la versione dell'economista
La recessione può essere evitata. Chiacchiere con Giavazzi
Covid, guerra, inflazione. E sorprese dall'economia italiana. Dove si nasconde il cigno nero? Un dibattito
"Vedo molto difficile che si avveri uno scenario di recessione in Italia. Del resto anche il prezzo del gas viaggia ormai sotto quota 100. Nel 2021 con il 6,6% abbiamo messo a segno un Pil da record e anche nel 2022 finiremo vicini al 4% e in un anno di rimbalzo è tanto. Non dimenticatevi che l’Italia per lustri è cresciuta al ritmo dello 0,2% l’anno”. E’ un Francesco Giavazzi decisamente ottimista quello che, lasciato il suo incarico a palazzo Chigi, torna a parlare in pubblico nella sua Bergamo al festival Città-Impresa per discutere dell’oroscopo 2023 dell’Italia con Marco Mazzucchelli, banchiere e presidente del multifamily investment office Secofind Sim. Un ottimismo che si basa innanzitutto sul Fattore Pnrr. “Nel giro di quattro anni gli investimenti previsti produrranno effetti sul Pil dell’11,8%, possiamo dire che rappresentano una spinta alla domanda che vale il 2% l’anno. E quell’undici e otto per il 40% è rappresentato da aiuti gratuiti della Ue e per il 60% da debiti italiani che però passando a Bruxelles usufruiscono della chance Ue di poter usare tassi molto bassi”. Ci sono i soldi, quindi, ci sono i progetti (“200 nuove scuole, ad esempio, progettate da bravi architetti”) e “l’unica cosa negativa che può succedere è che non siamo capaci di spendere”.
Se la recessione non appare, dunque, quel mostro di cui si parla a recitare la parte del demonio sarà l’inflazione? “Non credo - sostiene Giavazzi - e innanzitutto bisogna dire che l’inflazione americana e quella europea sono assai diverse tra loro. Biden ha pompato tanti soldi nell’economia e ha generato un eccesso di domanda e così facendo ha di fatto obbligato la Fed ad alzare di molto i tassi. In Europa non c’è eccesso di domanda, bisogna solo fermare la corsa del prezzo del gas. Il governo Draghi aveva proposto alla Ue il cap price, all’inizio ci ridevano dietro dicendo che in questo modo il gas russo non sarebbe arrivato più. Poi il gas russo si è comunque fermato e adesso a Bruxelles hanno accettato l’idea di creare almeno un corridoio per raffreddare il prezzo, non è il top ma meglio di niente è”. Morale: l’inflazione europea scenderà più rapidamente quanto più velocemente calerà il prezzo del gas. E si assesterà attorno al suo valore core ovvero 5%. “Da lì scendere a un accettabile 3-4% non è impossibile e oltretutto rende il debito meno ingombrante”.
L’analisi di Giavazzi non trova d’accordo l’altro speaker del dibattito bergamasco. “Lo scorso anno proprio qui al festival dissi che c’erano le condizioni per un secondo miracolo italiano ma quelle che avevo indicato mi pare che non siano state soddisfatte - ricorda Mazzucchelli -. Dei lavori del Pnrr si è eseguito molto poco, i 1.500 miliardi di euro che sono parcheggiati nei conti correnti non viaggiano verso investimenti produttivi ma al massimo scelgono l’immobiliare e soprattutto è ricomparsa l’inflazione, la tassa più infida e regressiva. Erode il potere d’acquisto e siccome il Pil è fatto per oltre il 50% da consumi privati alla fine mette in discussione i crescita economica e pace sociale”. Si è speso ancora poco del Pnrr, replica Giavazzi, perché abbiamo dovuto riscrivere il codice degli appalti. Non c’è stata la spirale prezzi-salari e il governo ha aiutato le famiglie con 3 miliardi a reggere l’urto delle bollette. “Sul gas dobbiamo ringraziare soprattutto due uomini. Il ministro Cingolani che si è battuto a Bruxelles per il price cap e il Ceo dell’Eni De Scalzi che si è messo a correre in giro per il mondo per trovare il gas che ci serve a breve. Sul medio termine il gas sta nella parte Sud dell’Europa, in gran parte è italiano perché i giacimenti sono dell’Eni. E non dimentichiamo che la quota delle rinnovabili è già al 20% dei consumi. Per cui non vedo rischi da questo versante, i pericoli, ripeto, li vedo se non sapremo spendere i soldi del Pnrr. Oppure in decisioni come quella di chiudere il ministero di Colao e disperdere il suo team di ragazzi che se ne sono già andati altrove”.
Mazzucchelli non ci sta. “Siamo un’economia aperta e non possiamo derubricare i motivi di preoccupazione che vengono dall’estero. Le banche centrali nel decennio passato hanno fatto il miracolo di salvare il sistema economico mondiale ma a un certo il punto la quantità di denaro immessa andava riassorbita e trovo provocatoria la recente dichiarazione di Christine Lagarde secondo cui l’inflazione è uscita dal nulla. La causa sta nell’eccesso di moneta”. Il rischio è di farsi abbagliare da un modello di sviluppo fondato sull’apprezzamento delle attività finanziarie, incuranti di un’inflazione che anche solo al 4% è un morbo difficile da curare. L’età dell’abbondanza è finita ed è arrivato al capolinea il modello di divisione internazionale del lavoro che ha caratterizzato l’avanzata della globalizzazione basata su fiducia reciproca, pace geopolitica e aspettative commerciali virtuose. “Come è possibile che l’Italia faccia eccezione? Come fa ad essere un vaso di ferro in un Occidente che deve fare reshoring, deve riarmarsi, deve differenziare le fonti di approvvigionamento di materie prime energetiche, alimentari e industriali e al contempo avviare la transizione ambientale?”.
Mi sono formato come ingegnere, replica Giavazzi, e davanti ai grandi scenari ho la tentazione di far ricorso per prima cosa al metodo del cacciavite. “Due cose potevamo farle e l’abbiamo fatte per rafforzare la posizione dell’Italia in un contesto internazionale così turbolento. In attesa del nucleare pulito abbiamo diversificato le fonti di approvvigionamento e a fine 2024 andremo a zero come dipendenza dal gas russo e nel grande gioco dei semiconduttori abbiamo fatto l’accordo con Intel perché uno degli stabilimenti nuovi che costruirà in Europa fosse in Italia. Quanto all’inflazione al 4% per tenere il potere d’acquisto i salari dovranno crescere altrettanto e ricordo come il comune amico e maestro Olivier Blanchard era solito ripetere come l’obiettivo del 2% fosse una follia mentre il 4% fosse realistico”. Con un’inflazione che si scarica su beni e servizi al ritmo dell’11-12% in un biennio, ribatte Mazzucchelli, non ci sono adeguamenti salariali compatibili e tutto si scarica sul sociale a meno di non rendere permanenti i sussidi alle famiglie. “La verità è che una recessione sappiamo gestirla, mentre non siamo più abituati a far fronte al 4% di inflazione strutturale. E l’avvitamento inflazionistico può essere il nostro terzo cigno nero dopo il Covid e la guerra”.