lo studio Intesa Sanpaolo-Centro Einaudi
Il risparmio italiano sale, ma non c'è da esultare
La percentuale di chi è riuscito a mettere soldi da parte nel 2022 si è avvicinata ai livelli pre-Covid. Ma in periodi di inflazione alta non è una buona notizia accumulare liquità (e non saper investire in maniera consapevole)
Torna a crescere il numero degli italiani che ogni mese riesce a risparmiare. Nel 2022 la percentuale è passata al 53,5 per cento dal 48,6 per cento del 2021 avvicinandosi ai livelli pre-pandemia (55,1 per cento nel 2019). E cresce anche la percentuale di reddito che viene accantonata: 11,5 per cento rispetto al 10,9 per cento dello scorso anno, anche qui non lontana dai tempi prepandemici (12,6 per cento). Questi dati, che emergono dallo studio di Intesa Sanpaolo-Centro Einaudi presentato oggi a Milano, rappresentano una buona notizia perché se è vero che i conti correnti traboccavano di liquidità durante i periodi di lockdown è altresì vero che il numero delle persone che riusciva a mettere da parte dei soldi era diminuito. E’ evidente che c’è stato un ribilanciamento dovuto alla ripresa economica dell’ultimo anno e mezzo. La cattiva notizia è, però, rappresentata da quel 30 per cento di italiani che risparmia senza avere in mente uno scopo e lo fa soltanto per ragioni puramente “precauzionali”.
Quindi, non per comprare una casa, per farsi una pensione integrativa, per lasciare qualcosa in eredità ai figli, ma solo per affrontare periodi d’incertezza o, peggio, perché non ha una strategia d’investimento. Ebbene, la scelta di tenere soldi liquidi, che per gli italiani non è una novità, rischia di avere un costo elevato in tempi in cui l’inflazione è al 10 per cento, come ha sottolineato Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo. Per De Felice è un problema di educazione finanziaria che continua a scarseggiare (anche se si registra una maggior propensione al risparmio gestito), ma la spiegazione potrebbe anche in parte essere un’altra e cioè i costi degli investimenti. Sempre ieri il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ha detto che l’aliquota fiscale del 26 per cento sul risparmio “non deve essere un dogma”, auspicando una riduzione almeno per chi investe con un’ottica di lungo periodo. Ma i costi dell’investimento sono rappresentati anche da quelli caricati da banche e intermediari finanziari, sui quali la riflessione è solo all’inizio.