Riformismo dimezzato
Il governo Meloni ha esteso l'utilizzo dei voucher: una valutazione sine ira et studio
Aiutano a combattere il lavoro nero? A volte. Il compromesso raggiunto è sbagliato? Non proprio. Oggi beneficeranno dello strumento circa 50 mila lavoratori, ma a coprire il resto dell'occupazione povera non c'è il salario minimo come negli altri paesi
Il governo Meloni ha esteso l’utilizzo del voucher-lavoro fino a 10 mila euro annui, dopo che questo era stato usato in forma cartacea per diversi anni e poi radicalmente riformato nel 2017 dal governo Gentiloni fino a diventare un “contratto elettronico” di prestazione di lavoro occasionale.
Ma cosa è il voucher se non il parente povero del salario minimo legale? Da decenni tutti i paesi si sono posti il problema di coprire con qualche forma di garanzia il lavoro occasionale o ad ore, il lavoro che spesso fanno gli studenti o gli immigrati o anche molti lavoratori nei mestieri più semplici della ristorazione (il catering occasionale per esempio), del turismo, il lavoro domestico e l’agricoltura.
Da decenni la stragrande maggioranza dei paesi ha risolto il problema introducendo un salario minimo legale che di solito riguarda non più del 6-7 per cento degli occupati. Per anni, l’Italia ha rifiutato il salario minimo mentre tutti i paesi lo introducevano, ultima la Germania nel 2015 dopo anni di sperimentazione nei settori più sensibili. In Italia, invece, si affermò il voucher cartaceo da 10 euro l’ora (compresi contributi Inps e Inail) che a differenza del salario minimo non implicava nessun tipo di contratto e quindi nessun contributo per la malattia, la maternità e la disoccupazione. Nel 2016, 1,4 milioni di lavoratori avevano usato i voucher, praticamente quel 6 per cento dei lavoratori (che sono circa 23 milioni in Italia) che in altri paesi avrebbero probabilmente avuto un contratto di lavoro semplificato a salario minimo. Bisogna ripercorrere brevemente la storia del voucher perché racconta i difetti e la lentezza dell’Italia e d’altro lato ci dice dove presto potremmo ritrovarci se non correggiamo i difetti più gravi.
Il voucher cartaceo per il lavoro occasionale fu introdotto nel 2003 e poi a più riprese ampliato o ristretto nei suoi limiti di utilizzo. Non essendo un contratto ma un semplice pezzo di carta, il dibattito sul voucher assunse una valenza politica più generale basata sulla contrapposizione tra chi sosteneva che il voucher fosse uno strumento per fare emergere il lavoro nero, e chi di contro sosteneva che lo nascondesse dietro un pezzo di carta.
I voucher cartacei erano infatti uno strumento agile, utilizzato da famiglie e imprese per pagare il lavoro a ore, ma anche un modo per far emergere una parte di quel lavoro nero che in Italia è stimato attorno ai 3 milioni di lavoratori, occupati senza diritti e senza tasse.
D’altra parte c’è chi sosteneva che il voucher facilitasse il lavoro in nero con lavoratori che prendevano solo parte della loro paga in voucher e il resto in nero. Anche le aziende avevano interesse a usare i voucher, infatti ci sono sempre stati limiti al loro utilizzo in capo a un singolo lavoratore (oggi sarebbe il limite di 5 mila euro all’anno) ma non c’erano limiti per le aziende quindi era ovvio l’interesse a usare una quota di voucher per sostituire i lavoratori precari.
Inoltre il voucher cartaceo fu spesso abusato, veniva utilizzato anche per eludere i controlli degli ispettori e a volte perfino gli infortuni: dopo un infortunio veniva emesso un voucher ex post per assicurare con l’Inail un lavoratore in nero. Fortunatamente questa pericolosa violazione delle norme fu semplice da risolvere con l’introduzione del voucher elettronico. Fu proprio l’abuso del voucher e il fatto che si era esteso a molti lavoratori che scatenarono la protesta del sindacato nel 2017.
Dopo una lunga trattativa su come limitare l’utilizzo dei voucher, la Cgil promosse un referendum totalmente abrogativo del voucher. Il governo si convinse che nessuna correzione dei voucher sarebbe comunque bastata alla Cgil, ed ecco che, in una notte, con un decreto-legge, i voucher vennero cancellati e da un giorno all’altro non fu più possibile comprarne di nuovi. Questa decisione però lasciò degli strascichi importanti perché il voucher era uno strumento molto popolare e il governo, per far fronte alle esigenze di un mercato del lavoro frammentato, decise di reintrodurre lo strumento in maniera esclusivamente elettronica. Il che vale fino ad oggi, prima del governo Meloni.
Oggi il voucher per imprese e famiglie riguarda circa 50mila lavoratori, molto meno dei 1,4 milioni del 2016. Ma questo significa che la precarietà è sparita? Niente affatto, quei lavoratori sono in parte tornati totalmente nel lavoro nero e in parte in contratti a termine di breve o brevissima durata. I voucher esistono anche in altri paesi e coprono una parte del tutto residuale del mercato del lavoro come i nostri 50 mila lavoratori a voucher (0,002 per cento dell’occupazione). Ma gli altri paesi coprono il resto del lavoro povero con il salario minimo. In Italia invece il salario minimo non c’è, quindi l’abolizione del voucher cartaceo (che fu una cosa giusta!) ha lasciato scoperta una parte importante di lavoratori, quel 6 per cento di cui sopra, che da oggi verrà di nuovo appaltata a voucher orari.
Il voucher del 2023 è sostanzialmente uguale a quello elettronico del 2017 ma raddoppiato nei limiti di utilizzo e esteso ai settori del turismo e dell’agricoltura. Il fatto che non si torni indietro al voucher cartaceo è positivo, è indice della bontà del compromesso raggiunto nel 2017. La creazione di quello strumento elettronico del tutto residuale dal punto di vista quantitativo aveva il senso di una soluzione temporanea in attesa della definizione del tema del salario minimo e della rappresentanza sindacale che già nel 2017 era un tema maturo. Tuttavia dal 2017 ad oggi nulla di sostanziale è successo in tema di salario minimo e rappresentanza.
La domanda sorge spontanea: è normale che i partiti di destra che oggi vogliono i voucher allo stesso tempo non vogliono il salario minimo che è percepito come un costo per le imprese. Ma è normale che quelli di sinistra e soprattutto i sindacati che non vogliono i voucher non vogliano neanche il salario minimo?