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L'assegnazione dei fondi del Pnrr penalizza le Pmi. Cna punta sul nuovo Codice
L’allarme della Confederazione degli artigiani e piccole imprese sulla forte limitazione della concorrenza nel mercato degli appalti pubblici: assegnare lotti superiori a 10 milioni esclude il 97 per cento delle imprese italiane
Nelle intenzioni del governo il nuovo Codice degli appalti che sarà varato a giorni promette di assicurare semplicità, efficienza e velocità. Principi scolpiti nelle direttive comunitarie all’origine e quanto mai preziosi per mettere a terra le ingenti risorse del Pnrr e della programmazione comunitaria, circa 350 miliardi entro il 2026 sommando anche i fondi europei non allocati e che sono circa il 50 per cento del totale del ciclo 2014-2020. Come Cna l’auspicio è che la declinazione del nuovo codice garantisca risultati decisamente migliori rispetto alla disciplina del 2016, nonostante una costante attività di manutenzione normativa.
Cna ha spesso ricordato al legislatore che sul mercato degli appalti pubblici gli orientamenti comunitari indicano con particolare enfasi il requisito di facilitare l’accesso delle Pmi. Un pilastro della strategia che non ha mai trovato adeguata declinazione nell’architettura normativa italiana. E’ per tale motivo che sin dall’elaborazione del Pnrr abbiamo segnalato l’esigenza di un attento monitoraggio per scongiurare il rischio che la necessità di spendere le risorse assegnate in tempi certi, e soprattutto ristretti, potrebbe generare una concentrazione nell’assegnazione dei fondi. Una macroscopica contraddizione rispetto ai principi recepiti nella delega e con la mappa del tessuto produttivo, composto per poco meno del 97 per cento da micro imprese (fino a 10 addetti).
Alcune recenti evidenze giustificano l’allarme lanciato dalla Confederazione degli artigiani e piccole imprese sulla forte limitazione della concorrenza nel mercato degli appalti pubblici. Procedere con l’assegnazione di lotti con importi superiori a 10 milioni di euro significa automaticamente escludere quasi il 97 per cento delle imprese italiane. Infatti per partecipare agli appalti pubblici occorre rispettare il requisito finanziario in base al quale l’impresa partecipante deve avere un fatturato superiore al doppio del valore del bando e solo poco più del 3 per cento delle imprese italiane riesce a superare l’asticella dei 20 milioni di ricavi. In concreto, analizzando le classi di importo delle gare del 2021, la stragrande maggioranza delle piccole imprese (oltre il 96 per cento del totale) può potenzialmente accedere solo al 17 per cento del mercato degli appalti pubblici, e la quota che riesce effettivamente ad aggiudicarsi fatica a superare il 5 per cento del valore complessivo di questo mercato.
La dimensione dei lotti assume pertanto un significato determinante per assicurare un elevato livello di concorrenza in un mercato da grandi numeri (quasi 200 miliardi l’anno scorso). Tra l’altro le ultime direttive comunitarie sollecitano le stazioni appaltanti a procedere verso una maggiore suddivisione dei lotti proprio per favorire la partecipazione delle Pmi. E’ un tema che non riguarda solo l’Italia, spesso dipinta come una anomalia in Europa con riferimento alla classe dimensionale delle imprese. I dati invece descrivono un’altra realtà. Siamo in linea con la media europea, molto simili a Francia e Spagna, mentre soltanto la Germania presenta una dimensione media d’impresa significativamente più alta.
La concentrazione dei lotti sconta l’impoverimento delle professionalità nella Pubblica amministrazione ma ad aggravare il quadro concorre anche la mancanza di una limitazione al subappalto con riflessi negativi sulla geografia delle imprese e sulla qualità dei lavori. Nel corso degli anni crescono e prosperano soprattutto le imprese che intermediano, dotate di efficienti uffici tecnici ma senza maestranze per svolgere i lavori. Inoltre la concentrazione dei lotti è fonte di dilatazione dei tempi di realizzazione delle opere che rappresenta la principale criticità del sistema. Come ha rilevato il Consiglio di Stato il numero dei contenziosi è direttamente proporzionale al volume dell’appalto. Per favorire la partecipazione delle Pmi al mercato degli appalti pubblici sarebbe utile la promozione degli strumenti aggregativi, funzionali anche alla strategia di rafforzamento delle imprese. Ma anche su questo versante la distorsione è molto evidente in quanto, talvolta, si chiede all’impresa mandataria o mandante del raggruppamento di possedere tutti i requisiti per la partecipazione al bando, cancellando di fatto il beneficio potenziale delle aggregazioni.
La spesa pubblica storicamente rappresenta un volano fondamentale per la crescita economica ma anche per sostenere i processi di trasformazione e modernizzazione del tessuto produttivo. Il nuovo codice pertanto dovrà migliorare la capacità di spesa della Pubblica amministrazione in termini di efficienza e di tempistiche ma dovrà anche assolvere alla funzione di stimolare la crescita e il rafforzamento delle imprese favorendo la concorrenza. L’esatto contrario rispetto a erigere ostacoli e alzare i paletti.
Mario Pagani, responsabile politiche industriali Cna
Claudio Di Donato, Cna