ai governatori non piace la pace fiscale. Parla Decaro (Anci)
Per gli enti locali, le imposte non saldate sono un’importante voce di bilancio e i condoni in arrivo faranno saltare i conti. Una soluzione sarebbe "incentivare il pagamento offrendo al contribuente di chiudere in una sola soluzione, senza rate e interessi". Crediti, guai e soluzioni
A Napoli aspettano la decisione sulla rottamazione delle cartelle esattoriali con ansia. Perché il capoluogo campano ha il record italiano nella non lusinghiera classifica degli enti locali più indebitati: nel 2021 il buco era di 946,7 milioni. E quindi ogni risorsa, soprattutto quelle derivanti dal recupero dei crediti per le imposte incagliate e non saldate dai contribuenti locali, era ossigeno per le casse devastate dell’amministrazione. La stessa ansia la prova Torino, che lo scorso anno aveva un deficit di oltre 400 milioni, Reggio Calabria (176 milioni), Salerno (127 milioni). Quando si saprà con certezza quali crediti saranno cancellati definitivamente e quali invece subiranno una decurtazione nell’importo e nel peso di sanzioni e interessi si potrà capire l’effetto sui bilanci. E di riflesso sui servizi che dovranno essere tagliati ai cittadini per far quadrare i conti.
“Stanno rottamando crediti nostri”, dice Antonio Decaro con rassegnazione, abituato ormai a fare i conti con uno stato che con una mano prende e con l’altra pure, lasciando i sindaci da soli in prima linea sul fronte dei servizi. “La maggior parte delle tasse che saranno cancellate o ridotte sono nostre – dice – perché si parla di addizionali, di concessioni, di pubblicità e di affissioni”. Ma uno stato alla perenne ricerca di soldi, e alle prese con crediti che non saranno mai riscossi, cosa deve fare allora? Continuare ad aumentare un monte di incassi solo virtuale? “È condivisibile l’obiettivo di ridurre il contenzioso senza speranza e di alleggerire la posizione di contribuenti che sono oggettivamente in difficoltà per ragioni congiunturali. Ma è importante che il governo capisca che sta intervenendo su competenze e cassa che sono nostre, e che parli con noi per definire le modalità dell’intervento. Finora non è accaduto”.
I comuni hanno una proposta alternativa alla rottamazione che parte dall’alto. “La possiamo fare anche noi – dice Decaro – e funzionerebbe in questo modo, ottenendo gli stessi obiettivi, perlomeno sociali, che vuole il governo, ma senza danni per le nostre casse. Si tratta di incentivare il pagamento di quello che non è stato mai saldato offrendo al contribuente di chiudere in una sola soluzione, senza rate, cancellando sanzioni e interessi. La cosa ha trovato interesse, ma non ci hanno ascoltato. E si ripropone allora la ricetta di sempre: cancellare e ridurre”. Decaro è rassegnato, dicevamo. Ma chiede almeno dei correttivi al fondo per i crediti inesigibili, che i comuni debbono alimentare per fronteggiare il momento in cui, in bilancio, i crediti vantati diventano formalmente non più riscuotibili, e quindi finiscono nel passivo di bilancio.
“Ci devono abbassare la percentuale, ora all’80 per cento, nel quale inserire i crediti di dubbia esigibilità. Quella quota ci strangola. Come pure il dover calcolare come cassa solo la media di quanto riscosso negli ultimi 5 anni”. Il risultato di queste manovre prudenziali, dice Decaro, paralizza circa 3,5 miliardi. E allora adesso che succederà? Che faranno i sindaci? “Quello che hanno dovuto sempre fare purtroppo, cioè tagliare. Non ci sarà una linea comune, ovviamente, perché ogni amministrazione ha le sue esigenze, ma saranno scelte singole e dolorose. Chi taglierà i finanziamenti allo sport, chi abbasserà l’illuminazione pubblica, chi ridurrà la spesa per il welfare e le attività sociali”. In sostanza comuni più bui, più tristi, più isolati.
