Storie di genio italiano - 3

Come bypassare una crisi. L'esempio di Claudio Lucchese

Michele Brambilla

Dal Covid con il lockdown alla materia prima che non arriva più dal Donbas in guerra: una mazzata dietro l’altra per il distretto della ceramica. L’impresa Florim di Fiorano Modenese, però, ha trovato il modo per reagire

Ricordate? Quando è scoppiata la guerra fra Russia e Ucraina, o meglio quando la Russia ha invaso l’Ucraina, abbiamo (fra le altre cose) scoperto che eravamo ucraino-dipendenti per un sacco di materie prime. L’energia, il grano… e le piastrelle. Gente che aveva appena comprato casa e aspettava il piastrellista si è sentita dire che i lavori dovevano fermarsi perché non c’era più la materia prima. La quale veniva dal Donbas: regione che quasi nessuno di noi aveva mai sentito nominare, e che improvvisamente diventava vitale. Vuoi comprare un’automobile? Ok, ma te la consegniamo fra un anno e mezzo perché per la parte elettronica dipendiamo dal Donbas. Così ci sentivamo rispondere.

 

E quindi, tornando alle piastrelle, immaginatevi la preoccupazione nel distretto di Sassuolo, che è il primo al mondo per la ceramica. Soprattutto per qualità, s’intende: perché per moltissime cose noi italiani, che ci parliamo sempre male addosso, siamo i migliori del mondo. Ma su questo torneremo. Dicevamo, dunque, immaginatevi la preoccupazione nel distretto di Sassuolo. Dopo il Covid un’altra mazzata: la guerra. Un’altra crisi. Ecco, siamo venuti qui, nel distretto della ceramica, per vedere come hanno reagito a questa nuova crisi. E non ci siamo neppure stupiti più di tanto nel prendere atto che ci si è rimboccati le maniche, ci si è inventati qualcosa di nuovo e si è aggirato il problema.

 

Ce lo racconta Claudio Lucchese, presidente della Florim di Fiorano Modenese, fondata da suo padre Giovanni, un ingegnere minerario, nel 1961. La Florim è una delle aziende più importanti del mondo per la ceramica di alta qualità. Tre siti produttivi: qui a Fiorano, che è la sede principale; poi a Mordano, in provincia di Bologna; quindi a Clarksville, Tennessee, Stati Uniti.   Millequattrocento dipendenti in totale, settecento solo qui a Fiorano. Oltre 480 milioni di fatturato nel 2021. Oltre 280 milioni di investimenti negli ultimi cinque anni. “Sia le argille che i caolini di buona qualità – materie prime fondamentali per la ceramica – venivano dal Donbas”, spiega Lucchese. “Non solo da lì: però i materiali che vengono dal Donbas sono i migliori per qualità e prezzo. E poi il Donbas ne può produrre una quantità enorme. E’ ricchissimo di cave di argilla. In marzo, poco dopo l’invasione dell’Ucraina, ci siamo trovati tutti in difficoltà. Non tanto per l’immediato presente, perché ci riforniamo tutti da intermediari che garantiscono qualità, estrazione, trasporto e consegna in sede: nei loro depositi c’erano scorte per due o tre mesi.

“La preoccupazione era per il dopo. Gli intermediari avevano assicurato che avrebbero cercato soluzioni alternative e sono andati a rifornirsi in Romania, in Polonia, in India. Ma si tratta di materiali diversi da quelli cui eravamo abituati. Diversi per come reagiscono durante la cottura, ad esempio. E, allora, per garantire la stessa qualità di sempre del prodotto finito abbiamo dovuto far lavorare intensamente i nostri tecnici di laboratorio. Abbiamo dovuto adeguare gli impasti alle nuove materie prime. E’ stato un grosso lavoro di ricerca all’interno dell’azienda”.

E così la difficoltà è stata aggirata, la crisi bypassata. E certo il distretto della ceramica ha dovuto subire gli aumenti dei costi per l’energia, e ora che riaprono le cave del Donbas si troveranno i prezzi di argilla e caolino raddoppiati, ma non c’è stato un rallentamento nella produzione. Quest’anno – anche se in parte per l’aumento dei costi e quindi dei prezzi di vendita del prodotto finito – la Florim fatturerà più dell’anno scorso: si stima dai 550 ai 560 milioni di euro.

Anche quando è arrivato il Covid non ci si è messi a piangere. Intanto non ci si è fermati, a parte le tre settimane di stop alla produzione imposte dal primo lockdown. Prima della fine di febbraio del 2020 è stato inaugurato a Francoforte uno dei dieci flagship stores che la Florim ha aperto nelle città più importanti del mondo per presentare le proprie ceramiche ai grandi architetti e ai progettisti. Ma poi ci si è industriati nell’inventarsi qualcosa di nuovo. E così nella sede di Fiorano Modenese è stato allestito uno spazio fisico virtuale per presentare le ceramiche ai propri clienti, i quali vedono a distanza ma contemporaneamente toccano con mano le superfici mostrate in video, avendo ricevuto un cofanetto di campioni spedito dalla Florim. Una soluzione per l’emergenza Covid che è diventata oggi la norma. “Il Covid? Durante le tre settimane di stop alla produzione siamo riusciti a fatica a mantenere le spedizioni, che per noi sono linfa vitale. Ma poi la produzione persa durante le tre settimane di chiusura l’abbiamo recuperata”.

