l'analisi
Perché la cauta manovra di Meloni si può promuovere
Flessibilità, prudenza e slalom tra promesse populiste. Le sorprese del bilancio e quel lato buono dell’inflazione: da una parte crea spazio fiscale per il governo, dall'altro implica un cambiamento, dai risvolti a volte problematici, dei prezzi relativi
La legge di Bilancio di quest’anno si svolge sotto il segno di una incertezza sugli eventi economici dominati dalla crescente imprevedibilità degli scenari nazionali e internazionali. L’incertezza attuale comprende i rischi ancora presenti della pandemia e quelli della guerra in Ucraina, ma va anche al di là di questi perché la congiuntura economica internazionale minaccia di trasformarsi in una combinazione micidiale di inflazione e di recessione. L’evoluzione del quadro economico internazionale, che ha accumulato stimoli negativi lungo tutto l’anno in corso, fa prevedere un drastico rallentamento dell’economia, che potrebbe diventare, si teme, una recessione.
In questo quadro di incertezza nella manovra approvata dal governo vanno apprezzate la cautela e una strategia di graduale controllo della congiuntura che non si consuma su pochi obiettivi di breve periodo, ma si concentra sulle necessità più urgenti e, contemporaneamente, si riserva azioni ulteriori nel medio lungo termine. Le misure economiche prese, al di là di alcuni interventi motivati da promesse elettorali, vanno nella direzione giusta, che è quella di governare la congiuntura mitigando gli effetti della crisi energetica e favorendo l’adattamento di famiglie e imprese.
Come tutte le manovre, anche quella contenuta in questa legge di bilancio non comprende un quadro strategico con obiettivi espliciti di efficienza economica e giustizia sociale, anche se rivela attenzione a entrambe nel quadro dell’emergenza economica e sociale complessiva. Ritornando all’impianto della manovra, la varietà e la imprevedibilità degli scenari che possono materializzarsi nel corso del 2023 si riflettono sulle politiche economiche possibili come una forma di incertezza dinamica che rende problematiche le scelte delle politiche fiscali. Ciò anche perché le politiche monetarie, vista la posizione della Bce, sono unicamente dirette a ridurre l’inflazione, anche a costo di contribuire a creare le condizioni per una recessione più o meno profonda.
A causa dell’incertezza, le politiche fiscali fronteggiano, invece, un problema di possibile incoerenza temporale: se esse si rivolgono a mitigare l’impatto attuale dell’inflazione sulle famiglie e le imprese più colpite, e a favorirne l’adattamento a un nuovo regime di prezzi, allo stesso tempo rischiano di rimanere senza munizioni per fronteggiare la possibile crisi recessiva o altre emergenze che in questo momento si intravvedono e che possono penalizzare in modo diverso altre famiglie e imprese. Questi rischi portano a un contesto economico che valorizza una strategia di attesa che implica la costruzione di una riserva di spazio fiscale che irrobustisce la posizione del paese e crea fiducia negli operatori finanziari, che vedono anche i loro rischi ridursi a fronte di maggiori spazi di manovra futuri dei loro debitori.
Flessibilità e prudenza della manovra nella applicazione di fiscalità di vantaggio e altre misure di sostegno e di incentivo sono apprezzabili, quindi, proprio perché l’inflazione corrente e il pericolo di recessione minacciano in modo diverso l’economia e i conti pubblici. Da un lato, l’aumento medio del livello dei prezzi agisce come una tassa nascosta che redistribuisce risorse dai privati al governo, attraverso vari meccanismi, tra cui il dragaggio fiscale e la svalutazione del valore reale del debito pubblico e del pagamento di interessi. A parità di spesa e di deficit, l’inflazione crea quindi spazio fiscale per il governo, consentendogli di utilizzare risorse altrimenti non disponibili. Dall’altro lato, l’inflazione attuale non implica solo un aumento del livello generale dei prezzi, ma anche un cambiamento, a volte drammatico, dei prezzi relativi. Essa minaccia di agire come una forma impropria di spending review che assegna, in termini reali, tagli casuali alla spesa pubblica, in una sorta di lotteria determinata dall’incidenza degli aumenti di prezzo che sono diversi per diverse categorie di spesa. Nella situazione attuale, i settori più colpiti sono soprattutto quelli degli investimenti pubblici nelle infrastrutture e nei servizi sociali, compresa la sanità.
