Come cambierà il mercato del petrolio con l'imminente embargo europeo
Secondo il trader indipendente di greggio Vitol con il divieto introdotto da Bruxelles le esportazioni russe potrebbero diminuire fino a un milione di barili al giorno
Dopo questa settimana il mercato globale del petrolio potrebbe non essere più lo stesso. Nei prossimi giorni i paesi dell’Unione europea dovranno definire la soglia del price cap sul petrolio russo concordato con il G7, mentre domenica il cartello globale dei produttori di petrolio allargato alla Russia, l’Opec+, si riunirà per definire i livelli di produzione di fronte alla difficile situazione internazionale. L’unica certezza è che da lunedì 5 dicembre entra in vigore l’embargo europeo sul petrolio russo trasportato via mare, una delle risposte più severe all’invasione russa dell’Ucraina. Le nuove sanzioni impediranno alle compagnie europee di assicurare le navi che trasportano petrolio russo verso paesi terzi, a meno che questi non accettino il prezzo dettato dal G7. Bruxelles vuole un price cap intorno a 60-70 dollari al barile, un prezzo troppo vicino – addirittura superiore – a quello cui viene attualmente venduto il greggio degli Urali (in alcuni casi 52 dollari). Più basso è il prezzo sul mercato spot, maggiore è la pressione per un tetto inferiore; più il prezzo è vicino alla quota di mercato, più sarà facile per la Russia e i suoi clienti noleggiare petroliere con un'assicurazione standard. Ma la domanda a cui si cerca di trovare una risposta è se le nuove sanzioni riusciranno a limitare la capacità di Mosca di finanziare la guerra senza causare uno choc sul mercato petrolifero mondiale. Secondo Janis Kluge, economista dell’Istituto tedesco per gli affari internazionali e della sicurezza, l’embargo dell'Ue potrebbe raddoppiare il deficit della Russia.
L’anno prossimo Mosca prevede di ottenere da gas e petrolio entrate che consentirebbe al governo di tenere il bilancio a deficit di solo il 2 per cento del Pil. Questa ufficiale però si basa su un prezzo medio del greggio russo a 70 dollari al barile, mentre i prezzi attuali sono più vicini ai 60 dollari, con un tasso di cambio dollaro/rublo più sfavorevole delle stime del ministero delle finanze russo, e senza tenere conto della necessità della Russia di offrire sconti ulteriori ai propri acquirenti. Con l’embargo dell’Ue circa 2,4 milioni di barili al giorno di Ural dovranno trovare una nuova destinazione. Quest’anno la Cina ha aumentato le importazioni di petrolio russo (+22 per cento secondo i dati dell’Arabia Saudita), ma senza stravolgere le relazioni con gli altri fornitori. L’India al contrario è passata da importazioni quasi inesistenti a oltre 800 mila barili al giorno, diventando un acquirente prezioso per i russi a scapito dei suoi fornitori mediorientali.
Pechino e Delhi continueranno a comprare petrolio russo e non aderiranno al price cap del G7, ma lo useranno come riferimento per imporre altri sconti, senza aumentare eccessivamente le importazioni di greggio russo, né correre in soccorso di Mosca. Le autorità e le compagnie cinesi infatti si rifiutano di accettare le petroliere con documenti per la navigazione emessi dagli assicuratori russi nonostante la Russia abbia offerto alla Cina la possibilità del riconoscimento bilaterale dei certificati assicurativi. Vitol, il più grande trader di petrolio indipendente al mondo, stima che le esportazioni russe potrebbero diminuire fino a 1 milione di barili al giorno, circa il 20 per cento del volume esportato via mare. Secondo altri analisti l’impatto potrebbe essere anche più drammatico, ma un’opinione altrettanto diffusa è che tutto ciò non basterà a fermare la Russia. La storia recente ha dimostrato che l’interesse economico di lungo termine non ha impedito a Mosca di distruggere la sua reputazione di fornitore di idrocarburi, mentre le rendite petrolifere, per quanto ridotte, daranno al Cremlino risorse sufficienti a portare avanti la sua guerra sporca contro i civili ucraini, conservando la sicurezza di non subire contrattacchi sul territorio russo.