 

L’anno orribile del Covid si chiude addirittura con una grande soddisfazione: il 21 dicembre 2020 arriva la certificazione B-Corp. Cioè certificazione di un’azienda che non persegue solo un fine di profitto, ma anche di promozione sociale ed ecologica. Che è attenta all’uomo e all’ambiente. E non è cosa scontata: per capirci, in tutto il mondo solo il tre per cento delle aziende che ne fanno richiesta ottengono la certificazione B-Corp. E la Florim è la prima industria di ceramica al mondo ad averla ottenuta.

E’ stato il frutto di un percorso lungo”, dice Lucchese. “Da undici  anni produciamo energia pulita. Abbiamo due impianti di cogenerazione e 64.000 metri quadri di pannelli fotovoltaici: nelle giornate di pieno sole i nostri impianti sono in grado di produrre fino al cento per cento del fabbisogno di energia. Nel 2021 l’autoproduzione di energia elettrica ha raggiunto l’81 per cento del totale consumato e ad agosto è entrato in funzione un nuovo impianto a Mordano che ci permetterà di migliorare i risultati dello scorso anno. In Italia recuperiamo e ricicliamo il 99 per cento dei nostri rifiuti e degli scarti industriali. Tutte le acque reflue del ciclo produttivo sono riutilizzate al cento per cento. Tutti i fornitori di materie prime sono monitorati da un software che garantisce la selezione di un materiale altamente sostenibile. I nostri imballaggi utilizzano il cento per cento di carta riciclata…”.

Che cos’è un’impresa? Un giorno – dico a Lucchese – un grande manager mi ha detto che bisogna rovesciare il vecchio concetto, invertire le parole. E cioè: “L’impresa è un soggetto economico con finalità sociale” va ribaltato così: “L’impresa è un soggetto sociale con finalità economica”. Sembra quasi di peggiorare l’immagine dell’impresa, dicendo che la finalità è economica. E invece no. Se ci si ferma alla prima definizione, l’imprenditore è uno che fa i soldi e poi fa un po’ di beneficenza o fa impiantare un po’ di alberi per pulirsi la coscienza e ottenere una qualche medaglia da ambientalista. Con la seconda definizione si conferma che l’impresa deve avere una finalità economica (perché se non guadagna guai: non c’è più lavoro per nessuno) ma la sua prima vocazione (la prima!) è quella di essere un soggetto sociale. Cioè di operare per il bene della società nella sua attività di ogni giorno, non con gesti occasionali di beneficenza. E quindi dando lavoro, promuovendo un welfare territoriale e aziendale, sostenendo l’arte e la cultura, avendo cura per l’ambiente, pensando a chi verrà dopo di noi. Un’impresa fa parte di un territorio, contribuisce a modellarlo, a dargli un’identità. Non ne è un corpo estraneo, non può esserlo. Dal 2014 – ed è solo una delle cose fatte – nella sede della Florim è aperto un centro dedicato alla formazione, alla ricerca e alla simulazione medica avanzata. Medici e paramedici degli ospedali di Sassuolo, Modena e Reggio Emilia vengono qui a simulare interventi e terapie – soprattutto di tipo cardiovascolare – su pazienti-robot.

“Alla sostenibilità non abbiamo mai smesso di pensare. Anche al tempo del Covid”, racconta Lucchese. “A marzo 2020, quando eravamo tutti entrati in un tunnel dal quale non sapevamo né se né quando ne saremmo usciti, qui abbiamo modificato lo statuto pensando alla sostenibilità, cioè al futuro. Abbiamo stabilito che lo scopo della Florim non è solo il profitto ma l’impegno verso le persone e l’ambiente, verso il pianeta. Sa che cosa vuol dire un cambio di statuto di questo tipo? Che gli amministratori rispondono  non solo dell’ottenimento di un utile economico, ma anche del raggiungimento di obiettivi di carattere sociale e ambientale”.

Perché diciamo che il nostro è un Paese in declino, anzi finito? E che i nostri giovani devono andare all’estero? Perché non riconoscere le nostre capacità, le nostre eccellenze? “Un po’ perché siamo masochisti e dobbiamo sempre parlar male dell’Italia. Però un problema reale esiste. Fare impresa in Italia è veramente difficile. Si perde un sacco di tempo per questioni che non hanno niente a che fare con il prodotto, con la sostenibilità, con la bellezza, con il welfare, con tutte le cose che ci siamo detti fin qui,  insomma. Si perde tempo, ed è il tempo che ti fa essere competitivo con il resto del mondo.

 

“Sarà anche un luogo comune parlare di burocrazia. Però è un dato di fatto. La burocrazia in Italia è la peggiore del mondo? Non so se c’è qualcuno che sta peggio di noi. Però le posso assicurare, ad esempio, che è imparagonabile con quella degli Stati Uniti, dove abbiamo uno stabilimento. In America la Pubblica amministrazione ti è amica. Se hai un progetto, collabora. E non intendo dal punto di vista finanziario: non è quello che interessa a noi imprenditori. Non cerchiamo sussidi. Chiediamo solo la possibilità di poter lavorare. Ma qui da noi la Pubblica amministrazione, invece che collaborare, ostacola. Le faccio un esempio: sono quattro anni che chiediamo di poter fare un piazzale per una moderna logistica di geolocalizzazione nello stabilimento di Mordano. Dico un piazzale, non un edificio di dieci piani. Quattro anni: e siamo ancora lì.
   “E sono decenni che che sento parlare di semplificazione, ma la situazione peggiora sempre. Ogni tanto si parla di conferenze dei servizi, e io mi metto le mani nei capelli, perché sono occasioni in cui sono più le complicazioni che si aggiungono che quelle che si eliminano. Questo è il problema principale dell’Italia. Non la mancanza di capacità. O di voglia di fare”.

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