Più in generale, l’inflazione apre un conflitto distributivo lungo molteplici dimensioni. Oltre a penalizzare i risparmiatori, a vantaggio dei debitori, e i percettori di reddito fisso, essa tende a redistribuire in modo arbitrario profitti e potere d’acquisto poiché i prezzi non aumentano tutti nella stessa misura. Nell’inflazione corrente, alcuni di essi, quali quelli dell’energia e delle materie prime, aumentano a dismisura (35-40 per cento verso 5-10 per cento del resto dei settori). Questo conflitto distributivo crea ulteriori incertezze. Tra i settori colpiti ve ne sono alcuni, soprattutto nell’area dei beni di prima necessità, che possono riversare sui consumatori gli aumenti subiti in prima battuta, accompagnandoli da ulteriori aggravi, limitando in tal modo le perdite o, in alcuni casi, conseguendo profitti o addirittura sovraprofitti.
Al contrario, le imprese dei settori i cui consumi possono essere contratti, perché non riguardano lo zoccolo duro dei beni primari, subiscono aumenti di costo e riduzioni di redditi. Tra i consumatori sono quelli più poveri con redditi fissi che soffrono di più perché dipendono in misura maggiore dai beni colpiti dall’inflazione e spesso non hanno possibilità di contrattare aumenti di reddito. Per un periodo limitato di tempo, i produttori possono anche realizzare extraprofitti se i loro prezzi di vendita aumentano, mentre i salari rimangono ancora fermi. I mercati sono molto efficaci nel ridurre questi conflitti attraverso una ricontrattazione dei prezzi e dei salari ma, come si è avuto modo di sperimentare più volte, questa soluzione richiede tempo, crea una serie di danni collaterali e, soprattutto, tende a tradursi in un sistema di automatica indicizzazione (la c.d. spirale prezzi-salari) che rende l’inflazione un circolo vizioso da cui è sempre più difficile liberarsi.
Dal punto di vista del governo, l’incremento di risorse disponibili a causa della tassa inflazionistica si traduce anche in un migliore saldo di bilancio reale, ma solo nel breve periodo. Anche perché questo apparente miglioramento dei conti pubblici è controbilanciato dal potenziale impatto negativo dell’inflazione sulla performance dell’economia e sulla tenuta sociale del paese. Circa 21 dei 35 miliardi di euro della manovra sono, quindi, appropriatamente concentrati sugli aiuti alle imprese e alle famiglie, avendo cura, allo stesso tempo, di limitare gli interventi alle imprese più colpite e alle famiglie più bisognose. Gli altri 14 miliardi sono invece distribuiti tra una serie di provvedimenti frammentari e probabilmente poco incisivi, di cui ci si aspetta una progressiva razionalizzazione negli anni che verranno attraverso le necessarie riforme del fisco e del sistema pensionistico.
Inoltre, la prospettiva del rallentamento dell’economia nel 2023, e forse di una recessione, crea una ulteriore incertezza sulle risorse disponibili, da un lato, e sulle opportunità delle politiche economiche e le necessità del paese, dall’altro. Per questo la prudenza della manovra valorizza l’attesa e le informazioni che l’evoluzione dell’economia fornirà nel corso del tempo, in uno scenario ove le sorprese sono all’ordine del giorno.
In conclusione, una impostazione responsabile degli equilibri di bilancio e la regola aurea invocata del ministro dell’Economia (“per ogni euro di spesa deve esserci la copertura di un euro in termini di maggiori entrate o di minore spesa”) sembrano aver servito a disegnare una manovra prudente e progressiva. La regola dell’analisi costi benefici è in realtà che il valore di ogni euro speso o guadagnato dipende dal suo uso e dai suoi effetti sul sistema economico e sulla società. La copertura delle nuove spese dovrebbe essere assicurata anche a parità di valore sociale, e non solo di valore nominale. Poiché, tuttavia, durata e impatto dell’inflazione sono incerti e così pure la sua incidenza sui cittadini più deboli, la manovra non ha potuto tener conto dei tagli automatici della spesa pubblica causati dall’inflazione e dei minori redditi dei cittadini penalizzati dalla riduzione automatica del valore reale della spesa sociale.
Ciononostante, le scelte appaiono un onesto tentativo di rispondere alle esigenze più urgenti del paese, con qualche concessione alla soddisfazione delle promesse elettorali, ma riservandosi la possibilità di intervenire in modo più incisivo, quando saranno chiare la durata e la gravità della combinazione di inflazione e flessione economica nel 2023. I benefici della manovra comprendono il rafforzamento della fiducia degli operatori finanziari, e degli altri osservatori critici in Europa e nel resto del mondo, che potrà essere preziosa se deficit di bilancio maggiori fossero necessari in futuro.