Sace (Mef), guida per imprese “sociali”. La lezione di Victoria Hurth, guru della sostenibilità
"Crescita vuol dire benessere collettivo a lungo termine" ci dice una delle massime esperte al mondo di sostenibilità. Perché la società in capo al ministero dell'Economia può essere di grande aiuto per gli operatori economici
"Per preservare l’economia di mercato bisogna trasformarla”. Con queste poche parole Victoria Hurth, tra i massimi esperti al mondo di sostenibilità (è professore associato al Cambridge Institute for Sustainability Leadership e ambassador al British Council presso le Nazioni Unite), affronta, in un colloquio con il Foglio, la maggiore obiezione sollevata da quanti sono convinti che l’accelerazione nella transizione energetica rappresenti uno dei maggiori rischi per l’economia globale alla luce di uno scenario mutato con la crisi pandemica e la guerra russo-ucraina. In pratica, un attentato al capitalismo. “Il nostro sistema si basa sull’assunto che se ogni attore economico persegue il suo interesse di breve termine – il profitto per le imprese, i guadagni e i consumi per i cittadini – si raggiunge il massimo bene per tutti, ma questo non sta assolutamente funzionando. L’economia ha a che vedere con il benessere della società nel suo insieme e ci sono paesi che stanno già lavorando per diventare economie del benessere”, osserva Victoria Hurth che in questi giorni è stata ospite di un incontro promosso da Sace (Mef) con manager e leader del mondo economico, industriale, finanziario e istituzionale italiano. Il suo è un invito a guardare le cose da un altro punto di vista ma senza cadere nella filantropia o in ideologismi. In uno dei suoi ultimi tweet ha detto, per esempio, di non riuscire a entusiasmarsi per la crescita del mercato finché non comprende che cosa esattamente stia crescendo: “Se crescita vuol dire benessere collettivo di lungo termine, allora sì che voglio la crescita”.
Se questo ragionamento lo si applica al tema della sostenibilità viene spontaneo domandarsi come nel concreto le aziende possano agire visto che le attuali tensioni geopolitiche sembrano porle di fronte alla scelta tra perseguire l’obiettivo della sostenibilità oppure quello dell’indipendenza energetica. “In realtà non si tratta di una scelta – riflette l’esperta – Non saremmo arrivati a questo punto se avessimo preso diverse decisioni giuste per tempo. Abbiamo preso invece decisioni chiave basandoci su un orizzonte ristretto, di breve termine. Oggi siamo veramente alla fine dei giochi e i dati parlano chiaro. Dobbiamo agire e subito e decarbonizzare. L’emergenza ci costringe a un grande reality check. Non solo dobbiamo pensare a una transizione energetica ma a tutto un insieme di elementi reali, con cui dobbiamo confrontarci ogni giorno, che generano impatti e che non possiamo sostenere nel tempo: pensiamo alla deforestazione, l’erosione del suolo ma anche le disuguaglianze, le fratture sociali. Tutti elementi che vanno affrontati insieme con un salto di mentalità non più rimandabile”.
L’approccio non è nuovo e da qualche anno è stato condiviso anche dal mondo della finanza a livello globale. Nel 2018, Larry Fink, ceo del più grande e potente gestore di asset finanziari del mondo, BlackRock, ha esortato i suoi gestori a investire esclusivamente in imprese che abbiano uno scopo sociale. Un anno dopo, il bastione del pensiero economico liberale, l’americana Business Roundtable, ha dichiarato che lo scopo del business non era più massimizzare i profitti per gli azionisti, ma promuovere un’economia al servizio di tutti. Nel frattempo, il rapporto 2019 della British Academy ha concluso che “lo scopo del business è risolvere i problemi delle persone e del pianeta in modo proficuo – e non trarre profitto dal causare problemi”. Da allora, però, lo scenario mondiale è mutato e anche Fink sembra aver recuperato una visione più realistica. Non bisognerebbe tener conto della posizione di chi assicura capitali e liquidità alle aziende? “Se ci concentriamo sulla crescita del benessere per tutti, la liquidità nel mercato e le finanze sono assolutamente fondamentali, ma come mezzo per raggiungere un fine”.
Anche in Italia molti condividono da tempo l’idea che tutte le imprese debbano essere “sociali”. Ma chi le aiuterà a fare questo salto? “Organizzazioni come Sace possono aiutare tantissimo gli operatori economici nell’intraprendere un percorso di crescita di lungo termine, improntato al benessere collettivo. Possono coinvolgere altre parti del sistema, come il governo, il settore bancario, per facilitare l’identificazione e la realizzazione di progetti innovativi e profittevoli per la comunità in senso ampio. Non basta limitarsi a inserire meccanicamente i criteri Esg all’interno di un modello di business. Quello che stiamo facendo con Sace in questi giorni è la prima iniziativa di questo tipo con un’agenzia di export credit a livello globale”.