Una veduta degli impianti del rigasificatore Snam di Panigaglia, La Spezia, 23 giugno 2022 (Ansa) 

L'indipendenza energetica dell'Italia passa da un trilemma

Stefano Venier

Come declinare insieme sicurezza delle forniture, competitività di prezzo e sostenibilità ambientale e sociale? Al mondo energetico serve maggiore pragmatismo. Qualche idea per il futuro secondo il ceo di Snam

La sfida del trilemma dell’energia - ovvero di come declinare insieme sicurezza delle forniture, competitività di prezzo e sostenibilità ambientale e sociale – rischia sempre più di trasformarsi in una sorta di “teorema dell’impossibilità”. La crisi energetica in corso ha spostato l’attenzione generale sul primo elemento della triade, la sicurezza. Non solo su quella minata dall’eccessiva dipendenza da pochi fornitori (che l’invasione russa dell’Ucraina ha drammaticamente trasferito sul piano geopolitico) ma anche sulla versione che attiene in modo più pragmatico alla continuità dell’approvvigionamento, essenziale per il sistema delle imprese e per le famiglie.

 

L’impennata dei prezzi minaccia la competitività delle prime e il benessere minimo delle seconde, mentre la sostenibilità ambientale appare almeno momentaneamente relegata in secondo piano. Ma se allo stato attuale delle tecnologie non si può ancora disporre di energia che sia allo stesso tempo abbondante, continua, a buon mercato, facilmente reperibile e per di più pulita, è certo che uno dei temi da affrontare nell’immediato sia proprio quello di uscire dal corto circuito, dalla trappola secondo la quale per preservare la sicurezza energetica e garantire pace sociale e stabilità economica si sia costretti a trascurare gli obiettivi ambientali.

 

C’è una via d’uscita, pur stretta ma praticabile? E’ possibile progettare un percorso e fissare alcuni capisaldi che assicurino una transizione ordinata, per quanto possibile? I segnali discordanti a cui assistiamo oggi sono il riflesso del “caos energetico” nel quale siamo immersi da qualche mese. L’utilizzo dell’energia come arma collaterale alla forza militare ha ribaltato le dinamiche precedenti. Paesi produttori che negli ultimi anni erano ai margini tornano ora strategici, mentre i flussi di gas che un tempo raggiungevano via tubo l’Europa arriveranno sempre più in forma liquida, in un contesto di competizione crescente a livello globale. Sotto questo profilo, peraltro, l’Italia rappresenta un’eccezione, vista l’estensione della sua rete di trasmissione e la diversificazione degli accessi: cinque gasdotti di importazione e tre rigassificatori, destinati a salire a cinque con le Fsru di Ravenna e Piombino. Un effetto economico non meno rilevante di questo riassetto generalizzato è che a cambiare non sono solo le relazioni tra paesi e tra operatori del sistema dell’energia. Tornano in discussione anche le considerazioni sulle scelte di investimento. Solo un anno fa, poco prima della Cop26 di Glasgow e quattro mesi prima dell’invasione russa dell’Ucraina, Bank of America annunciava di essere pronta ad impegnare un trilione di dollari sulla transizione ecologica delle imprese. Lo scorso settembre, al Congresso Usa, JP Morgan Chase ha sostenuto invece che per l’America smettere di finanziare fonti fossili sarebbe come imboccare “la strada verso l’inferno”. Ritorniamo così, anche per questa via, al teorema di impossibilità di cui sopra.

 

Uno storico direbbe che si tratta dei rimescolamenti che caratterizzano le grandi transizioni energetiche. Se il cammino verso l’obiettivo “net zero” sarà verosimilmente interrotto da altre crisi e da rallentamenti, le società, le imprese e le famiglie dovranno però continuare a fare affidamento sulla fornitura costante di energia. E se “natura non facit saltus”, proprio per le sue caratteristiche (alta densità energetica-basse emissioni-possibilità di abbattimento via carbon capture) una fonte flessibile come il gas si presta ad occupare il corridoio di transizione tra mondo fossile e mondo sempre più decarbonizzato. Distribuito con infrastrutture adeguate e con i necessari margini di ridondanza può consentire l’assorbimento dei ritardi nei passi della transizione o di eventi negativi e inattesi, senza rischiare di compromettere la stabilità sociale e la sostenibilità ambientale. Cioè proprio “quanto basta” per colmare eventuali divari ed evitare ulteriori strappi nel nostro trilemma.

