l'analisi
Le ragioni della Bce sull'inflazione che il governo italiano non vede
Crosetto e Salvini indignati dopo il rialzo dei tassi. Ma bisogna guardare ai dati: la domanda e l'offerta hanno contribuito al fenomeno inflativo allo stesso modo negli Stati Uniti e in Europa. Non intervenire adesso significa amplificare il problema futuro
Nella giornata di mercoledì, la Banca centrale europea (Bce) ha alzato il tasso di rifinanziamento principale di 50 punti base e ha segnalato un sentiero ulteriormente restrittivo per i prossimi mesi. Leggendo il comunicato della Bce è chiaro che la decisione sia stata presa a seguito delle preoccupanti dinamiche e previsioni dell’inflazione nell’Eurozona.
La decisione della Bce ha generato la reazione del ministro della Difesa Giudo Crosetto che, intervenuto in sede non propriamente istituzionale (Twitter), ha scritto: “In Usa l’inflazione è da surriscaldamento domanda. In Europa è per buona parte ‘importata’ per prezzi dell’energia. Non ha senso alzare i tassi. Poi aumentano requisiti di capitale delle banche (che quindi contrarranno credito) e lanciano il tightening sui titoli di stato? Folli!”. A Crosetto si è aggiunto il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini che ha definito l’azione della Bce “incredibile, sconcertante” poiché “brucia miliardi di euro di risparmi in Italia”. Ai ministri Crosetto e Salvini ci permettiamo di suggerire, diciamo, prudenza visti i numeri che ora illustriamo.
Come abbiamo spiegato lo scorso 9 febbraio sulle colonne di questo giornale, capire le cause del fenomeno inflativo è cruciale: sbagliata la diagnosi, sbagliata la cura. In particolare, è importante stabilire tre aspetti: il contributo degli shock dal lato dell’offerta, il lato della domanda e infine il ruolo delle aspettative. Nel primo caso (offerta) la politica monetaria può pazientare, nel secondo caso (domanda) deve agire e nel terzo caso (aspettative) deve agire in modo molto deciso. Ergo, per commentare la decisione della Bce occorre affidarsi all’evidenza dei dati.
Nel mese di ottobre e novembre, tre nuovi studi (si veda Adam Shaprio 2022, Eickmeier and Hofmann 2022, e Gonçalves and Koester 2022) hanno cambiato la narrazione per l’Eurozona. Gli studi analizzano i movimenti di prezzi e quantità dei singoli elementi del paniere; prezzi e quantità si muovono, infatti, nello stesso verso in caso di shock da domanda e in senso opposto in caso di shock da offerta. Secondo questi studi, uno dei quali arriva dallo staff della Bce, le dinamiche dell’inflazione nell’area euro sono molto più simili agli Stati Uniti di quanto si pensasse. Riprendendo le parole dello staff della Bce, “[i dati suggeriscono] che l’incremento dell’inflazione a partire dal III trimestre del 2021 fosse inizialmente trainato soprattutto dall’offerta ma l’importanza dei fattori di domanda è gradualmente cresciuto nel tempo. Nei mesi recenti, i fattori da offerta e da domanda hanno contribuito in egual modo”.
Per questo, le parole dei ministri Crosetto e Salvini sono fuori luogo: i dati dicono che sia negli Stati Uniti, sia nell’Eurozona la domanda e l’offerta hanno contributo più o meno in egual modo all’inflazione di fondo (con il lato dell’offerta, come sempre, un po’ più rilevante per l’inflazione totale). Non solo, ma le recenti dinamiche dei salari (compensazione per occupato), e soprattutto delle aspettative di inflazione (in crescita) hanno aggiunto ulteriore pressione alla Banca centrale. Detto in altri termini, la Bce ha alzato i tassi perché era la sola cosa che potesse fare per mitigare i crescenti rischi. Non intervenire adesso avrebbe significato rimandare il problema e amplificare il costo futuro.
Insomma, la nuova letteratura suggerisce che la narrazione secondo cui “l’inflazione negli Stati Uniti è da domanda mentre in Eurozona è da offerta” è sbagliata. Entrambi i continenti hanno subito grandi shock da offerta (prezzi dell’energia, catene del valore, etc..) e da domanda (stimoli fiscali e monetari). In entrambi i continenti il mercato del lavoro e le dinamiche salariali indicano economie surriscaldate con crescenti rischi per le aspettative.
La speranza a questo punto è che la Bce segua il cammino intrapreso dalla Federal reserve americana, cammino che sta già dando i suoi frutti. Ma soprattutto la speranza è che i politici rispettino l’indipendenza della Banca centrale, una conquista epocale nella storia dell’economia monetaria.