Una ricerca
Shopping, marketing e anche ambiente: la convenienza delle piattaforme digitali
Comprare online un prodotto (elettronica, libri o abbigliamento) produce un impatto ambientale fino a quasi tre volte inferiore rispetto a un acquisto effettuato di persona in negozio. Inoltre i servizi online risultano anche potenziali partner dei policymaker, grazie alla messa a disposizione del proprio patrimonio informativo a supporto di decisioni pubbliche
Il digitale della piattaforma vicina, invero, è sempre più verde. Basterebbe guardarlo, dati alla mano. E chissà se almeno le evidenze empiriche sapranno stemperare il tono vagamente antitecnologico dei primi atti del governo di Giorgia Meloni, già partito all’attacco dei pagamenti elettronici e in odore di tassazione punitiva verso la logistica per l’e-commerce, dopo aver abolito il ministero per la Transizione digitale.
Una ricerca sul mercato italiano delle piattaforme digitali presentata alla stampa in questi giorni da Vision & Value evidenzia infatti che comprare online un prodotto (elettronica, libri o abbigliamento) produce un impatto ambientale fino a quasi tre volte inferiore rispetto a un acquisto effettuato di persona in negozio.
L’e-commerce genera infatti da 1,5 a 2,9 volte meno emissioni di gas serra e consente di risparmiare da 4 a 9 volte il volume di traffico veicolare rispetto al tradizionale shopping effettuato di persona nei negozi. Le consegne ai clienti rappresentano infatti solo lo 0,5 per cento del traffico totale nelle aree urbane. Inoltre, le opzioni di consegna più veloci sono quelle proporzionalmente a minore impatto di emissioni di CO2. In particolare, attraverso le economie di scala e la centralizzazione dei flussi, il processo logistico utilizzato dalle migliori piattaforme di e-commerce consente un’elevata razionalizzazione dei tragitti di consegna e, dunque, una riduzione dell’inquinamento rispetto al modello tradizionale di acquisto nel quale ogni consumatore si reca, in modo indipendente, presso i negozi fisici.
La riduzione dell’impatto ambientale risulta significativa in diversi modelli di piattaforma distributiva digitale affermatisi nel tempo: si pensi al “print on demand” per i libri e le pubblicazioni tradizionali, che riduce drasticamente il consumo non necessario di carta. Nell’abbigliamento, il diffondersi di intermediari digitali come Vinted e Depop, o come Rent The Runway, ha facilitato la crescita della condivisione e del riutilizzo dei capi, estendendo il loro ciclo di vita utile e riducendo l’impatto ambientale dei processi di lavaggio, asciugatura e sanitizzazione.
Nell’alimentare, i supermercati con frigoriferi e scaffali intelligenti consentono di evitare situazioni di “overstocking” e di mitigare i rischi di vendita oltre la data di scadenza dei prodotti, riducendo anche in questo modo l’impatto ambientale determinato dagli sprechi alimentari.
Secondo la ricerca, gli effetti positivi indotti dalle piattaforme digitali non si limitano all’ambiente ma si estendono all’economia e agli strumenti di governo. A oggi risultano infatti circa 20 mila le Pmi italiane presenti su Amazon, con un contributo alla creazione di oltre 60 mila nuovi posti di lavoro e di oltre 800 milioni di euro di export addizionale nel 2021, tramite un canale che non sarebbe altrimenti stato accessibile alle imprese di minori dimensioni.
Nel settore dell’abbigliamento, oltre il 70 per cento delle Pmi italiane tra i 50 e 250 addetti dichiara di aver tratto benefici dalla digitalizzazione (per esempio, ottenendo un aumento di fatturato, aprendosi ai mercati esteri o rafforzando la propria posizione competitiva). Nel marketing digitale, la ricerca mostra che circa l’80 per cento delle Pmi italiane utilizza strumenti di marketing digitale (che include social media, Search Engine Marketing e Search Engine Optimization) mentre solo il 5 per cento di esse investe nella pubblicità “tradizionale” radio-televisiva. Gli strumenti digitali permettono di ridurre le barriere all’entrata per le Pmi che riescono così a raggiungere nicchie specifiche di consumatori, non solo sul proprio territorio di riferimento, ma potenzialmente in tutto il mondo.
Molte piattaforme digitali, lungi dal rappresentare un nemico da combattere, risultano anche potenziali partner dei policymaker, grazie alla messa a disposizione del proprio patrimonio informativo a supporto di decisioni pubbliche. Il rilancio del turismo – vitale in Italia dopo la crisi devastante della pandemia – ha bisogno assoluto di dati che invece la politica non è abituata a utilizzare come patrimonio strategico. Dopo essere state a lungo osteggiate dalla politica locale e nazionale, oggi piattaforme per il turismo come Expedia e Airbnb vengono spesso coinvolte dagli amministratori locali in azioni di promozione di regioni e città. I dati sulla mobilità forniti dai sistemi operativi degli smartphone hanno talvolta supportato le scelte delle autorità sanitarie durante la gestione della pandemia.
Sarebbe un bel segnale, da parte dei ministri Adolfo Urso e Gilberto Pichetto Fratin, impostare le scelte di indirizzo politico per lo sviluppo economico e per la transizione energetica sulla base di dati reali raccolti anche grazie alle piattaforme digitali, invece che rischiare di finire invischiati nella trappola di pregiudizi ideologici e antiscientifici. Tutto questo evitando di fare inopinati regali ai colossi del web con provvedimenti tanto improvvisati quanto cervellotici. Un eccesso di regolamentazione sulle applicazioni delle tecnologie digitali, come emerge dalla letteratura scientifica in tema, finisce infatti per favorire l’oligopolio delle grandi piattaforme, che hanno risorse e competenze per gestire la complessità normativa, al contrario degli sfidanti che invece ne risultano quasi sempre svantaggiati. Le piattaforme digitali sono ormai diventate vere e proprie infrastrutture civili ed economiche abilitanti: meritano di prosperare tra i mille colori della concorrenza leale, e non essere ridotte al banale contrasto tra bianco e nero da parte di chi nutre nostalgie per le foto d’epoca.