 

Un altro effetto collaterale del “caos energetico” attuale riguarda anche la maggior presa di coscienza delle dimensioni (della “scala”, direbbe lo storico dell’energia Vaclav Smil) di una transizione. Le difficoltà di oggi contribuiscono a smontare posizioni ideologiche e semplicistiche, e ci si rende sempre più conto che incidere sulle trasformazioni di un sistema energetico è una questione complicata. Il passaggio dalla macchina a vapore alimentata a carbone al petrolio e al gas naturale ha richiesto un secolo. Ora l’urgenza si fa più stringente e il tempo a disposizione per raggiungere gli obiettivi climatici è minore. Ma d’altra parte non serve nemmeno essere troppo pessimisti. La strada maestra è segnata: investire, e investire “aggressivamente”, ha ribadito Bill Gates nelle sue annuali considerazioni sullo stato della transizione energetica.

 

Nell’ultimo decennio stati e grandi imprese hanno iniziato a farlo, ma bisognerà accelerare. Non solo sullo sviluppo delle tecnologie più promettenti, ma anche e soprattutto sui loro costi, il principale fattore che consentirebbe un dispiegamento globale. “Think global, act local”, si dice. Per un’impresa come Snam, che con le sue infrastrutture ogni giorno garantisce la sicurezza delle forniture e di conseguenza è uno dei principali strumenti della competitività dei sistemi economici, la questione della sostenibilità sociale e ambientale diventa cruciale. La corsa al riempimento degli stoccaggi (ora sopra il 95 per cento, obiettivo non scontato la scorsa estate) e l’acquisto e la messa in opera di due navi rigassificatrici, sono le risposte all’emergenza nazionale ed europea. Affrontare i bisogni del presente (fossile) non significa però perdere di vista l’orizzonte (sempre più green) del futuro.

 

I progetti di sviluppo, la rete dei gasdotti, vanno ripensati per stare al passo e, anzi, abilitare le opportunità che la transizione energetica può offrire. La logica dello sviluppo infrastrutturale parte dalla messa in sicurezza e dalla costruzione di una rinnovata “resilienza” (intesa come flessibilità e ridondanza) per arrivare all’orizzonte della transizione. E “transizione”, per Snam, significa principalmente “molecole verdi”, ovvero biometano e idrogeno, tutta quella parte di energia che nei flow-chart non può essere coperta da “elettroni”.

  

Per essere concreti, ecco qualche esempio: il potenziamento della connessione lungo la direttrice adriatica è strategico perché non consentirà solo di venire incontro a un’esigenza di breve-medio periodo, come quella di aumentare l’offerta di gas naturale verso il nord in vista del raddoppio del Tap o di nuove disponibilità da altre strutture, ma è pensata anche per avere a disposizione una direttrice sud-nord dedicata all’idrogeno, appena la sua produzione decollerà in quantità sufficienti grazie all’eccedenza di produzione di energia da fonte rinnovabile nel sud del paese o addirittura dal nord Africa. Il riadattamento a idrogeno delle condotte e della rete (“repurpose”) è infatti tecnicamente possibile, ma ad esso dovrà anche essere affiancato uno stoccaggio dedicato, a fini di accumulo settimanale e soprattutto stagionale. Riadattare e dedicare infrastrutture alle molecole verdi permette di capitalizzare l’accettabilità sociale delle nostre opere pregresse, con un significativo beneficio in termini di investimenti soprattutto sulle lunghe distanze. Lavoriamo sul biometano, un’ottima opportunità per i settori del trasporto e hard-to-abate e siamo pronti a dar vita con l’Eni al primo progetto italiano per la cattura della CO2.

 

Infine, abbiamo anche un tema elettrolizzatori, che possono essere anche infrastrutture di sistema, che se utilizzati a pieno regime potrebbero consentire di non sprecare energia verde, altrimenti perduta o trasportata a fronte di nuove infrastrutture, e di immagazzinarla, bilanciando l’intermittenza delle fonti rinnovabili. In una prima fase l’idrogeno potrebbe essere più semplicemente miscelato al gas, in quantità ridotte. Ciò assicurerebbe una rapida e semplice decarbonizzazione orizzontale, diffusa su tutti i consumi senza avere la necessità di investire a valle in tecnologie di utilizzo, sia industriali sia domestiche.

 

Una considerazione finale: le difficoltà poste dal trilemma dell’energia (sicurezza-prezzi-sostenibilità) possono essere affrontate solo ricercando costantemente un trade-off tra le diverse priorità, un punto di equilibrio che può anche risultare subottimale ma che consentirebbe di non perdere o trascurare, come accaduto negli ultimi anni, una delle tre dimensioni della questione energetica. Ci siamo accorti sulla pelle del paese che rincorrere o recuperare ognuna di esse può richiedere tempi lunghi e risultare molto oneroso. 
   

Stefano Venier, Ceo di Snam

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