Se i comuni piangono, le regioni non ridono. Anche quelle che, come il Veneto, non possono che allinearsi al mantra della pace fiscale, cuore della campagna elettorale della Lega. Francesco Calzavara è assessore al Bilancio della giunta Zaia da due anni, e sta aspettando di capire l’impatto delle misure in arrivo. “Da noi in Veneto ci saranno degli effetti, ma l’impatto sarà limitato”, spiega, perché in realtà "il gettito sul quale lo stato interverrà sarà circoscritto al bollo auto non pagato”. Già, perché nel Veneto non si pagano addizionali Irpef. “Lo ha deciso l’ex governatore Giancarlo Galan nell’ultima fase del suo mandato – spiega Calzavara – come misura a effetto per riconquistare il consenso che stava perdendo e tentare una riconferma alla guida della regione”.
Gli elettori veneti hanno esultato, hanno incassato il bonus e poi hanno comunque mandato Galan a casa. Arrivederci e grazie. La manovra elettorale non è riuscita, quella fiscale però è rimasta, e nelle tasche dei veneti è rimasto un miliardo in più su un bilancio di 17 miliardi. La giunta Zaia l’ha mantenuta e per il momento non ci pensa proprio a reintrodurla. “Non è nel progetto di bilancio 2023-2025”, dicono all’assessorato. Ma un impatto comunque ci sarà. Perché il Veneto è regione di aziende e di macchine. Tante, girano come i soldi. E qualcuno alla fine non ce la fa, oppure si scorda o fa il furbo e il bollo auto non lo paga. “Dal 2016, data di riferimento per la possibile rottamazione a quanto si legge, sino a oggi – dice Calzavara – abbiamo contabilizzato 85 milioni di tasse auto non pagate. Di queste ne abbiamo riscosse 36. Di quello che resta, tra inserimento nei crediti inesigibili e altri parametri, la rottamazione ci toglierà 5 milioni. Non ci dissanguiamo, ma è comunque un sacrificio che ci costringerà forse a tagliare qualcosa”.
Se nello Zaiastan (definizione locale) il bilancio non traballa a causa della rottamazione, ci sono comuni che vedranno assottigliarsi le risorse proprio mentre affrontano crisi particolari. A San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno), grosso centro sulla costa adriatica, sono alle prese con l’aumento dei residenti, che lasciano l’entroterra per cercare zone più sicure di quelle colpite dal terremoto del 2016 ad Amatrice e sui monti Sibillini, con il boom turistico estivo, che triplica le presenze e le porta a oltre quota 150 mila, e con la crisi della pesca, il settore più rilevante della zona. “San Benedetto – spiega l’assessore al Bilancio Domenico Pellei – così come tutti i grandi centri della fascia costiera marchigiana (Fano, Civitanova, Senigallia) paga un conto salato. Perché non ha i benefici contributi che spettano ai piccoli comuni sotto i 10 mila abitanti né quelli per le aree metropolitane sopra i 50 mila. E questo mentre cresce la domanda di servizi e di aiuto per la pesca, in crisi a causa del caro carburante”.
E allora che fare? "Speriamo che le misure siano selettive, perché un conto è aiutare il pensionato che ha scordato una rata, un conto è l’evasore seriale, che non va favorito. Bisogna distinguere. Ma se così non fosse bisogna sperare almeno che la rottamazione cancelli crediti e abbassi la percentuale di risorse che dobbiamo immobilizzare per somme potenzialmente inesigibili. Sono soldi congelati, che non possiamo spendere. Così il sacrificio sarebbe parzialmente digeribile”. Tutti aspettano le norme insomma, ma senza particolare ottimismo, e si preparano allo “scippo” da parte dello stato. Che fa cassa con soldi non suoi. Ha fatto scuola allora l’immobiliarista romano Stefano Ricucci al tempo della scalata fallita alla Bnl? Non diceva forse che stavano facendo qualcosa con la parte del corpo di qualcun altro?