il decreto

Per salvare Priolo dall'embargo il governo Meloni copia la Germania

Luciano Capone

A pochi giorni dal blocco all'import di petrolio russo, per salvare la raffineria di proprietà della Lukoil che rischia di rimanere a secco, il ministro Urso sceglie la soluzione adottata da Scholz: amministrazione fiduciaria

L’ultima petroliera ha finito di scaricare mercoledì alle 17 al porto di Augusta, in modo da chiudere tutte le transazioni prima che scatti l’embargo Ue al petrolio russo lunedì 5 dicembre. Vuol dire che da oggi l’Isab di Priolo (Siracusa) la principale raffineria del paese di proprietà della russa Lukoil, avrà un’autonomia di circa 4-5 settimane. Poi dovrebbe avviare una complessa procedura di spegnimento con il rischio di danneggiare le infrastrutture. In gioco ci sono 3 mila posti di lavoro e il 20 per cento della capacità di raffinazione del paese. Un disastro occupazionale ed energetico.

 

La soluzione del governo, portata nel Consiglio dei ministri di ieri, è quella di decreto che consenta di istituire un’amministrazione fiduciaria. Si tratta, come peraltro avevamo suggerito sul Foglio, di imitare il modello tedesco. Anche la Germania, infatti, si è trovata in una situazione analoga a quella italiana: con diverse raffinerie di proprietà russa, in quel caso Rosneft, incapaci di proseguire le attività per l’indisponibilità da parte di fornitori essenziali, dalle banche ai servizi It, a lavorare con una società controllata dai russi. La differenza con l’Italia è che a Berlino si sono mossi per tempo. A maggio 2022, dopo l’invasione dell’Ucraina, è stata modificata la Legge sulla sicurezza energetica del 1975 introducendo l’amministrazione fiduciaria su società e infrastrutture critiche per l’approvvigionamento energetico per massimo un anno, con facoltà di esproprio come extrema ratio. Questa norma ha consentito poi a settembre di porre sotto l’amministrazione fiduciaria dell’Agenzia federale delle Reti le raffinerie della Rosneft.

 

In Italia, invece, il governo Draghi ha perso molto tempo senza praticamente fare nulla. L’Isab di Priolo, che prima della guerra lavorava con un mix greggi di cui quello russo era il 30 per cento, dopo l’invasione dell’Ucraina si è trovata costretta a dover lavorare solo con petrolio russo perché le banche, benché non ci fossero sanzioni sul settore energetico, hanno tagliato le linee di credito per “overcompliance”. Cioé per timori di sanzioni secondarie, magari americane più che europee. Di conseguenza l’unico fornitore su piazza è rimasta la casa madre russa, almeno fino a oggi perché con l’embargo di lunedì al greggio russo non c’è più nessuno. Nelle ultime settimane il governo Meloni, in particolare il ministro delle Imprese Adolfo Urso, ha tentato di sbloccare la crisi prima con una “comfort letter ” del Mef per rassicurare le banche sull’assenza di sanzioni. E poi con un tavolo con le banche per l’estensione di una garanzia da parte di Sace.

 

Ma restano ancora dei problemi. Sul fronte legale, la comfort letter del Mef non basta perché ciò che le banche temono sono possibili sanzioni secondarie degli Stati Uniti: in questo senso servirebbe una comfort letter dell’Ofac, l’ufficio del dipartimento del Tesoro Usa che applica le sanzioni. Sul fronte finanziario, invece, c’è qualche dubbio sul modello industriale: Isab ha un’elevata marginalità anche perché riceve petrolio a prezzo di favore dalla Lukoil. Il timore delle banche è che, con l’embargo al greggio russo, questa marginalità sparisca e i conti non siano più sostenibili. In questo senso interverrebbe la garanzia di Sace che però ora è all’80% e, secondo il temporary framework europeo, non può superare il 90%. Anche questo 10% pare essere problematico per le banche. In ogni caso, l’ipotesi era quella di ricevere una manleva da Washington sulle sanzioni per organizzare un’operazione di sistema con Intesa, Unicredit, Cdp, Mps e altri per erogare un finanziamento di circa 700 milioni di euro.

 

L’operazione è molto complessa e i tempi non ci sono. Quindi si va verso l’amministrazione fiduciaria da parte dello stato. Dovrebbe esserci consenso anche da parte dell’opposizione, o almeno un pezzo, visto che la soluzione tedesca era stata proposta con un emendamento dal sen. Antonio Nicita del Pd: non si tratta di una “nazionalizzazione”, come erroneamente è stato detto, ma di una soluzione ponte per consentire e facilitare un passaggio di proprietà a favore di un acquirente non russo. Nel frattempo la gestione passa allo stato, che dovrebbe riuscire a comprare il petrolio e garantire così la continuità industriale.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali