rete unica
Quanto può far male a Telecom la linea Butti (FdI)
La premier Giorgia Meloni si è affidata al suo fedelissimo per coordinare le telecomunicazioni. Dopo l'incontrocon i sindacati a Palazzo Chigi, il titolo del gestore telefonico ha perso l'1,2 per cento a Piazza Affari. Ancora una volta, non un buon segno
A differenza di Mps, su Telecom il governo Meloni ha scelto di discostarsi dalla strategia impostata dal governo Draghi e intende sondare “strade alternative”. La premier si è affidata a uno dei suoi fedelissimi, il sottosegretario alla presidenza del consiglio Alessio Butti – senatore comasco di Fratelli d’Italia da 24 anni in Parlamento – per coordinare le politiche delle telecomunicazioni. Allo stesso tempo ha convocato per oggi pomeriggio un vertice a Palazzo Chigi con i sindacati per dare il segnale di stare seguendo in prima persona la delicata partita.
Tutto questo attivismo, però, è visto con insofferenza dal mercato che ha la percezione di un rimescolamento di carte senza (ancora) una via d’uscita. Il risultato è che oggi il titolo del gestore telefonico ha perso un altro 1,2 per cento a Piazza Affari portando il calo registrato nell’ultimo anno al 52 per cento: il prezzo dell’azione, infatti, è sceso a 0,2 euro, meno della metà di fine 2021. Gli investitori non comprendono in che modo il governo intende perseguire il suo (dichiarato) obiettivo di avere una (unica) rete di telecomunicazioni in mano pubbliche. Non bisogna dimenticare, infatti, che mentre la banca senese è a controllo pubblico, in Telecom lo stato è rappresentato solo dalla Cassa depositi e prestiti che ne detiene una quota pari al 10 per cento.
Certo, l’infrastruttura di rete riveste rilevanza strategica per il paese e in virtù di questo l’esecutivo ha ampi margini per utilizzare l’opzione golden power, ma l’impressione è che su Telecom il governo Meloni si sia infilato in un cul de sac. È passato giusto un anno da quando il fondo americano Kkr avanzò la sua proposta di opa a 0,5 euro per azione. Era ancora in carico il governo Draghi e l’offerta su Tim, dopo mesi di alti e bassi, fu congelata per dare spazio all’ipotesi di scissione tra servizi e rete e la conseguente offerta non vincolante da parte di Cdp solo sulla seconda con l’obiettivo di fonderla poi con la controllata Open Fiber. L’idea di creare una rete unica di Tlc a controllo statale, pur con la partecipazione di investitori privati, sembrava la scelta migliore.
A questo ci si preparava fino a quando, qualche settimana fa, proprio Butti fece intravedere per la prima volta la possibilità di un’opa totalitaria della Cdp su Telecom, il famigerato progetto Minerva, di cui è sempre stato sostenitore. Ma anche quest’ultima ipotesi ha perso di credibilità negli ultimi giorni sia perché sarebbe troppo cara per le casse pubbliche (cosa, però, prevedibile) sia perché, come spiegano gli analisti, implicherebbe l’inclusione del debito Telecom – vale a dire circa 25 miliardi – nei bilanci pubblici italiani (anche questo è prevedibile quando si progetta un’acquisizione).
Debito, tra l’altro, diventato sempre più costoso da sostenere con l’aumento dei tassi d’interesse. Intanto, mancano meno di 48 ore alla scadenza del 30 novembre, termine entro il quale la Cdp dovrebbe presentare l’offerta non vincolante per la sola rete. A questo punto nulla si può davvero escludere neanche che, all’ultimo secondo, la Cassa venga sollecitata a farsi avanti se in queste ore il governo dovesse arrivare alla conclusione che vendere la rete è l’unica strada per far sì che Telecom ottenga le risorse necessarie a tagliare il debito e a scongiurare una crisi finanziaria.