Perché serve un processo ai sindacati

Luciano Capone

Proteste contro green pass e sblocco dei licenziamenti, sciopero contro Draghi. Ma l'Italia ha avuto crescita sostenuta, record di occupati e calo della disuguaglianza. Prima di mobilitarsi di nuovo, Landini & co. dovrebbero guardare con spirito critico all'ultimo anno e mezzo 

Per ora si parla solo di “mobilitazione”, anche perché sarebbe inopportuno indire uno sciopero generale prima dell’incontro con il presidente del Consiglio che Cgil, Cisl e Uil terranno mercoledì. Ma è praticamente certo che finita la riunione a Palazzo Chigi Maurizio Landini, e verosimilmente Pierpaolo Bombardieri (anche se nella Uil c’è un po’ di scetticismo), torneranno in piazza. Replicando la rottura dell’unità sindacale con la Cisl, contraria allo sciopero, che si è già vista lo scorso anno.

 

La Cgil è quasi costretta a farlo da due ragioni che prescindono dal merito della legge di Bilancio: la prima è che ha scioperato contro il governo Draghi e non può non farlo contro Giorgia Meloni; la seconda è che M5s e Pd hanno già annunciato manifestazioni e Landini non può farsi sottrarre la protesta di piazza da Conte e dai dem. A fianco a queste condizioni oggettive, ci sono poi le ragioni di merito contro alcune misure della manovra: voucher, taglio del Reddito di cittadinanza, flat tax, allentamento della lotta all’evasione, pensioni, etc.


Ma una volta finito lo sciopero dovuto, il sindacato – e specialmente la Cgil – dovrà probabilmente riflettere in maniera autocritica sull’anno e mezzo passato. In questo periodo, durante il governo Draghi che pure si era mostrato molto dialogante, l’azione sindacale si è distinta per tre grandi prese di posizione che poi si sono dimostrate sbagliate. La prima è stato il no al green pass, che Landini definì un “colpo di sole” della Confindustria, una proposta “inaccettabile”, perché basato su una “logica sanzionatoria e punitiva verso il mondo del lavoro”: il tempo e i dati hanno dimostrato che il green pass è stato importante per far aumentare il tasso di vaccinazione, producendo due importanti risultati: maggiore sicurezza negli ambienti di lavoro e una maggiore crescita economica dovuta alle aperture possibili grazie all’ampia copertura vaccinale.

 

Il secondo fronte di contrasto ha riguardato la fine del blocco ai licenziamenti a giugno 2021, che secondo il sindacato avrebbe fatto esplodere una “bomba sociale”: “700 mila licenziamenti attesi dal 1° luglio”, diceva la Cgil; “1 milione di licenziamenti”, alzava la posta la Uil. I recenti dati Istat  dimostrano l’esatto contrario: a ottobre prosegue la crescita occupazionale, in calo disoccupati e inattivi, con un tasso di occupazione ai massimi storici. Non ci sono stati 700 mila licenziamenti, ma quasi 600 mila occupati in più. E, considerando i dati dell’ultimo anno, quasi tutti a tempo indeterminato (500 mila in più rispetto a ottobre 2021). L’ultimo fronte di lotta è stato lo sciopero generale contro il governo Draghi per una legge di Bilancio “regressiva” e “socialmente ingiusta”, che avrebbe aggravato il problema delle “diseguaglianze”. Anche qui, un anno dopo una netta smentita. L’Istat ha mostrato i provvedimenti fiscali di quella manovra – riforma Irpef e Assegno unico – hanno ridotto la diseguaglianza e il rischio povertà. 

 

In pratica, mentre il paese viveva una sostenuta crescita economica, un boom occupazionale e dei posti di lavoro stabili e una riduzione della diseguaglianza, il sindacato protestava e scioperava prevedendo l’esatto contrario. Anche sul lato della proposta le cose non vanno bene. Attualmente la riforma sul lavoro più popolare nell’elettorato di centrosinistra, e che ormai tutti i partiti di opposizione appoggiano, è il salario minimo. Non una bandiera del sindacato, ma anzi una misura che viene vista come una minaccia per la contrattazione collettiva e il ruolo del sindacato. Le uniche idee chiare e forti sono sulle pensioni (molta più spesa), mentre molto poco si parla di giovani, formazione e politiche attive. 


Va bene quindi il rito dello sciopero, che Landini non può permettersi di non celebrare contro un governo di destra. Ma una volta arrotolate le bandiere e tornati in sede dalla piazza, forse è il caso, in questo periodo di transizione per tanti attori politici e sociali, che i sindacati ripensino al passato recente con spirito critico.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali